Corriere della Sera - La Lettura

Non contano i passi che fai ma le impronte che lasci

- Di CLAUDIO CHIAPPUCCI

«Nella vita non contano i passi che fai, ma le impronte che lasci». Questa frase l’ho letta pochi giorni fa e mi è piaciuta, perché vale anche per tutti i Passi che ho affrontato da ciclista: quando mi dicevano che contava solo il palmarès, magari con il sorrisino, io rispondevo che bisognava lasciare il segno, a costo anche di non vincere. E sulle montagne che hanno fatto la storia del Giro qualche traccia credo di averla lasciata, anche se il mio famoso soprannome «El Diablo» me lo hanno dato per le mie imprese sulle montagne colombiane. Però è strano: il primo Passo che mi viene in mente è il Gavia e non è legato né a una vittoria né a un’azione spettacola­re. Perché mi ha segna- to attraverso la sofferenza. Ero giovane e la celebre nevicata del Giro del 1988 ha toccato corde profonde dentro di me, facendomi capire cos’era la sofferenza in bicicletta. Non solo nella salita, ma anche nella discesa, che è stata la più faticosa di tutta la mia carriera.

Se ho superato una giornata così, dicevo, allora potevo superare tutto il resto. E avevo ragione. Se però devo scegliere il Passo per eccellenza, quello che unisce le difficoltà tecniche, lo scenario e la storia del ciclismo che è stata scritta lassù, allora non ho dubbi: per me il Pordoi resta la vera Cima Coppi anche se le statistich­e dicono che non è il più alto. Lo scenario di roccia è stupendo e tante volte si è rivelato determinan­te.

Mi sembra un po’ sottovalut­ato invece il Mortirolo, forse perché è stato scoperto tar- di: andrebbe valorizzat­o ancora di più e personalme­nte lo inserirei quasi sempre nel Giro. A proposito di salite giovani: il Colle delle Finestre in gara non l’ho mai affrontato, ma sullo sterrato credo che mi sarei divertito. Come la maggior parte dei Passi anche quello non è mai l’ultima salita che porta al traguardo: l’adrenalina è diversa, le forze vanno gestite e allora oltre alle gambe entra in azione il cervello. In quei momenti ti passa di tutto nella testa. Io sul Sestriere ho pensato a Coppi: non per imitarlo o per misurarmi con la sua grandezza, ma con la semplice consapevol­ezza di scrivere una pagina dello stesso libro. Di rimanere collegato con la grande storia del ciclismo. Lasciando un’impronta, a modo mio.

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