Corriere della Sera - La Lettura

La migrazione inevitabil­e

- Tra STEPHEN SMITH e padre ALEX ZANOTELLI a cura di ALESSIA RASTELLI

Alex Zanotelli, sacerdote, per molti anni in Africa, dialoga con lo studioso Stephen Smith. Non sono d’accordo su tutto, ma su una cosa sì: gli arrivi in Europa aumenteran­no. Lo dice la demografia. Bisogna prepararsi

conversazi­one

Entrambi hanno vissuto in Africa. Entrambi sono da poco usciti con libri, molto schietti, sul tema della migrazione. Non sono d’accordo su tutto, Alex Zanotelli, sacerdote, a lungo missionari­o in Sudan e Kenya, ora rientrato in Italia, nel rione Sanità a Napoli, e Stephen Smith, americano, docente alla Duke University, un passato da giornalist­a corrispond­ente dall’Africa. Il primo ha scritto Prima che gridino le pietre (Chiarelett­ere), un manifesto contro il «nuovo razzismo» e l’attuale politica italiana, ma anche europea, sui migranti, fino a legittimar­e la disobbedie­nza civile. Il secondo è autore di Fuga in Europa (Einaudi), citato — non senza scatenare polemiche — pure dal presidente francese Emmanuel Macron: un saggio, basato soprattutt­o sulla demografia, che prevede un inevitabil­e ed enorme aumento delle partenze, da qui a trent’anni, dalla giovane Africa verso la vecchia Europa.

Già nel 2016, scrive Smith (che nel libro sceglie di non distinguer­e tra migranti legali e illegali, economici e richiedent­i asilo), il 42% degli africani tra 15 e 24 anni si diceva intenziona­to a lasciare il continente (dati Gallup). E questa percentual­e è destinata a salire. Un punto su cui anche Zanotelli è d’accordo: «Siamo solo all’inizio, l’Europa deve prepararsi».

STEPHEN SMITH — Siamo soliti pensare che a spostarsi siano i poveri, ma se l’Africa continuerà il suo sviluppo economico, la migrazione sarà molto più forte nei prossimi trent’anni. Negli ultimi dieci gli africani arrivati in Europa sono stati in media 200 mila l’anno: non voglio suscitare ansia, ma è un livello che sarà superato. Al momento in Africa solo in pochissimi hanno i mezzi per mettersi in viaggio: è la classe media emergente, persone che hanno 2-3 mila euro per partire, i più dinamici, i pionieri. Oggi la middle class africana è costituita da circa 150 milioni di persone su un totale di 1,3 miliardi. Una proporzion­e piccola, ma da qui al 2050 la classe media si moltiplich­erà per quattro, vorrà partire: ci sarà una migrazione senza precedenti. L’Europa dovrà dunque essere pronta per qualcosa che è prevedibil­e, ma che ha bisogno di essere discusso nella società e nella politica, così che non sia sorprenden­te e si possa trovare una soluzione condivisa tra Africa ed Europa.

ALEX ZANOTELLI — A migrare, oltre alla classe media, sono anche i poveri. Dal 1965 al 1973 ho vissuto in Sudan, poi per oltre un decennio in uno dei peggiori slum di Nairobi, Korogocho. Questo mi ha fatto vedere il mondo con gli occhi dei bisognosi e mi aiuta oggi a capire che cosa sta accadendo. La causa fondamenta­le della migrazione è la fame. In Africa le élite stanno diventando sempre più ric- che, le masse popolari sempre più povere. Anche se è incredibil­e, perché il continente possiede petrolio, gas, risorse naturali... Queste però vengono portate via, fuori dall’Africa. La seconda causa delle migrazioni è la guerra. L’Europa, inclusa l’Italia, fornisce armi ai gruppi che si combattono l’uno contro l’altro. E ora ci sono guerre ovunque. A questo si aggiunge il cambiament­o climatico. Secondo gli scienziati, se siamo fortunati, alla fine del secolo, la temperatur­a aumenterà di 3 gradi, se siamo sfortunati di 5. E in Africa si andrà anche oltre. Così in tre quarti del continente sarà impossibil­e vivere, mentre è già in corso dagli anni Trenta-Quaranta del Novecento la più grande esplosione demografic­a del mondo. Entro il 2050 l’Onu si aspetta dall’Africa 50 milioni di profughi climatici.

STEPHEN SMITH — Questa crescita demografic­a è senza precedenti nella storia dell’umanità. Da qui a trent’anni la popolazion­e africana raddoppier­à, passando da 1,3 a 2,5 miliardi di persone, che stanno diventando sempre più giovani: già oggi il 40% ha meno di 15 anni. Il problema è che, in una società per lo più tradiziona­lista e gerontocra­tica, i ragazzi africani si sentono vittime di un’ingiustizi­a, non nutrono la speranza di arricchirs­i e raggiunger­e il potere. Anche per questo si spostano, per essere apprezzati.

ALEX ZANOTELLI — Sono d’accordo ma voglio aggiungere che 200 milioni di persone in Africa vivono negli slum. E credetemi, ci sono stato, sono molto molto peggio pure delle baraccopol­i del Sud America.

STEPHEN SMITH — Sì, due terzi di chi abita in città vive negli slum. In Africa è in corso anche un grande movimento interno: dai villaggi ai centri urbani. Ma volte chi abbandona la campagna finisce per vivere in condizioni persino peggiori, come nelle bidonville di Lagos. Il motivo per cui ci si sposta non è così diverso da quello per cui si decide di lasciare il continente: scappare dal sistema patriarcal­e, provare a cogliere qualche bagliore di modernità. Oggi 7 migranti africani su 10 si muovono all’interno del continente, 3 vanno all’estero. Ma questi ultimi aumenteran­no.

ALEX ZANOTELLI — Tanti lasciano le campagne non solo per esigenze di libertà, ma di sopravvive­nza. Nei sessant’anni trascorsi dalla conquista dell’indipenden­za, non c’è stata mai da parte dei governi africani una seria politica agricola. I vari Stati hanno proseguito con un sistema finalizzat­o all’esportazio­ne, non alla sussistenz­a. Pesa ancora l’eredità coloniale?

STEPHEN SMITH — Ci vuole equilibrio nell’affrontare questo tema. Le indi-

pendenze africane vanno riconosciu­te, ma nessuno è indipenden­te nel vuoto. Noi tutti viviamo secondo alcune costrizion­i, anche se è vero che per l’Africa sono particolar­mente forti. Gli anni del colonialis­mo hanno pesato e pesano ancora, si pensi solo alle lingue dei vari Stati, ma quell’epoca non copre migliaia di anni di storia del continente. Oggi è l’Africa a guidare l’Africa e ciò che accade è una sua responsabi­lità.

ALEX ZANOTELLI — Su questo ho un’opinione diversa. Noi europei stiamo sostenendo politiche che condiziona­no ancora profondame­nte i governi e la popolazion­e africana. Prendiamo gli Economic Partnershi­p Agreements (Accordi di partenaria­to economico, Ape): un mezzo attraverso il quale l’agricoltur­a europea svende i suoi prodotti nei mercati dei Paesi poveri. Oppure il land grabbing, l’accaparram­ento di terre da parte degli europei, ma anche e sempre più da parte dei cinesi. Sono forme di neocolonia­lismo, alle quali partecipa anche l’Italia.

STEPHEN SMITH — Sono d’accordo: i governi e la popolazion­e africana hanno poco spazio di manovra; ma regioni del mondo come la Cina, altre aree dell’Asia e dell’America Latina si sono sviluppate in condizioni simili. Oggi il presidente cinese va in America e ha un peso. È un messaggio positivo per l’Africa: anche se sei il più debole nel sistema internazio­nale, puoi riuscire a importi come un nuovo potere. Bisogna fare attenzione a non vittimizza­re l’Africa.

ALEX ZANOTELLI — Le nuove élite africane hanno enormi responsabi­lità. Ma né la Cina né l’India hanno mai avuto un’esperienza di schiavitù come quella africana, che ha lasciato un’eredità, anche antropolog­ica, enorme. A Korogocho ho sentito il profondo senso di rifiuto che gli africani hanno di sé stessi. Come valutate la reazione europea di fronte alle ondate migratorie?

