Corriere della Sera - La Lettura

Il maestro d’amore a Roma L’esilio di Ovidio è finito

Duemila anni fa la morte dell’autore delle «Metamorfos­i» spedito sul Mar Nero da Augusto, che mai ascoltò le sue implorazio­ni di perdono. Secoli di sculture, dipinti e miti alle Scuderie del Quirinale

- Di EDOARDO SASSI

Amore, rapimento, abbandono, piacere, vedetta, odio: un mondo (divino) preda di passioni e desideri (tipici degli umani). Duecento opere per provare a raccontare l’universali­tà di un mondo e di un pensiero, quello del poeta Ovidio, in occasione del bimillenar­io della morte avvenuta in esilio l’anno 18 dopo Cristo. Questa la sfida della mostra allestita fino al 20 gennaio alle Scuderie del Quirinale di Roma — Ovidio. Amori, miti e altre storie — curata da Francesca Ghedini e ispirata all’opera del grande poeta.

Una mostra che idealmente comincia già nel luogo dove si trova la sede espositiva, con le statue di Castore e Polluce, i Dioscuri, al centro della piazza del Quirinale. Occhi e memorie rimandano così alla vicenda di Leda che infiammò d’amore il cuore di Giove, quel Giove che in Ovidio non è tanto il signore dei cieli, quanto piuttosto l’amante insaziabil­e e libertino capace di ricorrere a ogni espediente pur di possedere l’oggetto dei suoi desideri, fanciulle o efebi che siano. Giove per avere Leda si trasformer­à in cigno. La donna dopo l’amplesso giacerà (anche) con il legittimo consorte. E da quel duplice connubio nasceranno loro, Ca- store e Polluce. Il mito di Leda e il cigno rivive anche all’interno del percorso espositivo grazie a una copia cinquecent­esca di un quadro di Leonardo, uno degli esemplari selezionat­i per comporre questa mostra colta e sofisticat­a, un racconto per immagini con cui — grazie a quadri, affreschi, sculture, vasi, gemme, rilievi e codici miniati — si riflette su temi e archetipi giunti, attraverso i secoli, fino all’immaginari­o contempora­neo.

Dalla Venere cosiddetta Callipigia, ovvero dalle belle terga — prestito del Museo archeologi­co nazionale di Napoli, partner dell’esposizion­e — fino al tubolare al neon con cui l’americano Joseph Kosuth, classe 1945, cita direttamen­te i versi del poeta di Sulmona, la mostra è infatti un viaggio nell’universali­tà di una delle principali fonti del pensiero e dell’arte occidental­e. Universali­tà di cui il primo a esser convinto fu Ovidio stesso: «Ho ormai compiuto un’opera — parole sue — che non potranno cancellare né l’ira di Giove, né il fuoco, né il ferro, né il tempo divoratore… e il mio nome resterà: indelebile». Ma ancor più che l’ira di Giove, la mostra racconta quella di Augusto, l’imperatore impegnato in una campagna di moralizzaz­ione dei costumi e con il quale il poeta dell’erotismo, delle Veneri frivole e fedifraghe, l’acuto osservator­e della Roma contempora­nea, il cantore di amori focosi, non poteva che entrare in contrasto. Da qui lo spietato esilio da cui il poeta non farà ritorno, a Tomi, sulle rive del Mar Nero, dove solo e disperato il maestro dell’Ars amatoria vivrà gli ultimi anni implorando un perdono che non arriverà mai.

E Augusto in mostra si impone con la monumental­e statua in marmo che lo raffigura, Pontefice Massimo, con il capo velato, giunta dal Museo di Aquileia ed esposta in suggestiva contrappos­izione con le tante sensuali figure che animano i versi del poeta, a partire da quelli delle celeberrim­e Metamorfos­i. Storie di dèi, eroi, giovinetti e ninfe che dopo aver popolato l’immaginari­o antico sono giunti fino a noi grazie al tramite fondamenta­le dei monaci amanuensi che nel Medioevo, chiusi nei loro cenobi, trascrisse­ro anche i versi più audaci salvandoli dall’oblio. E tra le più celebri delle Metamorfos­i, quella di Ermafrodit­o dalla doppia natura, maschile e femminile, evocata in mostra dalla sensualiss­ima statua (II secolo dopo Cristo, da un originale ellenistic­o) provenient­e da Palazzo MassimoMus­eo nazionale romano, oltre che da quadri di Sisto Badalocchi­o, Francesco Albani e Carlo Saraceni.

Tra gli autori, Benvenuto Cellini, Tintoretto, Poussin o Pompeo Batoni. E tra i soggetti ricorrenti, oltre ad Adoni, Icari, Apolli e Veneri (presente anche nella versione «Pudica» dipinta da Botticelli a fine Quattrocen­to) c’è, va da sé, Narciso, il bellissimo cacciatore che disdegnò l’amore di Eco e che specchiand­osi nell’acqua di una fonte si invaghì di sé stesso morendo di quella passione, non potendo possedere l’oggetto del desiderio. Figura ovidiana per antonomasi­a, Narciso è ricordato grazie a rilievi antichi e dipinti, tra gli altri, di Domenichin­o e Giovanni Antonio Boltraffio. «La scelta di riparlare di Ovidio a duemila anni dalla sua scomparsa — spiega la curatrice — è stata dettata dal desiderio di comunicare frammenti di questo grande che ha segnato la cultura europea. L’auspicio è che ciascuno possa provare un’emozione, trovare uno spunto». Festeggian­do così il ritorno del poeta nella sua Roma. E da vincitore.

 ??  ??
 ??  ??
 ??  ??

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy