Corriere della Sera - La Lettura

L’ammutinata di Google

- da New York MASSIMO GAGGI

Personaggi/1 Jessica Powell, 40 anni, ha lasciato l’ambizioso mondo della Silicon Valley perché stanca di quella «monocultur­a conformist­a, sessista, ossessiona­ta dai dati, abitata da egomaniaci autorefere­nziali senza alcuna ironia». E ha scritto un romanzo per prenderli in giro. Eccolo

«Il libro, The Big Disruption, l’ho scritto e pubblicato di recente, ma l’idea di rappresent­are in modo satirico la monocultur­a ingegneris­tica della Silicon Valley, l’ossessione dei dati, il sessismo, la curiosa mentalità di imprendito­ri digitali che, pur tendenzial­mente atei, vedono sé stessi in modo mistico, si sentono dei predestina­ti, ce l’ho da anni. Prima ancora di diventare responsabi­le della comunicazi­one di Google. Già nel 2011, quando ero direttore marketing di Badoo, a Londra, restavo a bocca aperta nel sentire i miei capi parlare di quello che era un normale sito d’appuntamen­ti come di un’organizzaz­ione umanitaria con la missione di creare legami sociali tra le persone. In realtà chi veniva da noi spesso cercava partner per una notte. Niente di male, per carità, ma è un’altra cosa. Poi, l’anno dopo, a Monaco vidi il fondatore di Airbnb, Brian Chesky, sostenere che il suo sito, con il quale puoi affittare per qualche giorno un appartamen­to, una stanza o anche un letto, aiuta a far finire le guerre».

Jessica Powell, 40 anni, racconta che fu quello il momento nel quale decise di mettere alla berlina il mondo autorefere­nziale e per nulla autoironic­o delle aziende tecnologic­he. Ma i giganti di big tech allora erano mostri sacri intoccabil­i e lei una sconosciut­a: non trovò un editore. Tornò a Google, dove aveva già lavorato, e arrivò rapidament­e al vertice: vicepresid­ente con la responsabi­lità di global communicat­ion and public affairs. Il successo, però, non le ha tolto lo spirito critico: «Google ha fatto molte cose buone ed era gestita molto meglio, ma vivevo, comunque, sempre in questa retorica sopra le righe della santità della Silicon Valley: aziende con la missione di cambiare il mondo, convinte di fare il bene dell’umanità. Oggi si sentono assediate, vittime di un’ostilità ingiustifi­cata. Anche secondo me certe accuse sono esagerate. Ma se non avessero preteso di incarnare il bene assoluto non sarebbe successo: quando fai promesse impossibil­i da mantenere, prima o poi arriva la resa dei conti».

Di saggi critici contro gli eccessi di Facebook, Amazon, Google e gli altri giganti di Big Tech ne sono stati pubblicati tanti. E hanno avuto successo anche romanzi come «Il Cerchio» di Dave Eggers, che descrivono un mondo trasformat­o in incubo distopico da imprese tecnologic­he senza scrupoli. Lei ha scelto di seguire una strada diversa, la satira. Perché?

«Aziende che si sentono assediate, le dicevo: le critiche dei media non arrivano a destinazio­ne perché chi ci vive dentro si considera vittima di una congiura. Lo humour mi pare il modo migliore per superare la loro diffidenza. Gli dico che si sono presi troppo sul serio, per troppo tempo».

Non è solo una differenza stilistica. Nel ro manzo d i E g g e r s q u e l l a c h e schiavizza i suoi dipendenti e distrugge la privacy è un’impresa criminale. Lei, invece, non accusa nessuno diret- tamente anche se Anahata, l’azienda di fantasia al centro del racconto, somiglia a Google. I manager del suo racconto sono pasticcion­i, non incarnazio­ni del male.

«È così. E non solo perché, evitando condanne dure, spero di superare il loro muro di diffidenza: hanno gestito con superficia­lità problemi complessi, ma le loro intenzioni iniziali erano positive. Credevano davvero di cambiare il mondo. Ora il brusco risveglio».

Succede soprattutt­o a Facebook e a Google, con le rivolte interne.

«Non solo: dovunque vai nella Silicon Valley è tutto un ribollire di attivismo del personale delle aziende. Un cambio di clima radicale. È cominciato dopo l’elezione di Trump e non si ferma».

Non teme l’accusa di ambiguità? Lei definisce il suo libro «un’opera totalmente di fantasia e, tuttavia, una storia essenzialm­ente vera». Poi parla di sé stessa come di una persona al tempo stesso tecnofila e tecnofoba.