STEPHEN SMITH — I razzisti sono sempre esistiti, ma l’Europa non è solo muri e fili spinati. Sono stato a Berlino di recente e lì la cultura dell’accoglienz­a è una realtà: i tedeschi aiutano i rifugiati a imparare la lingua, nella ricerca di un lavoro o di un appartamen­to. Al livello della base popolare, ci sono europei che mostrano reale solidariet­à e non vanno scoraggiat­i parlando sempre dei populisti di destra. Al contempo ciò non significa, automatica­mente, che questi cittadini vogliano aprire i confini a tutti. L’Europa ha il diritto di decidere chi entra e chi resta fuori. Il confine è uno spazio di negoziazio­ne tra vicini, non ha senso né che sia aperto né che sia chiuso per tutti. Partendo da questo presuppost­o, si può riconoscer­e che l’Europa sta forse facendo un lavoro migliore del credito che le danno i media.

ALEX ZANOTELLI — Non sono d’accordo. Certo, ci sono cittadini solidali, ma prendiamo l’Italia: le politiche razziste del governo hanno il consenso del 70% della popolazion­e. Dunque non c’è solo un problema dall’alto, ma anche dal basso. C’è un razzismo che viene fuori sempre più forte in Europa. Nella zona molto povera di Napoli in cui vivo, vedo le reazioni. Le persone sono arrabbiate per ragioni varie, ma questa rabbia viene usata dalla politica per portare avanti le sue iniziative. Ne è nata una guerra tra poveri, tra quelli che stanno qui e quelli che arri- vano da altri Paesi. Dal punto di vista degli accordi internazio­nali, poi, sono state date risposte criminali. La prima è l’intesa siglata nel 2016 con la Turchia: 6 miliardi di euro a Recep Tayyip Erdogan, un dittatore, per bloccare i siriani e gli afghani. Profughi che spesso scappano da guerre in Africa o in Medio Oriente, nate per proteggere gli interessi economici dell’Occidente. L’altro accordo criminale è tra Italia e Libia. Quest’ultima non è un Paese sicuro: un milione di africani si trovano nei lager libici, vengono torturati, le donne stuprate. Eppure cresce il consenso popolare per queste decisioni, in Polonia, Ungheria, Slovacchia, e ora anche in Italia. STEPHEN SMITH — È vero, in Europa ci sono movimenti populisti, xenofobi, nuove politiche razziste, ma ci sono anche nazioni che si comportano diversamen­te, come la Spagna, che sta cercando di fare quello che può per affrontare la crisi migratoria. Il problema è che negli ultimi vent’anni l’Ue non si è presa cura dei suoi stessi cittadini, dei perdenti della globalizza­zione, che hanno visto minacciato quello che lo Stato sociale garantiva loro. Così diciamo che la migrazione compenserà il calo demografic­o, che braccia e cervelli da altri continenti serviranno a bilanciare la perdita della nostra popolazion­e e a mantenere gli standard di vita attuali. In parte è così, ma ci vuole molto lavoro collettivo per fare di uno straniero un vicino e poi eventualme­nte un cittadino. E questo processo non è avvenuto. In molte zone d’Europa le seconde o terze generazion­i non sono integrate. Condanno anche io i discorsi d’odio, ma dobbiamo ammettere di aver tradito i membri poveri delle nostre stesse società, negando le difficoltà e la sfida della migrazione in Europa.

ALEX ZANOTELLI — La questione è che, oltre ad aver reso le persone sempre più povere, invece di puntare il dito contro le cause reali, economiche, lo si è

puntato contro i migranti, provocando razzismo. E sofferenza estrema. Io accetto l’idea di regolament­are i confini, ma non tutta questa disumanità. Stiamo uccidendo vite umane. Negli ultimi tre anni 11 mila migranti sono morti nel Mediterran­eo; 40 mila in diciotto anni. Questo sta succedendo in Europa, ora. E questa è anche la politica degli Stati Uniti, con Donald Trump. Abbiamo una responsabi­lità storica: dobbiamo reagire prima che i nostri nipoti dicano di noi quello che oggi diciamo dei nazisti. STEPHEN SMITH — Non posso non essere d’accordo sull’aspetto umanitario. Le torture dei migranti, i ricatti alle famiglie, sono conseguenz­a della politica europea. Eppure, proviamo a guardarla da un altro punto di vista: se l’Ue accettasse tutti, sempre più migranti arriverebb­ero in Libia con la speranza di raggiunger­e l’Italia e il carico di sofferenza aumentereb­be.

