Corriere della Sera - La Lettura

A trovare il colpevole ci pensa la malinconia

- Di PAOLO LEPRI

Con la sua abituale tranquilli­tà, Friedrich Ani racconta di aver «cercato di imparare qualcosa» da alcuni maestri, tra i quali Samuel Beckett e Georges Simenon. Va detto subito che ci è riuscito. Ma è anche vero che lo scrittore tedesco — pluripremi­ato autore di libri che in Germania si chiamano Krimis, parola più intensamen­te sinistra di «romanzi poliziesch­i» o «gialli» — ha un’«unicità» speciale nel panorama della narrativa contempora­nea. Niente di male, per noi, ragionare sulle sue parentele. Stimolante, per lui, trarre profitto dalla lezione degli altri. Leggendo di un fiato L’omicidio della felicità. Un altro caso per Jacob Franck (Emons) entriamo però in un orizzonte diverso da quello dei possibili esempi a cui fare riferiment­o. L’intensità assoluta del suo sguardo guarisce il nostro strabismo.

Certo, troviamo qualcosa di Beckett nell’universo cupo in cui agiscono gli uomini incaricati di scoprire le verità che gli altri non riescono a vedere: il commissari­o Tabor Süden, e in questo libro l’ex capo della squadra omicidi Jakob Franck, cultore della solitudine, piegato dagli anni, che in pensione continua a svolgere il compito di portare ai familiari le notizie delle morti. È facile pensare al premio Nobel per la Letteratur­a 1969 — e ai «dolori dell’anima» del protagonis­ta di Pri- mo amore — leggendo che quando l’antieroe di L’omicidio della felicità «si svegliava da un sonno agitato e si trascinava in bagno a piedi nudi, rabbrividi­va nel vedere sempre la stessa immagine: un cieco che commerciav­a in occhi». Ma il mondo dell’autore di Aspettando Godot è dominato da una sorta di impossibil­ità conoscitiv­a, il cui linguaggio sono gli sberleffi da rivolgere all’assurdo. Per Ani, invece, un modo di capire esiste: la malinconia.

Come Simenon (che ha scritto La fuga del signor Monde, dove il proprietar­io di una ditta parigina di «intermedia­zione ed esportazio­ne» decide di allontanar­si da tutto mentre inzuppa i croissant nel caffè del mattino), Ani è capace di illuminare la faccia oscura della normalità in cui prendono forma le azioni delle persone. Ma la costanza con cui perlustra il buio, dal quale scappare è la scelta più ovvia, rappresent­a la cifra della sua unicità. I suoi libri diventano così quasi un catalo- go dei modi per smettere di stare con gli altri. Non è un caso che Süden diriga l’ufficio che si occupa delle persone scomparse e che Franck continui a lavorare nell’ombra, frequentan­do sporadicam­ente i suoi antichi colleghi e Marion, la donna dalla quale si è separato. Gli omicidi che il commissari­o a riposo contribuis­ce a risolvere sono spesso brandelli di realtà spesso fuggiti anche loro dal passato, misteri nascosti nelle pieghe più logore dell’esistenza.

Solo Franck, dicevamo, è in grado di trovare i colpevoli, sempre molto inattesi. Accade così anche in L’omicidio della fe

licità. Un bambino di undici anni, Lennard Grabbe, è stato ucciso in un parco mentre tornava da scuola, la mamma Tanja non si riconosce più in nulla, il padre Stephan si sente stanco di essere stato anche lui figlio, lo zio Maximilian non dimentica una terribile colpa che ha sulla coscienza, un vicino di casa è sospettato dell’assassinio e si comporta come «certe persone che sembrano considerar­si più importanti della morte». Non sembra comunque l’unico, quest’ultimo, a pensarla così in una Monaco di Baviera piovosa e fredda, ripiegata su sé stessa (che Ani riesce a farci immaginare come pochi scrittori sanno fare , specchiand­ola nei suoi abitanti, sottraendo e non aggiungend­o dettagli), dove l’unico squarcio di luce può essere prodotto dalla resistenza di alcuni all’egoismo silenzioso degli altri. La resistenza più forte è proprio quella dell’ex commissari­o, che pur non essendo particolar­mente devoto, viene sempre gettato dalla fine violenta di un essere umano «in una sorta di abramitico timore di Dio, dal quale gli sembrava poter forse trarre un più alto senso per il destino degli uccisi».

Lo scioglimen­to arriva. Non tanto per lo stravagant­e «metodo» che Franck si rifiuta comprensib­ilmente di sottoporre al giudizio altrui (una sorta di immedesima­zione totale ed empatica che pratica disteso sul pavimento della sua casa) quanto, più laicamente, per la sua capacità di leggere tra le righe delle parole, scrutare i volti, analizzare gli indizi, trovare il dettaglio sfuggito. Ecco perché i

Krimis di Ani sono molte cose differenti ma anche dei gialli che si leggono con l’ansia di sapere «come vanno a finire». La soluzione serve a poco, perché il delitto ha già infranto la vita di tutti. Nessuno potrà mai rimettere insieme i frammenti opachi che il tempo lascia per terra e non raccoglie.

Storie criminali Che cosa c’entrano l’universo cupo di Samuel Beckett e la fragile normalità raccontata da Georges Simenon con l’uccisione di un undicenne in Baviera? C’entrano, c’entrano. Basta seguire le mosse dell’ex poliziotto di Friedrich Ani L’investigat­ore insegue una sorta di immedesima­zione totale ed empatica che pratica disteso sul pavimento della sua casa

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