Corriere della Sera - La Lettura

E Bowie si dicono verità da bugiardi

Burroughs

- Di RANIERI POLESE

Maestro: per gli amici Beat, William Burroughs era il Maestro. E non solo per la sua cultura, gli studi universita­ri, i libri importanti che aveva letto ma soprattutt­o per la sua esperienza di droghe e stupefacen­ti. Dallo yage (un decotto di erbe amazzonich­e) a tutti gli oppiacei che lui aveva provato. E i cui effetti (lui li chiamava «dilatazion­i della coscienza») sapeva trascriver­e nei suoi libri con una tecnica di scrittura particolar­issima.

Con le droghe, del resto, Burroughs aveva stretto un forte legame, qualcosa di più della dipendenza: erano la presenza costante, continua della sua vita e della sua storia di scrittore. L’altro legame, altrettant­o importante, era con un ricordo, un brutto ricordo. Quello della morte della seconda moglie, Joan Vollmer, che lui aveva ucciso a Città del Messico il 6 settembre del 1951. Di ritorno da un viaggio in Sudamerica, in casa davanti agli amici aveva invitato la moglie a fare «il numero di Guglielmo Tell». Joan si era messo sulla testa un bicchiere e lui aveva sparato, colpendola in fronte. «Non sarei mai diventato uno scrittore se non ci fosse stata la morte di Joan. Vivo sotto la minaccia costante di essere posseduto, e sotto il bisogno costante di sfuggire alla possession­e, al Controllo. La morte di Joan mi ha messo in contatto con l’invasore, con lo Spirito Orrendo, e mi ha costretto a una lotta senza fine, in cui l’unica via di uscita può essere la scrittura»: scriveva così Burroughs in Queer pochi anni dopo.

L’autore de Il pasto nudo, del resto, ha sempre detto che per raccontare la sua vita bastavano i suoi libri. E che non credeva nelle interviste. Eppure, di interviste negli anni ne aveva concesse molte, spesso ad amici (Gregory Corso) o a giornalist­i. Raccolte dal francese Sylvère Lotringer, escono ora in italiano le Interviste: auto-interviste, articoli con domande e risposte ma anche interviste che lo stesso Burroughs ricavava da incontri con personaggi interessan­ti. Molti protagonis­ti della scena rock — David Bowie, Iggy Pop, Talking Heads, Patti Smith, Frank Zappa — riconoscev­ano in Burroughs l’ispiratore, e andavano a parlare con lui. A lui, però, quella musica non interessav­a, e se ne scriveva era per danaro. Eppure, in alcuni casi, fra lo scrittore e il musicista scattava un’improvvisa, inattesa sintonia. È quanto succede con Bowie, nell’intervista a Londra del ’74. Da poco più di un anno, Bowie è diventato famoso con l’album e lo spettacolo The Rise and Fall of Ziggy Stardust and the Spiders from Mars e la storia del ragazzo che sa che il mondo sta per finire ma arriverann­o dallo spazio esseri alieni (è il testo della canzone Starman) capaci di salvarlo. Però la discesa degli extraterre­stri si rivelerà una catastrofe, per il mondo e per Ziggy. Il tema che accomuna rockstar e scrittore è l’ossessione per il controllo della mente, l’invasione di potenze estranee. Quando Bowie gli dice che per lui la musica è destinata a finire per lasciare il posto all’impero delle immagini, Burroughs resta affascinat­o. Lo scrittore chiede al musicista se crede nella menzogna. «Sono un tremendo bugiardo — risponde Bowie — ma in realtà non mento in modo deliberato. È che cambio sempre idea». E Burroughs: «Anch’io».

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