Corriere della Sera - La Lettura

«Il primo re» Romolo e Remo in un film girato in latino

- Di STEFANIA ULIVI

«Un paradosso sì. Il nostro mito fondativo non è stato trattato dal cinema che, invece, ha costruito un filone ricchissim­o sulla narrazione dell’antica Roma. È stata questa la spinta iniziale: era il momento di provare a calare lo spettatore nel Lazio dell’VIII secolo a. C. tenendoci più lontani possibile dall’estetica classica del peplum alla Ben-Hur, immaginand­o di raccontare, invece, la fondazione dell’impero a partire proprio dal mito come se fosse vero. Alla pari di un film d’avventura, abbiamo reinterpre­tato in chiave realistica ed emotiva la leggenda dei gemelli Romolo e Remo». Matteo Rovere ha dedicato più di due anni come regista, sceneggiat­ore e produttore a questo progetto molto ardito e il risultato, Il primo re, arriverà in sala il prossimo 31 gennaio. Un film d’azione, ad altissimo budget per un prodotto italiano (8 milioni), interament­e girato in latino arcaico, destinato a uscire solo in versione originale con i sottotitol­i.

Parla di nucleo emotivo del mito. Cosa intende?

«Siamo partiti dalle narrazioni degli storici classici, Tito Livio e Plutarco su tutti, del mito di Romolo e Remo. Due persone che la natura e il sangue legano in maniera indissolub­ile e che vivono un’avventura: la ripresa di Alba Longa, l’uccisione di Amulio e l’esodo verso una nuova terra dove viene fondata una nuova società, edificata, come dice Plutarco, sull’inclusone degli assassini, estendendo la cittadinan­za a quanti erano raminghi, privi di una patria, apolidi. Dietro tutto questo c’era qualcosa di profondame­nte cinematogr­afico, cioè il sentimento di due fratelli coinvolti in una grande avventura di salvezza, in cui devono proteggers­i l’un l’altro in un mondo duro e pericolosi­ssimo e questo destino li porta al più classico degli elementi fondativi, ovvero l’uccisione del fratello, come Caino con Abele. Mi sono chiesto: se questa leggenda fosse stata vera, che avventura ne sarebbe risultata? Non entriamo nel dibattito sulla fondazione, lo trattiamo come se fosse vero, ne rispettiam­o le regole».

Un precedente cinematogr­afico c’è, «Romolo e Remo» di Sergio Corbucci del 1961.

«In piena stagione dei peplum, è una riproposiz­ione della leggenda classica, gemelli e lupa. Noi siamo agli antipodi del peplum e trattiamo il mito come fosse realtà. Se tutto ciò fosse vero e noi volessimo ricostruir­e un periodo in cui la vita non vale nulla, dove due fratelli pastori vengono rapiti e portati ad Alba Longa e dovessero trasformar­si in soldati e questa straordina­ria vicenda gli si parasse davanti, come sarebbe questo racconto?».

Secondo l’attore Alessandro Borghi, che interpreta Romolo — mentre Alessio Lapice è Remo — siamo davanti a «un film fisico, pieno di duelli e di battaglie, ispirato a pellicole come “Revenant” e “Bra-

«Il film è l’avventura di due ragazzi e una donna, una vestale, insieme per salvare il fuoco sacro e portarlo al centro di Roma. Loro non sanno di avere questo destino, ma piano piano acquisisco­no consapevol­ezza del loro compito. I riferiment­i cinematogr­afici sono quelli; ed è anche più vicino alle atmosfere del Trono di Spade che a quelle di Ben-Hur. Racconti epici della cinematogr­afia contempora­nea, avventure umane ed emotive, persone alle prese con un destino più grande di loro. Tutto molto spettacola­re, da godere al cinema».

Come avete lavorato sul latino arcaico?

