Corriere della Sera - La Lettura
Il commissario Balistreri e il delitto di Natale
lei piace il Natale, dottor Balistreri?».
Feci finta di non aver sentito. L’età mi consentiva quel lusso senza che apparissi troppo scortese. Mastroianni non si chiamava davvero così, aveva vinto per otto anni consecutivi il titolo di poliziotto più bello d’Italia con percentuali bulgare. Avrebbe vinto anche il premio del più ingenuo, se fosse esistito. Ma io mandavo sempre lui a interrogare le donne dai quaranta in su, riusciva a farle cantare tutte. Solo lui avrebbe potuto rivolgermi una domanda del genere, il preludio di una lamentela. Il bellone era seduto dietro, accanto a Giulia Piccolo. Al mio fianco Graziano Corvu guidava a passo d’uomo lungo la via del centro tutta addobbata a festa e strapiena di gente che si affrettava per gli ultimi acquisti natalizi.
Gli uomini erano in maniche di camicia, le donne senza calze. Il clima stava impazzendo, un Natale oltre i venticinque gradi non me lo ricordavo da quando, a vent’anni, ero fuggito dalla Libia con la mia vecchia giacca che sembrava lo spigato siberiano del ragionier Fantozzi.
La lamentela di Mastroianni arrivò, puntuale e prevedibile come l’ottavo scudetto consecutivo della Juve.
«Un omicidio nel pomeriggio del 24 dicembre, con tutta la mia famiglia che viene a cena da noi...». Come sempre, Corvu lo rimbrottò. «Piantala Mastroianni, vedi che io non mi lamento? Pensi che non lo festeggi anch’io il Natale?».
Come sempre Mastroianni cominciò a sfotterlo.
«E con chi, Graziano? Sei solo come un cane, Natalya è partita, che ti fai un cenone con le capre della tua Sardegna?».
Come sempre Giulia Piccolo intervenne, per placare gli animi. «Accosta, Graziano, ci siamo». Li avevo visti per tanti anni i miei collaboratori, ogni giorno, conoscevo le loro battute a memoria.
E da domani che fai, Balistreri? Ti compri un cane da portare ai giardinetti ogni mattina visto che il nipotino non ce l’hai?
Davanti alla porta del grande negozio di giocattoli due agenti accaldati e sudati impedivano alla gente di entrare e uscire. Il più giovane dei due, che si era slacciato i bottoni della camicia quasi fino all’ombelico, mi lanciò un’occhiata severa. «Non si può entrare. C’è stato un delitto». Il più anziano intervenne subito, prima che mandassi il giovanotto a occuparsi del traffico caotico da cui eravamo circondati. «Mi scusi, dottor Balistreri, il ragazzo è nuovo, sa...». Lasciai perdere, in fondo l’errore sulla mia identità era comprensibile. Il mio aspetto oscillava tra il barbone nei giorni no e il pugile suonato in quelli sì. Aveva tutto il diritto di non riconoscermi. Molto meno di sbottonarsi la camicia e pubblicizzare il delitto, ma faceva caldo e avevo fretta. Entrammo. «Ma che diavvolo di posto è questo?».
L’accento sardo di Corvu veniva fuori solo quando si agitava. Il che accadeva di fronte all’incontrollabile o all’incomprensibile, e la situazione aveva entrambe queste caratteristiche. Il negozio traboccava di donne e anziani che protestavano e bambini che frignavano, perché non si poteva uscire. Ma oltre alle mamme, ai nonni e ai loro pargoli, c’era una cinquantina di Babbi Natale che parlottavano, secondo loro a bassa voce, ma in realtà udibili da mamme e bambini.
Sbudellato. No, gli hanno tagliato la gola. Macché, un colpo in testa. Col martello? Ma no, di pistola! Erano agitatissimi e agitavano pure gli altri. «Manco gli avessero rubato la slitta con le renne». Le battute di Mastroianni avevano sempre lo stesso effetto, quello di irritare Corvu.
«Santa Maddonna! Devvi avvere rispetto, Mastroianni. Qui c’è un morto, non è una festa».
Ci vollero i 187 centimetri e 90 chili di muscoli d’acciaio di Giulia Piccolo per aprirci un varco tra i Babbi Natale e raggiungere il retro del negozio. Lì, alla cassa, la Befana cercava di placare la folla vociante delle mamme.
«Vi prego, state calme, abbiamo chiamato la polizia, ora arrivano e vi lasciano uscire».
Non era affatto convincente. Né come tranquillante né come Befana. Per carità, portava il cappuccio, la maschera col naso grosso e adunco, e persino la scopa, ma aveva decisamente troppe tette e troppe gambe, e attraverso le fessure della maschera vedevo due splendidi occhi azzurri. Mi avvicinai e lei mi bloccò con un gesto.
«Lei è il nonno che non trova il nipotino? Stia calmo, ora faccio un annuncio». «No, sono Michele Balistreri, il capo della Omicidi». Sbarrò gli occhioni. «Ma non sembra proprio...». «Neanche lei». «Neanche io cosa?». Mi bastò gettare un’occhiata alle feritoie. Come le chiamava il mio amico di giochi Nico Gerace? Dead cat. Aveva capito benissimo. Comunque, per non lasciarle troppi dubbi mi soffermai un po’ sulle sue tette. «Ha le guance rosse, signorina». «È il trucco sulla maschera». Se la tolse con aria sussiegosa. Begli zigomi alti, nasino, labbra rifatte, trent’anni di aspetto e quaranta reali. «Sono Bona Belloni, la proprietaria del negozio». Per un attimo ebbi il dubbio che mi stesse prendendo in giro. Poi mi resi conto che non scherzava. Certo, me lo ero sentito dire per anni che la nascita di un figlio è un momento da sballo. I genitori della Befana erano stati sconsiderati ma fortunati: se fosse venuta fuori una racchia sai che vita con quel nome e cognome. «Ho scoperto io il... Vi porto dal... dal...». Era sconvolta, come si conviene in simili circostanze. Ma per il mio occhio allenato un po’ troppo sconvolta. Aprì con una chiave una porticina da cui si accedeva al retro del negozio. Noi la seguimmo e lei richiuse subito a chiave. Ci lasciammo accompagnare giù per una scala ripida. Le vecchie mura erano scrostate per l’umidità e faceva ancora più caldo. Mastroianni sbuffava. «Cosa c’è qui sotto, l’antro della strega cattiva?». Giulia Piccolo si intromise indicando la prima porticina, con la scritta TOILETTE.