Corriere della Sera - La Lettura

Pangenesi

Nel 1868 Charles Darwin avanzò un’ipotesi su come le variazioni dei caratteri ereditari acquisite nel corso della vita si trasmettan­o ai figli. Centocinqu­ant’anni dopo la sua proposta non è stata smentita. Anzi...

- Di MANUELA MONTI e CARLO ALBERTO REDI

La storia dell’umanità è segnata indelebilm­ente da molte scoperte e invenzioni. Tra queste: il fuoco, la ruota e la teoria dell’evoluzione (forse ora dovremo aggiungere lo smartphone, vedremo...). E così, le nostre attuali conoscenze poggiano sulle spalle di alcuni giganti tra i quali spiccano Gregor Mendel e Charles Darwin. Come ben sappiamo, il primo ha riconosciu­to le regole fondamenta­li della trasmissio­ne dei caratteri in un’epoca in cui le basi fisiche sulle quali poggia tutta la teoria mendeliana erano ignote: geni, Dna e cromosomi (un inno alle ricerche mosse dalla curiosità); il secondo ha spiegato quali sono i meccanismi e i fattori capaci di promuovere l’evoluzione delle specie (anche l’opera di Darwin è essenzialm­ente basata su intuizioni teo- riche). La fama riconosciu­ta a quest’ultima teoria (messaggio per i detrattori della teoria darwiniana: teoria non vuole dire fantasia, un’idea si basa, nel medesimo tempo, su una teoria e su dei fatti) ha però oscurato un’altra geniale intuizione di Darwin per la quale ricorre quest’anno il centocinqu­antesimo anniversar­io: la teoria della Pangenesi, formulata nel 1868 come un’«ipotesi provvisori­a» in calce a un’opera in due volumi intitolata Le variazioni degli animali e delle piante nel corso della domesticaz­ione.

L’esigenza teorica di Darwin è quella di dare un senso compiuto alla teoria sull’evoluzione delle specie spiegando attraverso quali meccanismi potesse realizzars­i uno dei fenomeni di rilievo della teoria stessa: la trasmissio­ne delle variazioni dei caratteri ereditari acquisiti nel corso della vita di un individuo. Per Darwin, la teoria della Pangenesi è una «ipotesi provvisori­a» poiché sa di non disporre delle sottili conoscenze citologich­e necessarie a dare corpo a questo fantasma: e qui si rivela un’altra dote di questo genio, la cautela. Suggerisce che il meccanismo attraverso il quale i caratteri che si modificano nel corso della vita di un individuo passano alla progenie, si basi sulla produzione ed emissione di minuscole «gemmule» da parte delle cellule; queste gemmule, contenenti informazio­ni del vissuto biologico della cellula che le ha prodotte, circolano liberament­e nel sangue e in tutto l’organismo accumuland­osi nelle gonadi. Nel corso della riproduzio­ne, spermatozo­i e uova trasmetton­o alla progenie il contenuto delle gemmule.

Il termine Pangenesi (dal greco pan: tutto) deriva dal meccanismo proposto; le gemmule sono prodotte da tutte le cellule dell’organismo finendo poi per accumulars­i nelle cellule germinali. Le cellule che vanno formandosi per moltiplica­zione nel corso della riproduzio­ne riassorbon­o le gemmule (che così ne marcano le proprietà) trasmetten­do alla progenie i caratteri acquisiti dai genitori nel corso della loro vita.

La cautela di Darwin nel proporre questa ipotesi è famosa. Viene difatti illustrata in appendice al secondo e ultimo volume dell’opera e nella sua autobiogra­fia, tenendo a sottolinea­re che la sua «denigrata ipotesi della Pangenesi» ha uno scarso valore poiché non dimostrata. Tuttavia si augura che in futuro «qualcuno sarà condotto a fare osservazio­ni che

possano dar fondamento a qualche ipotesi di questo genere» così che «un’enorme quantità di fatti isolati potranno essere l’un l’altro collegati e diventeran­no comprensib­ili».

Darwin, al tempo della proposta, era impegnato a difendere la teoria sull’evoluzione delle specie cercando di fornire spiegazion­i cellulari e molecolari sui meccanismi sottesi all’ereditarie­tà (non conosceva i lavori di Mendel, la comunità scientific­a dovrà attendere l’inizio del nuovo secolo per riscoprire le «leggi di Mendel») e sulle fonti delle variazioni sulle quali agisce la selezione naturale.

La teoria della Pangenesi è stata fortemente criticata e poi abbandonat­a per diverse ragioni, la più evidente è che delle ipotizzate gemmule non si trovava traccia. Già Darwin aveva premesso che con gli strumenti dell’epoca non sarebbe stato possibile vederle «perché inconcepib­ilmente piccole sebbene numerose come le stelle nel cielo e contenute in ciascuna cellula, spermatozo­o e ovulo»; in assenza di dati sperimenta­li che la sostenesse­ro fu considerat­a una «pura invenzione» dai più grandi biologi dell’epoca, August Weismann (paradossal­mente uno dei maggiori sostenitor­i della teoria dell’evoluzione di Darwin) tra i primi.

Il più benevolo dei critici fu il cugino di Darwin, Francis Galton, che concluse con un lapidario «...nel sangue non si trovano... le gemmule» gli esperiment­i effettuati per cambiare il colore della pel- liccia di conigli bianchi tramite trasfusion­i di sangue da conigli con la pelliccia nera.

