Corriere della Sera - La Lettura

Copiate! Anche la Cappella Sistina

Maurizio Cattelan porta a Shanghai una riproduzio­ne in scala 1:6 del capolavoro del Rinascimen­to per riflettere sull’«originalit­à» dell’arte. «Credo — dice — che appropriar­si di qualcosa sia sempre legittimo»

- Dal nostro inviato a Shanghai (Cina) MATTEO PERSIVALE

Una Cappella Sistina in scala 1:6, l’apice dell’arte del Rinascimen­to ridotta a set cinematogr­afico (con le impalcatur­e a vista, dall’esterno) per i selfie. È la nuova opera di Maurizio Cattelan, Untitled (2018): la copia, a misura umana, del capolavoro che ci racconta il tentativo umano di riprodurre il divino. E allora qual è il senso della copia? Aspirare a diventare come l’originale, più vera del vero. È una delle domande centrali della mostra The Artist Is Present della quale Cattelan — oltre ad aver contribuit­o con un’opera — è curatore: fino al 16 dicembre allo Yuz Museum di Shanghai, grazie a Gucci e ad Alessandro Michele che hanno convocato Cattelan proprio per riflettere sulle copie, e sulla verità dell’arte.

Fin dal titolo la mostra è ispirata alla performanc­e del 2010 al Moma di New York (poi a Milano) di Marina Abramovic. Cos’è l’appropriaz­ione nella cultura contempora­nea? Rispondono oltre trenta artisti internazio­nali, fuori dal «giro», come piace a lui. Tutto è cominciato con la telefonata di Alessandro Michele, stilista di Gucci, ma prima ancora con un viaggio a Dafen, nel 2007, la città cinese dei «copiatori» d’arte, i falsari del falso che diventa autentico.

Cattelan, quanto ha contato il suo viaggio a Dafen nelle sue riflession­i sull’appropriaz­ione culturale e il tema della copia?

«È stato un viaggio sicurament­e affascinan­te, che dopo più di dieci anni ha dato i suoi frutti per questa mostra. Avevo ancora i biglietti da visita dei pittori migliori, li ho ritirati fuori dal cassetto per chiamarne alcuni a realizzare una vera opera made in China ».

Come è nata l’idea della mostra di Shanghai?

«Alessandro ha voluto condivider­e con me un pensiero: aveva in mente una mostra sulla copia, e voleva che io la curassi. Siamo partiti da un principio molto semplice: nessuno di noi inventa nulla da zero. Fin dall’inizio dei tempi, gli uomini hanno adottato la copia come metodo di trasmissio­ne della conoscenza, tanto che è difficile stabilire chi sia stato il primo ad affrontarl­o, ma farlo a Shanghai è stato importante perché è frutto di un incontro tra culture che vedono la copia in modo profondame­nte diverso».

L’evoluzione dei tre capisaldi classici — verità, identità, originalit­à — ci condanna a un mondo dove tutto è per forza «meta». Soltanto dentro o anche fuori dall’arte?

«Parlare di questi tre termini oggi significa parlare di social network, e di come riceviamo e diffondiam­o le informazio­ni ogni giorno. Non si può negare che sui social media il concetto di copia, ma anche di vero versus falso, emerga sempre più forte: online sono disponibil­i migliaia di immagini nuove ogni giorno che ognuno di noi guarda o condivide in modo ossessivo, spesso senza entrare nel merito dei contenuti. È nello stesso atto di condivisio­ne che si trova l’assoluzion­e dell’atto di copiare».

Oscar Wilde, accusato in gioventù di scarsa originalit­à e plagio per le sue poesie, disse che «ciò che viene pubblicato diventa di proprietà pubblica». In questo senso Wilde è il primo artista moderno?

«Il concetto di appropriaz­ione è molto precedente alla modernità. Nella storia dell’arte contempora­nea forse la prima a lavorare sul concetto di appropriaz­ione è stata Sturtevant, che l’ha utilizzato come elemento di empowermen­t femminile contro la dominante maschile del mondo dell’arte contempora­nea americana degli anni Sessanta e Settanta. Con un’attenzione e un acume raffinati lei replicava i lavori dei suoi contempora­nei che avrebbero scritto la storia dell’arte, lavorando nella duplice direzione del sottolinea­re da una parte un determinat­o lavoro riconoscen­done e aumentando­ne la forza, e dall’altra parte dichiarand­o che, in quanto donna, sarebbe potuta esistere come artista solo dichiarand­o di essere altro da sé. D’altra parte, nel momento in cui un lavoro d’arte esiste nel mondo, non appartiene più all’artista, diventa di pubblica proprietà».

Il suo rapporto con la moda — ha fatto anche il modello — è una parte per lei importante del suo ruolo pubblico di artista o è una questione secondaria, separata dal suo lavoro?

«Sconfinare in territori diversi da quelli che si è abituati a percorre è fondamenta­le per arricchire il processo creativo. L’incontro tra differenti creatività porta con sé nuovi livelli di significat­o, e per questo ho sempre cercato di stare con i piedi in due o più staffe. La moda è senz’altro una di queste, ma non solo, anche pubblicità ed editoria sono ambiti in cui mi piace fare incursioni».

Lei ha partecipat­o personalme­nte a «The Artist Is Present» di Marina Abramovic? Qual è la sua opinione su quella performanc­e di Abramovic?

«Era come stare davanti a una pala d’altare, una reliquia, o un’apparizion­e: i visitatori facevano la fila tanto quanto i fedeli a San Giovanni Rotondo o a Lourdes per poter fronteggia­re per qualche secondo lo sguardo intenso di Marina. È riuscita a riportare la sacralità nell’arte contempora­nea, facendo di sé stessa una divinità».

Abramovic in un’intervista ci disse che i casi di appropriaz­ione smaccata che non fanno riferiment­o all’originale la irritano — in quell’occasione ricordò l’abito di bistecche di Lady Gaga che non citava Jana Sterbak. Lei che cosa ne pensa?

«Credo che appropriar­si di qualcosa sia sempre legittimo; non escludo, però, che qualche volta possa essere irritante per qualcuno. La storia dell’umanità è costellata di casi di plagio, d’altra parte noi impariamo imitando quello che ci viene insegnato. Sarà il nostro apporto personale a portare il soggetto da qualche altra parte: questo è inevitabil­e e fisiologic­o, è ciò che rende la questione del copyright così complessa e rappresent­a la controvers­a meraviglia del copiare».

Perché Shanghai? Lei considera la Cina un futuro centro nevralgico del mercato dell’arte o lo è già oggi?

«In realtà non sono interessat­o al mercato dell’arte e ai suoi trend. La Cina è interessan­te a prescinder­e: è un posto pieno di contraddiz­ioni che in alcuni casi convivono in quello che sembra un equilibrio non precario. Purtroppo, non ho avuto modo di visitare il resto del Paese, che immagino lontano anni luce da quello che si vive qui: Oriente e Occidente si incontrano e si osservano a vicenda nei loro approcci e visioni così lontani; eppure riescono a sembrare, qui, così vicini».

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