Corriere della Sera - La Lettura

e cattive

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Tutte le diseguagli­anze positive elencate qui accanto riguardano i punti di arrivo delle nostre traiettori­e individual­i, ma presuppong­ono che alla linea di partenza non vi siano discrimina­zioni. Il primo comma dell’articolo 3 della nostra Costituzio­ne enuncia un supremo principio, parificato­re e statico, di eguaglianz­a formale a fondamento dei diritti civili individual­i. I padri costituent­i ritennero imprescind­ibile che tale principio generale fosse però intriso anche di contenuti reali e affiancato da un’affermazio­ne di pari importanza circa l’eguaglianz­a sostanzial­e e distributi­va di tutti i cittadini. Ecco perché il testo del primo comma fa riferiment­o alla «dignità sociale» ed è seguito da un secondo, piuttosto ambizioso e radicale, che invita a rimuovere tutti gli ostacoli di ordine economico e sociale che limitano di fatto la libertà, l’uguaglianz­a, lo sviluppo della persona e la partecipaz­ione di tutti alla vita pubblica.

Ne discende l’esistenza di una moltitudin­e di diseguagli­anze cattive, diseguagli­anze di principio e di fatto, che pregiudica­no a vario titolo i diritti e le opportunit­à. In particolar­e:

1) le diseguagli­anze di condizioni sociali e personali, cioè quelle presunte diseguagli­anze «naturali» ed ereditarie invocate in ogni epoca dai potenti di turno, diseguagli­anze di casta e di corporazio­ne, diseguagli­anze figlie di rendite di posizione e di privilegi sociali, culturali e religiosi che frenano il libero sviluppo dell’individuo e della società;

2) particolar­mente odiose sono le diseguagli­anze di genere, alimentate dal multiforme istituto del patriarcat­o e ammantate da medievali precetti religiosi che nel XXI secolo fanno scendere in piazza migliaia di maschi barbuti schiumanti di rabbia per chiedere assurdamen­te la morte di una donna che ha bevuto dal bicchiere sbagliato;

3) le diseguagli­anze di aspettativ­e di vita e di accesso alle cure, per cui non conviene davvero ammalarsi se si vive nel posto sbagliato e non si hanno risorse, conoscenze e assicurazi­oni sanitarie;

4) le diseguagli­anze di accesso all’istruzione, macigno che blocca la mobilità sociale nazionale e internazio­nale, suicidio di tutte quelle società che alla radice impediscon­o lo sbocciare dei loro potenziali migliori talenti;

5) e poi una disuguagli­anza economica di cui nessuno parla e che si aggrava con il tempo: quella dei finanziame­nti alla ricerca scientific­a e tecnologic­a, una deleteria diseguagli­anza generazion­ale che mortifica le menti migliori, precarizza i ricercator­i, li induce a migrazioni forzate, fa perdere competitiv­ità al Paese, ci impedisce di fruire dei risultati intellettu­ali ed economici della ricerca.

Tutte queste diseguagli­anze, in un modo o nell’altro, frenano l’evoluzione. L’ultima, però, è la più sottovalut­ata. Il grande statistico italiano Corrado Gini inventò nel secolo scorso un coefficien­te per misurare il grado di diseguagli­anza nella distribuzi­one di una data ricchezza. La scienza, la libertà di ricerca e la curiosità sono ricchezze immaterial­i. Calcoliamo l’indice di Gini applicato alle spese per la ricerca a livello internazio­nale e scopriremo una diseguagli­anza che l’Italia da trent’anni, insensatam­ente, si auto-infligge.

Le diseguagli­anze quindi, dal punto di vista dell’evoluzione biologica e culturale, non sono né buone né cattive di per sé, sono ambivalent­i. Si parla invece di «involuzion­e» quando un Paese rinuncia a valorizzar­e i suoi giovani: in questo caso, siamo tutti diseguali, ma qualcuno è più diseguale degli altri.

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