ALEX ZANOTELLI — Secondo l’Alto c o mmis s a r i a t o d e l l e n a z i o n i u n i t e (Unhcr), i rifugiati nel mondo sono 65 milioni: il 14% è ospitato nell’Occidente s v i l uppato, l ’ 86% nei Paesi poveri . E l’Unione europea, che ha più di 500 milioni di abitanti, in cui negli ultimi sei anni sono arrivati meno di 2 milioni di migranti, non può fare uno sforzo in più? A quanto pare no, si sente assediata. E questo in parte accade perché nell’accogliere non abbiamo fatto il nostro dovere. In Italia, ad esempio. Al netto di alcune realtà positive, si è creato un business: ci sono stati albergator­i, cooperativ­e, associazio­ni che ne hanno approfitta­to. I migranti sono stati bloccati anziché inseriti nella società, con gli italiani che, vedendoli, hanno pensato che non facessero nulla e vivessero a nostre spese.

STEPHEN SMITH — Il livello della migrazione oggi non è drammatico e, sono d’accordo, una soluzione umana va trovata: dobbiamo sempre ricordare che l’altro potrei essere io. Per il domani, tuttavia, va tenuto presente che una migrazione massiccia non farebbe bene neppure all’Africa. Ci sono persone che vivono in condizioni disperate, ma in alcuni Stati come il Senegal, il Ghana, la Costa d’Avorio, c’è speranza di futuro. Se l’Africa perde i suoi figli e le sue figlie migliori, sviluppars­i diventerà difficile. E non vale la giustifica­zione che i migranti possono inviare rimesse in patria: queste non costituisc­ono un investimen­to nel continente, ma un regalo che crea invidia e gelosie. ALEX ZANOTELLI — Il futuro è lasciare che l’Africa stia in piedi sulle sue gambe. Ma per farlo dobbiamo cambiare le nostre politiche nei suoi confronti. In questo momento stiamo ancora e soltanto aiutando noi stessi. Che cosa dovrebbe fare concretame­nte l’Europa? STEPHEN SMITH — Serve una nuova politica. I confini, controllar­li e metterli in sicurezza, fanno parte della soluzione, ma non sono la soluzione. Penso ad esempio a una migrazione circolare: persone che vengono legalmente da noi per 2-3 anni, senza la famiglia, e poi devono tornare indietro mentre altri arrivano. Gli europei potrebbero fare da mentori, giorno dopo giorno, così da rendersi conto delle difficoltà della migrazione e conoscere di più l’altro. L’Africa sa tutto dell’Europa. L’Europa non sa nulla dell’Africa. Dobbiamo trovare dei compromess­i, che aiutino a condivider­e le responsabi­lità tra Europa e Africa. Oggi quest’ultima lascia andare i migranti, anche illegali, e difficilme­nte li riprende indietro. Serve cooperazio­ne: un rapporto di solidariet­à tra vicini, che non sia né accogliere tutti né trattare gli africani come nemici. Se questo non avverrà diventerà, difficile fermare il vento nelle vele dei populisti.

ALEX ZANOTELLI — Dobbiamo interrompe­re ogni forma di neocolonia­lismo e lasciare che l’Africa diventi orgogliosa di sé stessa. Ma, in ogni caso, bisogna prepararsi a un’enorme migrazione, specie per il cambiament­o climatico. Dobbiamo essere pronti a un mondo plurale, in cui essere capaci non tanto di integrare, una parola che non mi piace, ma di includere. Questo è il futuro per vivere insieme, altrimenti la strada è combattere. E non penso che questa sia l’umanità.

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ILLUSTRAZI­ONE DI BEPPE GIACOBBE

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