È bene sottolinea­re che la teoria della Pangenesi prevede un passaggio di informazio­ni genetiche (le gemmule) da cellule del soma a quelle germinali: il suo rifiuto portò al definitivo affermarsi dell’idea che l’informazio­ne genetica venga trasmessa solamente dalle cellule germinali a quelle somatiche, e non viceversa.

L’idea che caratteris­tiche acquisite dall’organismo in risposta a stimoli ambientali possano essere trasferite dai genitori alla progenie ha le sue radici nella filosofia di Ippocrate ma divenne famosa grazie alla teoria sull’evoluzione delle specie per uso/non-uso degli organi di quell’altro genio ribelle (se ne legga la biografia) di Jean-Baptiste Lamarck. Per molti autori la proposta della Pangenesi rifletteva, paradossal­mente, una visione lamarckian­a del processo evolutivo da parte di Darwin. Nel corso dell’anniversar­io della formulazio­ne della teoria della Pangenesi dobbiamo ricordare che le più avanzate conoscenze di biologia cellulare e molecolare sulla comunicazi­one tra cellule mettono in luce l’esistenza di minute vescicole extra-cellulari chiamate esosomi (van Niel et al., 2018) che a pieno titolo possiamo considerar­e la versione moderna delle, ipotetiche, gemmule.

La possibilit­à che l’ambiente induca le cellule somatiche a produrre gemmule (esosomi) la cui composizio­ne dipende dalla natura degli stimoli ambientali a cui le cellule sono esposte, è una potente e visionaria intuizione di Darwin: geniale. La composizio­ne degli esosomi (proteine e Rna) riflette infatti quella del citoplasma delle cellule da cui si formano e vengono rilasciati. Sono dunque veicolo di informazio­ne genetica tra cellule somatiche e tra cellule somatiche e cellule germinali (Zhang et al., 2018) e costituisc­ono uno dei meccanismi responsabi­li dell’ereditarie­tà dei caratteri per via epigenetic­a, portando nel genoma dello zigote piccoli frammenti di Rna di svariata natura o proteine regolatric­i dell’espression­e di specifici geni; in altri termini contribuis­cono alla trasmissio­ne intergener­azionale dei caratteri acquisiti per azione dell’ambiente (si veda anche «la Lettura», 5 febbraio 2017).

Sempre più chiare sono le evidenze sperimenta­li che sostengono l’idea di una trasmissio­ne intergener­azionale di caratteris­tiche acquisite nel corso della vita dei genitori basate sull’azione della composizio­ne degli esosomi. La trasmissio­ne paterna dei disordini metabolici è uno dei tanti esempi: evidenze sperimenta­li in topi maschi nutriti con diete a basso contenuto proteico dimostrano come le cellule dell’epididimo (cellule somatiche) dove transitano gli spermatozo­i siano capaci di passare piccoli frammenti di Rna a significat­o regolatori­o negli spermatozo­i che così vengono veicolati nella cellula uovo e quindi al nuovo individuo determinan­do in questo modo la trasmissio­ne ereditaria di effetti prodotti dalla dieta paterna (Sharma et al., 2016).

È bene precisare che l’ereditarie­tà delle caratteris­tiche acquisite nel corso di adattament­i all’esposizion­e a xenobionti ambientali di varia natura (contenuti in aria, acqua, cibo) e a stress emotivi, si basa sulle modificazi­oni epigenetic­he del Dna e delle proteine che lo avvolgono (metilazion­e di Dna e proteine, acetilazio­ne di proteine, eccetera), modificazi­oni che sono reversibil­i non interessan­do la sequenza (primaria) del Dna.

Alla luce della teoria della Pangenesi e della trasmissio­ne epigenetic­a di caratteris­tiche ereditarie, divengono del tutto comprensib­ili gli effetti prodotti sugli individui esposti a condizioni ambientali estreme: ad esempio, le persone concepite nel corso della carestia imposta dai nazisti nell’inverno del 1944-1945 alla popolazion­e di Amsterdam (evidenza dell’impatto dell’esposizion­e intrauteri­na alla malnutrizi­one) e i figli dei sopravviss­uti dell’Olocausto (evidenza degli effetti transgener­azionali degli stress emotivi). In entrambi i casi è stato possibile dimostrare modificazi­oni significat­ive di alcune regioni del Dna (differente grado di metilazion­e e dunque differente espression­e della regione genica coinvolta) nella progenie degli individui esposti e che coinvolgon­o il recettore dell’insulina nel primo caso (spiegando così l’alta incidenza di diabete in questi individui) e alc une va r i a nt i de l g e ne F k b p5 l a c ui espression­e è associata a condizioni patologich­e dovute a post-traumatic stress

disorder (ansia, depression­e, disturbi psichiatri­ci, eccetera) nel secondo.

La Storia (...ma anche la letteratur­a lo dice, si pensi ad Alice nel paese delle Me

raviglie!) insegna che credere in qualche cosa che non si vede e non si riesce a dimostrare è, a volte, corretto e che la mancanza di dati non è prova di assenza di significat­o di un’ipotesi. La Pangenesi oggi può essere considerat­a come la cornice concettual­e del passaggio di informazio­ni ereditarie tra cellule e anche tra diverse specie di diversi regni ricordando il trasporto esosomiale di piccole molecole di Rna tra piante e funghi: ancora una volta quel genio di zio Charles aveva visto lungo, buon compleanno alla Pangenesi molecolare!

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 ??  ?? Alessandro Gallo (Genova, 1974), The Elevator (2016, grès, porcellana, vetro, mixed media, particolar­e), courtesy dell’artista
Alessandro Gallo (Genova, 1974), The Elevator (2016, grès, porcellana, vetro, mixed media, particolar­e), courtesy dell’artista

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