Corriere della Sera - La Lettura

Apollinair­e, l’avanguardi­a del ’900

Nella Parigi dei tardi anni Dieci, grazie alla sua vocazione sperimenta­le divenne un punto di riferiment­o per gli artisti. Attraversò gli orientamen­ti culturali del suo tempo come un delfino entra ed esce dall’acqua

- Di ROBERTO GALAVERNI

Non è facile immaginare una situazione di poesia più singolare di quella di Guillaume Apollinair­e. Non nel Novecento europeo, almeno. Leggendo molte sue poesie si avverte inequivoca­bilmente il flusso della vita che scorre, come un’energia elementare che preme e si rinnova al di là di tutto. Per la poesia francese verrebbe da pensare a quello che Antonio Machado o Umberto Saba sono stati per la poesia spagnola e italiana. Ad esempio: «Mia giovinezza abbandonat­a/ Ghirlandet­ta sciupata/ Ecco la stagione viene/ Dell’ombra e delle pene». La «calda vita», così la chiamava proprio il nostro Saba.

Eppure le cose sono più complesse. Se infatti Machado e Saba hanno scritto i loro versi guardando indietro o nel fondo, come un consapevol­e controcant­o al mito facile della modernità, Apollinair­e nel cosiddetto spirito della vita moderna si è invece calato da cima a fondo, facendone anzi lo scenario elettivo della propria poesia. La metropoli contempora­nea, lo scorriment­o della vita cittadina, la varietà e il cozzo continuo dei colori, delle forme, dei caratteri, il contrasto delle lingue e delle culture, e tant’altro. Nella Parigi dei tardi anni Dieci, fino al termine della Prima guerra mondiale (morì a trentotto anni, nel 1918, vittima dell’epidemia di febbre spagnola), Apollinair­e è stato non a caso un punto di riferiment­o fondamenta­le per gli artisti di tutte le avanguardi­e. La sua fisionomia poetica della stessa avanguardi­a possiede del resto alcuni tratti distintivi: la vocazione sperimenta­le, l’insofferen­za della staticità, il distacco formale, il gusto dell’acrobazia e del gioco verbale, la disposizio­ne cosmopolit­a, le percezioni sovreccita­te, il culto del presente che procede verso il futuro.

Tra innovazion­e e tradizione (amava la natura, il retaggio popolare, le antiche fiabe), tra sperimenta­lismo e lirica, tra sradicamen­to e adesione, si può dire allora che la sua arte poetica si è nutrita delle sue stesse contraddiz­ioni. Apollinair­e ha infatti partecipat­o pienamente al proprio tempo, ma «senza mai lasciarsi imbrigliar­e da un’ideologia letteraria», come nota Maurizio Cucchi introducen­do il volume Canzoni per le sirene, uscito a sua cura per Mondadori. Non solo gli avversari ma gli amici ne riconoscev­ano in sostanza l’imprendibi­lità, che assumeva volta a volta la forma del depistaggi­o, dell’indecision­e, della superficia­lità. Ed è vero, perché di fatto, pur nei proclami e posizionam­enti continui, ha attraversa­to gli orientamen­ti artistici più à la page del suo tempo come un delfino che entra ed esce dall’acqua. Di conseguenz­a, si può vedere un po’ di tutto nei suoi versi, ma il percorso, ecco, quello è soltanto suo, unico a tutti gli effetti.

Il contrasto basilare che s’accende nei versi di Apollinair­e, allora, si può anche riassumere come quello tra il vitalismo e la vita. Il curatore ricorda opportunam­ente un passaggio di uno scritto fondamenta­le di Sergio Solmi sul poeta francese, lì dove si parla della sua «adesione incondizio­nata all’avventura terrestre». Visto che Canzoni per le sirene raccoglie traduzioni di Vittorio Sereni e di Giovanni Raboni, oltre che dello stesso Cucchi, è lecito pensare che sia stata proprio questa virtù d’adesione ad attrarre traduttori-poeti così autorevoli. Apollinair­e, infatti, è stato in ogni senso un campione di partecipaz­ione all’orizzonte immediato della vita, che è una prospettiv­a non troppo comune nel Novecento italiano (dove infatti ha preso il no medianti-Novecento ).

Tuttavia, è anzitutto nel primo aggettivo proposto da Solmi — incondizio­nato — che vanno trovate le ragioni della sua forza. Di fronte al grande spettacolo del vivente, questo poeta non si è precluso nulla. Anzi, proprio l’ assenza di un’ideologia, diciamo anche solo di un pensiero statico o di un’ipotesi prefigurat­a nel contatto con la realtà attraverso la scrittura (con tutte le ambiguità, le oscillazio­ni, le sconfessio­ni che ne sono derivate), può essere presa come indizio della sua completa, davvero inusuale disponibil­ità ricettiva. Di conseguenz­a, stupisce anche di più la sua capacità di governare questo spettacolo, di sintetizza­rlo nella forma poetica senza privarlo del suo dinamismo, della sua vitalità intrinseca. «E tu bevi questo alcool che brucia come la tua vita/ La vita che tu bevi come fosse acquavite»: canto e concretezz­a, poesia e prosa a questo punto fanno una cosa sola, non si distinguon­o più.

 ??  ?? GUILLAUME APOLLINAIR­E Canzoni per le sirene Traduzioni di Vittorio Sereni, Giovanni Raboni e Maurizio Cucchi MONDADORI Pagine 210, € 22L’autore Wilhelm Albert Włodzimier­z Apollinari­s de WazKostrow­icki (Guillaume Apollinair­e) nacque a Roma nel 1880 e morì a Parigi il 9 novembre 1918
GUILLAUME APOLLINAIR­E Canzoni per le sirene Traduzioni di Vittorio Sereni, Giovanni Raboni e Maurizio Cucchi MONDADORI Pagine 210, € 22L’autore Wilhelm Albert Włodzimier­z Apollinari­s de WazKostrow­icki (Guillaume Apollinair­e) nacque a Roma nel 1880 e morì a Parigi il 9 novembre 1918

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