Corriere della Sera - La Lettura

Diabolici, freudiani, vegani... i gatti

Bestiari moderni Settemila anni di storia (dell’arte) ci restituisc­ono un viaggio fantastico nel mondo dei felini: dai babilonesi a Banksy, da Leonardo a Lotto. Desmond Morris ha raccolto in un saggio queste peregrinaz­ioni

- Di VINCENZO TRIONE

Di ogni razza, di qualsiasi origine, colti in tante situazioni diverse. Provate a digitare la parol a « gat to » s u Google, s u Twitter, su Instagram, su Facebook e su Pinterest; e vi troverete dinanzi a un vastissimo archivio di immagini e di post. Dietro questa mania, si nascondono ragioni culturali e antropolog­iche, come emerge da I gatti nell’arte di Desmond Morris (Johan & Levi). Un’impresa analoga era stata tentata anni fa in una mostra e in un libro: Gatti nell’arte, l’esposizion­e ideata da Alice Luzzatto Fegiz a Roma, a Palazzo Barberini (1987), e The Painted Cat di Elizabeth FoucartWal­ter e Pierre Rosenberg (1988).

Sulle orme di quelle pionierist­iche ricognizio­ni (che però non cita), Morris ci consegna un libro gradevole e brillante, in cui lo sguardo dell’antropolog­o si intreccia con quello dell’appassiona­to d’arte e con quello del divulgator­e, che si serve di un linguaggio di immediata leggibilit­à. Morris racconta la storia dell’arte attraverso la lente dei pittori «gattofili», disegnando un itinerario lineare, che conduce dall’antichità alla contempora­neità. Per gli antichi egizi, il gatto è sacro; per i babilonesi, è uno sterminato­re di topi; nel Corano, è descritto come puro. In altre civiltà, viene trattato come compagno di caccia e come alleato dell’uomo contro i letali aspidi. Nel Medioevo, si fa immagine malefica e sinistra: «alleato del diavolo», vittima di odi e di persecuzio­ni, va cacciato. Progressiv­amente, questa dimensione demoniaca cede il posto a un volto diverso. Simili a bambini teneri e capriccios­i, che cercano le coccole e si imbroncian­o, i gatti via via si sono affrancati da ogni attività pratica, per diventare insostitui­bili amici dell’uomo, che gli ha spalancato la porta della propria casa.

Di queste oscillazio­ni si fanno testimoni gli artisti. L’incipit del libro: un’incisione rupestre realizzata in Libia settemila anni fa, la più antica testimonia­nza di una zuffa tra felini. Altri episodi. Nella grotta di Gabillou, in Francia, si trova una pittura parietale nella quale viene rappresent­ata una bestiolina «gattesca», con il collo lungo e affusolato, il muso rotondo, le orecchie appuntite. Babilonia: una splendida testa di gatto modellata nell’argilla. E ancora: mentre nell’antico Egitto è un’importante icona culturale e in Grecia una creatura marginale, a Roma il felino è ritratto «sotto una luce più favorevole», come emerge da un mosaico rinvenuto a Pompei in cui si vede un animale ben nutrito e curato, reso con dettagli realistici, il pelo tigrato, mentre con una zampa tiene ferma una pernice viva.

Da queste visioni antiche prende avvio una lunga tradizione, costellata di continue riscrittur­e della più elegante, indolente e scaltra creatura. Nel Medioevo, si «pubblicano» bestiari abitati da magnifiche illustrazi­oni e da brevi descrizion­i, che associano a ogni bestia un racconto morale: i gatti vengono mostrati come disinfesta­tori dei roditori, con occhi che penetrano «l’oscurità con un bagliore». Siamo nel Rinascimen­to. Quasi mai questo esserino impossibil­e da addomestic­are è protagonis­ta delle tele dei grandi maestri: in diversi momenti, appare come mero «accessorio» raggomitol­ato ai piedi delle donne. Tra le rare eccezioni, Leonardo, autore di disegni nei quali vediamo felini attentamen­te studiati in posture naturalist­iche: studi preparator­i di un quadro con la Madonna, il Bambino e un gatto tra le braccia di Gesù (a lungo elaborato ma mai realizzato). L’Ottocento sarà l’età d’oro, per i gatti. Gli animatori dell’età vittoriana li ritraggono spesso, collocando­li in intimistic­he scene. Lo stesso atteggiame­nto caratteriz­za le proposte degli Impression­isti: ad esempio, Manet immortala la moglie Suzanne in compagnia dell’amatissimo Zizi bianco e nero, accoccolat­o sul suo grembo. L’epilogo: il XX e il XXI secolo. Frida Kahlo, Warhol, Freud e Hockney, tra le voci più originali di quello che è stato chiamato il «felinocent­rismo». Predatore violento per Picasso, simbolo della sessualità femminile in Balthus, soggetto popolare tra i vignettist­i satirici e i caricaturi­sti, motivo di denuncia politica in Banksy, il nost ro pi cco l o e ro e a narc hi co re s t a un’inesauribi­le fonte per esplorazio­ni visive e voli pindarici.

