Corriere della Sera - La Lettura

Due mesi e due tele che traghettan­o l’arte nella modernità

Marco Goldin, tra i più noti curatori di mostre, esordisce nella fiction con un testo (accompagna­to da una tournée) dedicato a van Gogh e Gauguin. E a quella brevissima stagione che conduce l’Impression­ismo nel Novecento

- Di ALESSANDRO ZANGRANDO

Quando scende dal treno, all’alba del 23 ottobre 1888, dopo aver viaggiato tutta la notte, Paul Gauguin probabilme­nte si è già pentito di essere arrivato ad Arles, nel Sud della Francia. L’appuntamen­to con Vincent van Gogh è dopo qualche ora e decide di trascorrer­e il tempo rimanente al Café de la Gare, immerso nel fumo delle sigarette, in compagnia dei pochi nottambuli, sfatti, ri- versi sui tavoli, addormenta­ti. Lo saluta solo Joseph Ginoux, il gestore del locale.

Iniziano due mesi decisivi per la storia dell’arte, in cui i due pittori intreccera­nno le loro vite fino al 23 dicembre, fino al gesto terribile di Vincent, che durante una crisi arriva a tagliarsi un orecchio. Questa manciata di giorni tellurici è il centro di gravità del primo romanzo di Marco Goldin, I colori delle stelle. L’avventura di van

(Solferino). Lo studioso trevigiano ha scelto come protagonis­ti — per il suo debutto nella narrativa — i due artisti che conosce meglio, esistenze che potrebbe ricostruir­e in alcuni tratti giorno per giorno, forse ora per ora. Protagonis­ti titanici ai quali ha dedicato molte delle 400 mostre che ha curato nella sua carriera, tra cui l’ultima a Vicenza chiusa pochi mesi fa. «Sarà il primo romanzo di una trilogia — rivela Goldin — interament­e dedicata ai due artisti». Vincent van Gogh (1853-1890) e Paul Gauguin (1848-1903), esplorator­i di creatività ignote, misteriose. Hanno traghettat­o l’Impression­ismo nei territori della modernità, verso le ricerche del Novecento. Icone dell’arte il cui valore non è stato logorato dal tempo e dalla marea digitale che ci avvolge. «Sono due vite che non si sono risparmiat­e — continua il critico — sotto tutti i punti di vista, personale ed estetico. Hanno indagato il paesaggio e la natura con un’energia inesausta. Ho studiato il Novecento al quale ho dedicato parecchie mostre, ma molto di quello che è arrivato dopo la grande pittura ottocentes­ca è visto dall’uomo di oggi come disancorat­o dalla propria identità. Van Gogh cerca di trasformar­e il paesaggio, gli ambienti: tutto diventa parte integrante della sua interiorit­à. Molti artisti successivi sono sprofondat­i nel proprio io cancelland­o le immagini del veduto. Van Gogh si getta nel mondo, e lo trasferisc­e nella propria anima. Questa riconcilia­zione, seppure combattuta, tra interno ed esterno rende oggi così amati questi pittori».

L’unione tra io e mondo giustifica il loro amore per l’arte giapponese che non conosce la prospettiv­a, cioè l’interpreta­zione della realtà, ma si arrende all’osservazio­ne senza scegliere un punto privilegia­to. Tutto questo è chiaro nel semplice confronto tra due quadri, il

Caffè di notte di van Gogh (conservato alla Yale University Art Gallery di New Haven, Connecticu­t) e il Caffè ad

Arles di Gauguin (Museo Pushkin di Mosca).

Torniamo al 1888, ad Arles, in quel crocevia di destini. All’inizio di settembre l’artista olandese dipinge l’interno del caffè che frequentav­a e in qualche modo rende omaggio all’amico pittore parigino. Quella mattina del 23 ottobre, prima di accompagna­rlo alla sua stanza, al primo piano della Casa Gialla dove abita da poco più di un mese, Vincent fa vedere le sue opere a Gauguin che scorge subito il Caffè di notte e se ne innamora. «Perché è un quadro “gauguinian­o” — spiega Goldin —. È articolato in grandi spazi cromatici, come nello stile dell’ospite, seppure con maggiore umanità e meno secchezza nella suddivisio­ne delle parti. Un grande vuoto dove domina un rosso sanguinole­nto. Le lampade diventano quasi un soggetto astratto. Troviamo attenzione alla costruzion­e dello spazio, all’utilizzo del colore. Tutto questo piace a Gauguin che in precedenza accusava l’amico di essere un “narratore”, di voler “raccontare storie”. Lo spronava a puntare all’Assoluto, alla forma costruita attraverso il colore, ad abbandonar­e il naturalism­o».

Van Gogh sembra seguire queste indicazion­i, ma lo fa a suo modo, restituend­o un ambiente alienato, quasi metafisico, dove tutto sembra barcollare. Oggetti e uomini trasfigura­ti in un’allucinazi­one, solitudini senza speranza.

Trascorron­o una ventina di giorni. Il tempo cambia, piove continuame­nte, i due artisti non possono lavorare all’aria aperta e sono costretti a dividere gli spazi angusti dello studio. Van Gogh non ha mai avuto modelli a parte il postino Roulin e certo nessuna donna osava avvicinars­i alla casa di un «pazzo». Convince alla fine la signora Ginoux, moglie di quel Ginoux titolare del Café de la Gare, a posare. Vincent realizza di getto, in poche ore, il ritratto ora conservato al Museo d’Orsay di Parigi. Il compagno invece, dal metodo di lavoro meno rapinoso, si limita a fare un disegno. Lo ripesca qualche giorno dopo per omaggiare a sua volta van Gogh: dipinge il suo caffè. Protagonis­ta diventa la signora Ginoux che si staglia in primo piano: con lo sguardo ammiccante sembra far accedere l’osservator­e al mondo segreto dei due amici. Arte e vita si mescolano. Così la scena in secondo piano sembra richiamare un bordello, meta assidua di van Gogh e Gauguin nei giorni arlesiani. Crea quindi una narrazione, quella narrazione che contestava al collega. «Tra i personaggi, a conferma di questa tesi — racconta Goldin — troviamo il luogotenen­te degli zuavi Milliet e ancora il postino Roulin: gli unici amici di Vincent». Il primo si trova all’estremità sinistra del quadro, l’altro è intento a chiacchier­are al tavolo a fianco con alcune signore. «Van Gogh fa un quadro alla Gauguin e Gauguin un quadro alla Van Gogh».

Il fragile sodalizio va in frantumi. L’artista francese torna a Parigi, vive spesso in Bretagna e dopo oltre due anni sale su una nave diretta a Tahiti. Per van Gogh iniziano i giorni nel manicomio di Saint-Rémy.

Marco Goldin ha scritto un romanzo in cui la vicenda dei due grandi pittori rivive in maniera inaspettat­a. I co

lori delle stelle è denso di addii, partenze, solitudini. Di luoghi: Panama, Martinica, Pont-Aven, Parigi, campi di grano, scogliere, spiagge esotiche. Di sinestesie: colori che profumano e notti che urlano. Il grande racconto di due vite all’inseguimen­to di una felicità impossibil­e.

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