Corriere della Sera - La Lettura
Guardatemi: anche la gonna del flamenco ha una vita da maschio
Il danzatore e coreografo Manuel Liñán porta la sua sfida a Milano
Una gonna a vita alta, che fascia i fianchi per scampanarsi dal ginocchio in giù in una lunga coda a balze, saettante, con cui arpionare lo spazio circostante per attirarlo a sé. Ma anche sinuosa, apparentemente mansueta, da avvolgere intorno ai piedi di un corpostatua, le cui linee si impennano lungo braccia alte, sopra il capo, e fioriscono in mani incantatorie. È nata come altare alla femminilità la bata de cola, l’abito a coda che trasforma la ballerina di flamenco in una chimera imperiosa e seducente, regina della scena. Molto più di un accessorio, una tecnica antica e complessa, scandita in vueltas e fermate.
Ma se, a indossare la bata e a svelarne i segreti in lezioni per donne, è il vigoroso Manuel Liñán, ecco che l’icona flamenca (accompagnata dal mantón, lo scialle a frange, o dal ventaglio, in versione total black/white) muta forma e valenza. Il bailaor e coreografo granadino trentottenne — insignito dal ministero della Cultura spagnolo del Premio Nacional de Danza nel 2017 per «avere allargato l’orizzonte del flamenco attra- verso un’interpretazione nutrita da diverse influenze», dopo l’esordio nel 2005 al fianco di Olga Pericet in Cámara Negra, manifesto di un baile libero da pregiudizi — si racconta così a «la Lettura» così: «Considero la bata de cola un’estensione del mio corpo, del mio linguaggio fisico. Non è un elemento esteriore, la interiorizzo. Porta sensibilità e leggerezza al baile, complementare, in termini coreutici, e quindi universale. Mi consente di esplicitare, attraverso l’espressione gestuale, la mia parte femminile. In passato, delle bailaora come Milagros Mengibar ne hanno rivoluzionato a tecnica. Oggi evolve anche grazie agli uomini, interpreti e coreografi».
Liñan si è appropriato della bata tanto da considerarla tra gli elementi basici del suo flamenco. L’ha inserita, infatti, anche in Baile de autor, lo spettacolo che presenterà, nel capoluogo lombardo, in occasione dell’anteprima di MilanoFlamencofestival, il 18 novembre al Piccolo Teatro Strehler, con un finale danzato su uno specchio d’acqua. «Torno al minimalismo del flamenco, attraverso la sua essenza: danza, canto e chi-
tarra. Baile de autor — dice — evoca uno spazio intimo dove affondano le radici del mio lavoro di regista, coreografo e interprete. È un modo per assaporare il gusto di incontri speciali, per abbandonarmi al capriccio di ballare costruendo su me stesso e decostruendo. Vivo incalzato da una costante urgenza di ricerca».
Il flamenco, secondo Manuel, è viaggio, in senso geografico, fisico, interiore, declinato negli spettacoli Nómada,
Sinergia e nel recente Reversible, in cui ha esplorato le molteplici identità di un danzatore in scena, sia in termini di abiti sia di tecnica, passando dal polo femminile a quello maschile, un tema su cui sarà focalizzata la prossima creazione intitolata Viva!, al debutto assoluto al Teatros del Canal di Madrid l’8 febbraio 2019, nella quale Liñan interpreterà, assieme ad altri cinque colleghi, le donne creative del flamenco. «In scena vivo la dualità come globalità dell’essere artista. E come traguardo di libertà».
Il baile ha vissuto un’epoca d’oro, tra gli anni Sessanta e Ottanta, con Antonio Gades e le sue coreografie dal taglio nar- rativo, amplificate dal cinema di Carlos Saura. Poi, un’apparente stasi creativa. Oggi la ricerca è ripartita, grazie alla generazione di autori e interpreti tra i trenta e i quarant’anni, come la Pericet, Marco Flores, Daniel Doña e lo stesso Liñán che indica, tra i suoi maestri, Carmen Cortés, Manolete, El Güito e Rafaela Carrasco. «È un processo naturale: tutte le arti per sopravvivere — afferma — devono evolvere con un’anima contemporanea. La nostra generazione ha grandi riferimenti alle spalle e un cammino nuovo da inventare. In passato, il flamenco era un genere estetico, talvolta apparentato al café chantant, dove l’espressione era marginale. Oggi richiede drammaturgie e temi aderenti alla società. Noi artisti portiamo in scena la nostra stessa vita: amore, dolore per un lutto, desiderio di libertà espressiva».
Nel caso di Liñán è stato un processo obbligato: «In me, l’ispirazione nasce da una necessità. Da bambino ero molto timido, faticavo a esprimermi verbalmente. Nel flamenco ho trovato un canale per le mie inquietudini e intuizioni».