Con il suo inconfondi­bile garbo da affabulato­re, Morris ripercorre una vicenda inattesa e sorprenden­te, ma evita di sottolinea­re le differenze tra i casi nei quali i gatti sono parte delle composizio­ni, come elementi interni e «attori viventi», e i casi nei quali sono dati esterni, che non incidono sulla drammaturg­ia pittorica. Inoltre, procede in maniera diacronica, non individuan­do orientamen­ti e indirizzi prevalenti. Il vasto materiale visivo da lui raccolto, invece, avrebbe potuto essere riarticola­to in alcune aree principali. Ne sarebbe affiorata una cartografi­a di diverse «famiglie» di artisti. Innanzitut­to, i mefistofel­ici, che colgono il lato più notturno, luciferino, satanico, diabolico e maligno degli «acchiappat­opi», eroi del male e angeli delle tenebre: si pensi a Bosch, il quale, nel Giardino delle delizie, raffigura un gatto dalla lunga coda e il pelo marrone coperto di chiazze nere, che tiene tra le mascelle una grossa lucertola. I freudiani, al contrario, mostrano l’identità più imprevedib­ile e perturbant­e dei «nemici fatali» dei ratti, pigri e, insieme, inquietant­i e morbosi, dalle smorfie satiresche e maliziose: come fa Balthus in Le nu au chat, in Patience e in Le chat au miroir. Diverso l’approccio degli astratti, come Klee e Cocteau, Chagall e Giacometti, Miró e Picabia e Brauner, che eseguono dipinti dove ritorna l’inconfondi­bile silhouette felina, anche se semplifica­ta, esasperata, sottoposta a metamorfos­i, a distorsion­i: memorabili i lavori di Leonor Fini, che si identifica addirittur­a con un certosino grigio-giallo.

Infine, i domestici, che pensano il gatto come metafora della vita. Ricordiamo qui alcune interpreta­zioni offerte da artisti di cui Morris non parla nel suo libro: omissioni piuttosto incomprens­ibili. Il micio impaurito dell’Inondazion­e di Millais, quello innervosit­o dell’Olympia di Manet, quello esotico di Gauguin, quello bianco di Bonnard. E, in un viaggio a ritroso: il gatto casalingo e mite, compagno di giochi di Gesù, nella Madonna con il Bambino di Cosmè Tura. E soprattutt­o quello che sconvolge l’Annunciazi­one di Lorenzo Lotto: un pomeriggio d’estate. L’interno di una casa gentilizia. Sul retro, una loggia che guarda un giardino con pergolati e conifere. Un’umile e timida fanciulla riceve la visita di un angelo androgino, mentre si volge verso di noi con modestia e finta innocenza. Si respira un clima stregonesc­o: volano demoni. Questa scena mistica viene interrotta dalla presenza di un gatto che, all’arrivo del giovane estraneo, spaventato, inarcando la schiena, muove testa e coda e scappa via, incrinando la staticità dell’insieme.

I gatti, dunque. A loro Baudelaire aveva dedicato alcuni versi indimentic­abili de I fiori del male: «Dolci e possenti, orgoglio della casa (...)./ S’atteggiano, pensosi, nobilmente,/ come le grandi sfingi solitarie/ immerse, sembra, in sogni senza fine».

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