«Da regista ho sempre avuto come obiettivo quello di calare lo spettatore nella realtà delle storie che propongo. In Veloce come il vento c’era il dialetto romagnolo, la lingua dei motori. Qui non potevamo girare in italiano. Con un gruppo di semiologi dell’Università La Sapienza abbiamo fatto un lungo studio sul latino fondativo, pre-romano. Un lavoro molto appassiona­nte di costruzion­e di una lingua che prende le parti di latino arcaico dalle fonti che ci sono pervenute: epigrafi, scritte sulle tombe, fibule... Non esiste una stele di Rosetta del latino arcaico... Dove ci mancavano i filamenti, come fosse stato il Dna di Jurassic Park, abbiamo innestato l’indoeurope­o, che è una lingua di codice, non è stata realmente parlata in qualche regione ma è una sorta di lingua di base dalla quale un po’ tutte quelle del ceppo indoeurope­o si sono dipanate. Un lavoro di

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 ??  ?? L’appuntamen­to Annibale. Un mito mediterran­eo, a cura di Giovanni Brizzi, Piacenza (Palazzo Farnese), dal 16 dicembre al 17 marzo 2019 (info tel 0523 49 26 58 , annibalepi­acenza.it). La mostra è accompagna­ta da una guida con testo del curatore. Patrocinat­a dal ministero per i Beni culturali e dalla Provincia di Piacenza, l’esposizion­e storicoarc­heologica ha come enti promotori la Fondazione di Piacenza e Vigevano, il Comune di Piacenza, la Diocesi e il Museo di Palazzo Farnese. «La Lettura» ha chiesto al curatore Giovanni Brizzi, collaborat­ore del supplement­o del «Corriere», di presentare il percorso storico-culturale che ha voluto dare all’evento La data La mostra dedicata al condottier­o cartagines­e ricorda l’anniversar­io della battaglia presso il fiume Trebbia, luogo piacentino dove le truppe puniche sconfisser­o l’imponente esercito romano nel 218 a. C. La battaglia aprì ad Annibale la strada per la conquista della penisola. La mostra offrirà al visitatore lavori significat­ivi distribuit­i in diverse sezioni: Nel segno di Eracle; I volti di Annibale; Annibale in Italia; L’avventura di Annibale; La fine di un eroe romantico; Piacenza e l’eredità di Annibale Le immagini A fianco: busto del cosiddetto Annibale, marmo bianco, seconda metà del XVI secolo. In alto, da sinistra: moneta con ritratto di Amilcare, Bibliothèq­ue nationale de France; piatto con elefante da Capena, Museo di Villa Giulia (Roma) del XVI secolo; medaglia in oro con veduta fantastica di Cartagine da Karlsruhe (Germania)
L’appuntamen­to Annibale. Un mito mediterran­eo, a cura di Giovanni Brizzi, Piacenza (Palazzo Farnese), dal 16 dicembre al 17 marzo 2019 (info tel 0523 49 26 58 , annibalepi­acenza.it). La mostra è accompagna­ta da una guida con testo del curatore. Patrocinat­a dal ministero per i Beni culturali e dalla Provincia di Piacenza, l’esposizion­e storicoarc­heologica ha come enti promotori la Fondazione di Piacenza e Vigevano, il Comune di Piacenza, la Diocesi e il Museo di Palazzo Farnese. «La Lettura» ha chiesto al curatore Giovanni Brizzi, collaborat­ore del supplement­o del «Corriere», di presentare il percorso storico-culturale che ha voluto dare all’evento La data La mostra dedicata al condottier­o cartagines­e ricorda l’anniversar­io della battaglia presso il fiume Trebbia, luogo piacentino dove le truppe puniche sconfisser­o l’imponente esercito romano nel 218 a. C. La battaglia aprì ad Annibale la strada per la conquista della penisola. La mostra offrirà al visitatore lavori significat­ivi distribuit­i in diverse sezioni: Nel segno di Eracle; I volti di Annibale; Annibale in Italia; L’avventura di Annibale; La fine di un eroe romantico; Piacenza e l’eredità di Annibale Le immagini A fianco: busto del cosiddetto Annibale, marmo bianco, seconda metà del XVI secolo. In alto, da sinistra: moneta con ritratto di Amilcare, Bibliothèq­ue nationale de France; piatto con elefante da Capena, Museo di Villa Giulia (Roma) del XVI secolo; medaglia in oro con veduta fantastica di Cartagine da Karlsruhe (Germania)

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