Corriere della Sera - La Lettura
I due mondi sono uno solo
Paolo Bozzi: fenomenologia sperimentale e fisica ingenua
«Filosofia e musica, studierai. Universi che si completano a vicenda». Così, con una preveggenza priva di particolari entusiasmi, il padre di Paolo Bozzi (19302003) indovinò il futuro di suo figlio che, ancora bambino, iniziava ad armeggiare con quel violino che non avrebbe più abbandonato. A metà anni Cinquanta, «laureato in filosofia indeciso tra la logica e la psicologia sperimentale», Bozzi incontra lo psicologo gestaltista Gaetano Kanizsa, che lo chiama nel suo laboratorio triestino e gli mette sotto gli occhi strutture visibili elementari dalle quali, grazie a opportune modificazioni, «conseguivano effettivi visibili paradossali e inaspettati, in contrasto con ciò che ci aspetteremmo conoscendo la fisica, l’ottica e le pratiche comuni del buon senso». È la svolta: Bozzi diventa il teorico e il maestro (numerosissimi gli allievi) della fenomenologia sperimentale e della fisica ingenua. A guidarlo, in entrambe le imprese, le ricadute teoriche di quanto Kanizsa gli mostrava in laboratorio, ovvero che non ci sono due mondi, «uno fenomenico e un altro al di là di esso»: un monismo che, unito alla acribia dello storico della scienza, gli avrebbe consentito di spiegare perché la fisica moderna fosse stata costretta a depurare l’esperienza diretta da quelle «qualità» che il metodo fenomenologico le restituiva. A questa figura di umanista totale, consapevole di essere fuori sincrono rispetto alla ricerca dominante, è riconosciuto un tributo importante e attuale dall’antologia Paolo Bozzi’s Experimental Phenomenology (a cura di Ivana Bianchi, già collaboratrice di Bozzi, e Richard Davies), che lo consacra definitivamente oltreconfine. È composta da 18 articoli tra i più rappresentativi dell’opera dello psicologo goriziano commentati da 22 studiosi che ne raccolgono idealmente il lascito.