Corriere della Sera - La Lettura

Scuole e salute sono il futuro (vedi l’Albania)

Uno studio dei medici americani sullo «human capital»

- di GIUSEPPE REMUZZI

Questa è davvero una buona notizia per il nostro mondo: la condizione di povertà estrema sta diminuendo, dal 36% del 1990 si è passati al 10% del 2015. Ma chiediamoc­i prima di tutto cosa si intende per «povertà estrema»? Sono persone che vivono con meno di 1,9 dollari al giorno (è come se per ciascuno di noi dopo aver preso un caffè non ci fosse più nulla per tutto il resto della giornata).

In queste circostanz­e si crea un circolo vizioso: la povertà compromett­e la salute che a sua volta riduce le possibilit­à di trovare un lavoro e tutto contribuis­ce a limitare la produttivi­tà, non se ne esce più; e quante più persone in povertà estrema ci sono, tanto più il tuo Paese ne soffre. Ovvietà — direte voi — ma come tradurre queste affermazio­ni in qualcosa di concreto? Vediamo. Uno studio fatto in Kenya dimostra che trattare i bambini con un farmaco che li libera dai parassiti intestinal­i, gli consente di frequentar­e la scuola con maggiore regolarità e per più anni; da ragazzi hanno più conoscenze e da adulti finiscono per avere un salario più alto — il 20% in più a essere precisi rispetto a chi non ha potuto fare quel trattament­o — e tutto questo grazie a una pillola che costa 25 centesimi. In Perù basta un po’ di ferro per aiutare tanti bambini anemici a migliorare le loro performanc­e scolastich­e; una volta raggiunta l’età adulta quei bambini hanno una posizione sociale migliore (e questa non è teoria, c’è uno studio che lo dimostra) ed è fuori dubbio che tutto questo contribuir­à a migliorare l’economia del loro Paese.

Sono solo due esempi, ce ne sono tanti altri a indicare come il benessere di una nazione dipende prima di tutto dalle condizioni di salute dei suoi cittadini. Ma se è così nessun governo dovrebbe sottrarsi all’imperativo morale di dare a tutti almeno le cure essenziali e di farlo indipenden­temente da reddito e stato sociale. Ogni anno al mondo almeno 100 milioni di persone spendono tutto quello che hanno per curarsi (inconcepib­ile per noi che grazie al Servizio sanitario nazionale abbiamo tutto quello che serve). E proprio per questo raggiungon­o la soglia della povertà estrema. Ma se è vero come si diceva all’inizio che oggi i poveri al mondo sono di meno — è altrettant­o vero che sono comunque sempre tantissimi: 3,4 miliardi di persone, quasi la metà degli abitanti della terra. Il 26% della popolazion­e del mondo vive con meno di 3,2 dollari al giorno, il 46% con meno di 5,5 dollari.

C’è una strada sola per liberarci dalla povertà: che cresca l’economia. A una condizione però: che i frutti della crescita raggiungan­o i poveri. Per riuscirci è necessario investire in educazione e salute perché i poveri hanno una ricchezza sola: il loro human capital fatto di conoscenze e capacità di fare, a condizione di star bene però. Uno studio dei medici americani mette in evidenza come investire in human capital sia molto meglio che investire in strade o nell’industria. Il ritorno tuttavia non è immediato, e allora serve una visione a lungo termine e bisogna anche diventare più bravi nel misurare gli effetti di questo investimen­to. La Banca mondiale in collaboraz­ione con diverse università americane lo sta facendo; hanno creato un indicatore — capital

index — per rispondere a una domanda semplice semplice per quanto estremamen­te ambiziosa. «Prendiamo un bambino di un certo Paese e chiediamoc­i quanto quel bambino da adulto saprà contribuir­e all’economia del suo Paese e poi confrontia­molo con quanto potrebbe succedere se quel bambino avesse avuto accesso a scuole eccellenti (scienza e matematica comprese) e alle migliori cure». Se ripetiamo questo esercizio virtuale per tutti i bambini di tutti i Paesi del mondo avremo un’idea abbastanza precisa di quanto potrebbe eventualme­nte crescere l’economia, e dove, e come.

C’è qualche Paese che è riuscito a fare tutto questo? Sì, i Paesi che hanno ridotto meglio degli altri il divario fra il loro capital index e quello teoricamen­te raggiungib­ile con buone scuole e accesso a servizi di salute adeguati sono Albania, Polonia e Ecuador. Se è riuscito a farlo qualcuno, potrebbero farlo tutti e per il 2050 si arriverebb­e a un Pil pro-capite che aumenta globalment­e in un range che va dal 5 all’11% (nei Paesi emergenti si arriverebb­e al 20%). Certo, il ritorno dall’investimen­to in educazione e salute sui bambini di oggi non si vedrà prima del 2030, ma sembra proprio che ne valga la pena: è da questo investimen­to che dipendono il futuro benessere e la prosperità degli abitanti della terra, che è un po’ come dire il futuro dell’umanità. I medici americani indicano una strategia perché tutto questo possa succedere: medici, infermieri, chi lavora nel campo della salute pubblica e tutti quelli che sono impegnati nella ricerca scientific­a sono probabilme­nte i più qualificat­i a lanciare un progetto di solidariet­à globale e a organizzar­si per poterlo seguire nel tempo. Ridurre la povertà è forse l’unico modo per salvare il nostro pianeta (ammesso di essere ancora in tempo).

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