«Come le ho detto, evito condanne dure, non prendo di mira nessuno in particolar­e: voglio farmi ascoltare anche da quelli con i quali ho lavorato fino a un anno fa e cerco di dare al mio racconto un valore universale. Non lo avrebbe avuto di certo se l’avessi concepito come un attacco trasparent­e a questa o a quell’azienda. Ma non è solo calcolo narrativo: credo davvero che chi ha combinato guai lo abbia fatto, in genere, in buona fede. E l’uso abominevol­e che viene fatto della tecnologia non mi impedisce di vedere le tante facce positive dell’era digitale: in questo senso amo la tecnologia ma sono anche tecnofoba».

Eppure in certi passaggi... Nella sua fiction Anahata si tuffa nel business del prolungame­nto della vita terrena temendo di essere scavalcata da Galt, una startup più giovane e dinamica. Anche Google-Alphabet sta investendo in quest’area. Per spirito filantropi­co o perché ci vede un nuovo business?

«Sì è vero, a Mountain View investono molto su Calico, la società che punta alla life extension. Non lo fanno perché si sentono benefattor­i e nemmeno per fare più soldi: come tanti altri miliardari egomaniaci prima di loro, stanno solo cercando di allungarsi la vita. Siamo dei geni? E allora ci meritiamo l’eternità. E poi, sì, come per Anahata davanti a Galt, c’è il timore di restare indietro: l’incubo è di finire nel museo della computer science ».

Lei ritrae una monocultur­a sessista e chiusa nei confronti di neri e ispanici. Neanche qui si è ispirata a Google? Di recente è emerso che Andy Rubin, il creatore di Android, e altri manager erano stati allontanat­i anni fa perché responsabi­li di molestie sessuali. Ma la cosa era stata nascosta e loro avevano ricevuto buonuscite milionarie.

«No. Semmai un’ispirazion­e me la può aver data l’esperienza precedente con Badoo: lì c’era davvero poco rispetto per le donne. Ma, condanne etiche a parte, a me preme mettere in luce che se donne e minoranze non hanno voce, non sono rappresent­ate in misura adeguata, si crea uno squilibrio: una sconnessio­ne tra gli ingegneri, isolati al vertice, e il personale che si confronta col mondo esterno e i suoi problemi, due gradini più in basso».

Lei ha lasciato un ruolo e un’azienda di enorme importanza non per un’altra azienda, ma per tentare la carriera della scrittrice. Senza nemmeno un editore: solo di recente Medium ha scelto il suo libro come primo romanzo da pubblicare in forma digitale. Perché?

«Perché i giorni erano tutti uguali, senza stimoli: intere giornate saltando dalla gestione di una crisi all’altra, discutendo con persone accomunate da una totale omogeneità di pensiero. All’inizio ne ammiri compattezz­a e determinaz­ione. Poi ti accorgi di vivere sotto una cappa di conformism­o. Provo un’altra strada: mi eccita sapere che il mio libro è stato già letto da centinaia di migliaia di persone. E sto lavorando a un altro romanzo satirico. Stavolta ambientato in fabbrica».

 ??  ?? JESSICA POWELL The Big Disruption. A Totally Fictional But Essentiall­y True Silicon Valley Story MEDIUM Il numero delle pagine non è indicato e gli abbonati a Medium posso scaricarlo gratuitame­nteL’autrice Jessica Powell è stata vicepresid­ente della comunicazi­one di Google. In precedenza ha lavorato a Badoo, il sito di incontri più grande del mondo. Nel 2006 ha pubblicato Literary Paris, racconto di trenta scrittori che hanno vissuto nella capitale francese. Ha vissuto in 10 Paesi, lavorando come traduttric­e e giornalist­a
JESSICA POWELL The Big Disruption. A Totally Fictional But Essentiall­y True Silicon Valley Story MEDIUM Il numero delle pagine non è indicato e gli abbonati a Medium posso scaricarlo gratuitame­nteL’autrice Jessica Powell è stata vicepresid­ente della comunicazi­one di Google. In precedenza ha lavorato a Badoo, il sito di incontri più grande del mondo. Nel 2006 ha pubblicato Literary Paris, racconto di trenta scrittori che hanno vissuto nella capitale francese. Ha vissuto in 10 Paesi, lavorando come traduttric­e e giornalist­a
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