Corriere della Sera - La Lettura
Il poeta libertino che mise in versi la Bibbia pagana
Le sue opere ebbero sull’arte e sulla musica occidentali perfino più influenza di Omero o Virgilio
Può forse stupire qualcuno, ma non esiste probabilmente poeta classico, greco o latino, Omero e Virgilio compresi, che abbia esercitato sia nella letteratura sia nelle arti figurative sia nella musica occidentali un’influenza ampia e continua come Ovidio (43 a.C.-17/18 d.C.), anche a dispetto del fatto che la sua opera (giunta a noi quasi integralmente) nel giudizio assoluto non sia andata esente da critiche e che la sua fama abbia subìto in età moderna un ridimensionamento rispetto ai culmini raggiunti, oltre che nell’antichità, nel Basso Medioevo e nell’epoca barocca. Non si calcolano le citazioni, le riprese, le imitazioni e le variazioni di cui Ovidio è stato la fonte nei più diversi ambiti, come anche adesso testimoniano da un lato la mostra in corso a Roma a cura di Francesca Ghedini, autrice anche di un appassionato saggio, Il poeta del mito (Carocci), e dall’altro il foltissimo lavoro di Paolo Isotta La dotta lira (Marsilio) sulla fortuna di Ovidio nella tradizione musicale dal XVI secolo all’età moderna.
Vari sono i titoli della celebrità di Ovidio. Il primo è quello del poeta elegiaco, maestro della più raffinata retorica e insieme della più sottile e smaliziata psicologia amorosa. Nei libri giovanili, gli Amori e l’Arte amatoria, spingendosi oltre i suoi predecessori Tibullo e Properzio, Ovidio esprime una concezione libertina dell’eros come gioco galante e piacere fisico, sottratto al sentimento non meno che alla morale, nel quale si vedono già profilarsi il Don Giovanni di Mozart come Le relazioni pericolose di Choderlos de Laclos.
Corinna, l’incantevole fanciulla cantata negli Amori, non è l’unica donna amata: al poeta piacciono tutte le belle dell’intera Roma, senza distinguere necessariamente fra matrone, schiave e liberte. Si possono addirittura amare due donne allo stesso tempo e se, su questo duplice fronte, si dovesse perire, questa sarebbe pur sempre la morte più bella. Ovidio teorizza che il lecito piace meno del proibito, che l’abitudine e la sazietà generano la noia, che l’amore richiede anche la sofferenza, perché la ripulsa, la simulazione o il tradimento della donna acuiscono il desiderio.
Tali e simili massime gli procurarono la fama di poeta leggero e mondano o addirittura scandaloso e immorale, quale dovette apparire innanzitutto ad Augusto, che nell’ 8 d.C. gli inflisse un duro esilio sul Mar Nero che mai sarebbe stato revocato. Convince la congettura, riportata da Ghedini, che l’elogio di Elena di Troia nell’Arte amatoria fosse in modo trasposto un’approvazione e una difesa della libertà sessuale dell’unica figlia di Augusto, Giulia Maggiore, che il padre stesso aveva bandito nel corso della sua politica di moralizzazione della società romana: tanto provocatorio ardimento da parte di Ovidio non poteva restare impunito.
Se tutti questi aspetti del profilo di Ovidio corrispondono al vero, non bisogna tuttavia ignorare né il realismo della sua descrizione della fisiologia dell’amore né la sua sincera confessione della contraddittorietà del proprio comportamento, dato che egli rifugge da ciò che lo insegue e insegue ciò che lo fugge, odia le proprie colpe e nello stesso tempo brama l’oggetto del proprio odio, tanto che nei Rimedi all’amore arriverà a indicare le vie e i mezzi per liberarsi dalla servitù della stessa passione che aveva celebrato: sta qui un elemento della serietà e anche dell’universalità della sua esperienza. Negli Amori e nell’Arte amatoria interviene costantemente, anche se per lo più a titolo di exemplum, il mito. Nelle Eroidi, che sono una raccolta di lettere immaginarie in distici elegiaci di eroine ai propri amanti o mariti lontani e costituiscono un genere letterario originalmente creato dal poeta, le figure femminili, fatta eccezione per Saffo, sono mitologiche.
Conoscenza e ispirazione mitologica di Ovidio confluiscono infine nell’opera maggiore, le Metamorfosi, poema nuovo e singolare sotto il profilo del contenuto come della tecnica e dello stile, incentrato sul tema dell’incessante mutamento delle forme nel mondo. Attraverso 15 libri in esametri Ovidio raccoglie, collega e narra per la prima e unica volta nella storia letteraria (solo Marino, nel Seicento, tenterà con l’Adone un’impresa analoga) tutti i bellissimi miti del patrimonio greco-romano, dal caos primordiale fino alla glorificazione di Giulio Cesare, creando una sorta di Bibbia pagana di millenaria vitalità.