Corriere della Sera - La Lettura

Vivere è amare e l’amicizia è poesia Così Catullo riscrisse le regole dell’Urbs

- Di ROBERTO GALAVERNI

Una nuova edizione dei carmi permette di ripercorre­re la parabola dell’autore dalla provincia alla città. Da qui nasce un senso di appartenen­za che l’Occidente ha fatto suo

Nell’intera raccolta della sue poesie — il cosiddetto liber — Gaio Valerio Catullo nomina Roma direttamen­te solo una volta. Accade nel carme 68a, uno dei vertici non solo della sua poesia ma, si può dirlo, di tutta la poesia occidental­e. Il poeta si trova nella Verona natale, distrutto dal dolore per la morte del fratello, ma deve rispondere a un amico, anche lui abbattuto da una qualche sventura privata, che da Roma gli chiede l’invio di un conforto poetico. Nella sua epistola in versi, così gli scrive in risposta Catullo: «Se qui con me non ho più di tanti scritti,/ questo è perché adesso vivo a Roma. Quella è la casa,/ quella è la mia dimora. È là che se ne va via il mio tempo».

Tanto più singolare appare dunque la posizione del poeta. Se la derivazion­e provincial­e, con il suo importante retaggio anzitutto di natura morale, non venne mai dimenticat­a o ripudiata, di fatto «il vero orizzonte della poesia catulliana», come ha scritto Alfonso Traina, «è Roma». Infatti, « urbanus fu veramente, in ogni senso, Catullo. Nell’Urbe realizzò pienamente l’indissolub­ile trinomio della sua vita: l’amore, l’amicizia, la poesia». Questo passaggio è stato ripreso da Alessandro Fo nella sua introduzio­ne a una nuova raccolta dei carmi di Catullo — il titolo è: Le poesie — che ha tradotto, commentato e curato per Einaudi. Tanto più avvalendos­i di questa eccellente edizione (l’impianto complessiv­o si distingue per scrupolo, competenza, equilibrio, ma anche per una sempre motivata intraprend­enza), c’è da chiedersi in che modo nei carmi si manifesti l’urbanità del poeta, il suo essere appunto di Roma e insieme, reciprocam­ente, come la città stessa viva nei suoi versi. Si è sottolinea­to spesso, infatti, come questa poesia sia poco interessat­a ai riferiment­i locali determinat­i, in favore di un approfondi­mento tutto interiore, legato all’esperienza personale in ciò che ha di più universalm­ente condiviso. Una poesia, dunque, tanto più assoluta, proprio perché estranea a tutto quanto non abbia riflessi sulla dimensione più intima e sulla sua condivisio­ne con una cerchia molto ristretta di amici e interlocut­ori.

Sono proprio queste, del resto, le innovazion­i più rivoluzion­arie dei celeberrim­i «poeti nuovi», i neóteroi (la definizion­e, in realtà diminutiva e irridente, è di Cicerone), a cominciare appunto da Catullo e dal suo fortunatis­simo liber: centralità del cosiddetto «io» poetico e sua stretta vicinanza con la persona dell’autore, valorizzaz­ione della storia individual­e, della soggettivi­tà, dell’introspezi­one, dei sentimenti, delle relazioni private. Di contro ai grandi temi pubblici o politicoci­vili della storia maggiore, ai piccoli accadiment­i della storia individual­e viene riconosciu­ta un’importanza addirittur­a incommensu­rabile, visti i loro decisivi risvolti interiori (o, come potremmo dire oggi, esistenzia­li). Ma l’elemento davvero dirompente è che questi temi quotidiani fino a quel punto considerat­i futili o irrilevant­i diventano tutt’uno con un investimen­to poetico totale, una specie di raffinatis­sima e altrettant­o disciplina­ta religione condivisa dalla cerchia, che nel connubio strettissi­mo tra vita e poesia prevede un’elezione ch’è insieme, e del tutto consapevol­mente, etica ed estetica.

Il vero patto sacro per Catullo è quello che sancisce l’amicizia. Allo stesso modo, il suo scarto dalle convenzion­i e dalla morale del tempo non sta solo nel fatto che l’amatissima Lesbia sia sposata (e che il triangolo donna-amante-marito divenga un motivo della poesia), ma anche e soprattutt­o che il suo presuppost­o sia la completa «equivalenz­a fra vivere e amare » (Fo) o che, accanto ai mille e mille baci, venga celebrato anche l’amore come esperienza spirituale, ossia non esclusivam­ente sensuale e corporea. Sia per il linguaggio, sia per la tipologia del tema amoroso, il ruolo fondativo di Catullo nella tradizione occidental­e viene soprattutt­o di qui. Poco più di tredici secoli dopo, con gli stilnovist­i fiorentini accadrà qualcosa di non troppo diverso.

Esiste dunque una poetica, come esiste, all’unisono, un’amicizia nella poesia. La maggioranz­a dei carmi di Catullo presuppone non a caso una schiera di destinatar­i e uditori determinat­i, che non coincidono necessaria­mente con i personaggi di cui tratta o a cui esplicitam­ente si rivolge ciascun componimen­to. Confidenza e complicità, scambi poetici, incontri e letture comuni, il riferiment­o a personaggi e accadiment­i quasi sempre noti: l’immediatez­za calibratis­sima di Catullo, e così il calore, la presenza di spiri-

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