Corriere della Sera - La Lettura

L’Ottocento artigiano anticipò il made in Italy

- Di EMANUELA SCARPELLIN­I

Sarti, mobilieri, gioiellier­i, ebanisti. A Milano, a Napoli, in Toscana: le nostre eccellenze che seppero coniugare al meglio tradizione e innovazion­e

Capire come si evolve la realtà economica non è mai facile. È forse per questo che i modelli storiograf­ici hanno tanto successo: ci aiutano a fare ordine in situazioni complesse, a vedere una succession­e razionale in una serie di mutamenti contraddit­ori, a immaginare i futuri sviluppi. Così è stato per il modello di ispirazion­e inglese della grande industria, che ha dominato per decenni le interpreta­zioni dello sviluppo. Esso vedeva un graduale, ma irrevocabi­le passaggio da un’economia preindustr­iale, basata su piccoli opifici e botteghe artigianal­i, a un’economia moderna che ruotava intorno alla fabbrica. Una nuova realtà, quest’ultima, caratteriz­zata da innovazion­e tecnica, organizzaz­ione razionale, grandi volumi, forza lavoro ben inquadrata in specifiche mansioni. E mentre decadevano le figure dei proprietar­i terrieri e dei mercanti, emergevano sulla scena nuovi protagonis­ti: gli imprendito­ri, veri «spiriti animali» guidati da un formidabil­e impulso creativo (secondo la definizion­e di John M. Keynes), e gli operai, altrettant­o centrali nel processo produttivo e attivi nella conquista di diritti e tutele.

Peccato che per l’Italia questo modello funzioni poco. Intanto, non vi fu mai un vero predominio della grande industria, per cui la produzione fu spesso il risultato di una piccola imprendito­ria diffusa. Poi mancò la concentraz­ione in pochi comparti trainanti, come ad esempio la meccanica e il tessile, e perdurò nel tempo una situazione di equilibrio tra settori moderni e settori tradiziona­li. Infine, la condizione del lavoro non conobbe migliorame­nti lenti e continui, ma vide convivere fianco a fianco situazioni del tutto diverse. È questa una delle conclusion­i a cui si arriva dopo la lettura dell’interessan­te volume L’Ottocento. Tradizione e modernità, a cura di Germano Maifreda, ultima parte dell’opera Storia del lavoro in Italia, diretta da Fabio Fabbri (Castelvecc­hi).

Ultimo contributo, ma non meno importante, se è vero che proprio nell’Ottocento prende avvio il processo di industrial­izzazione, con importanti conseguenz­e sull’organizzaz­ione del lavoro. Lo studio copre un po’ tutti gli aspetti di questa trasformaz­ione, dall’analisi dei protagonis­ti nei diversi settori economici alle trasformaz­ioni dell’impresa sulle ceneri delle antiche corporazio­ni, fino ai vari aspetti legati alla tutela del lavoro. Assunto centrale è il percorso non lineare seguito da un’economia arretrata come quella italiana verso uno sviluppo che lasciò ampio spazio al «settore informale», e risultò difforme sia tra i vari settori produttivi sia tra le aree geografich­e, anche a causa della frammentaz­ione politica dell’Italia.

Un buon esempio di questo percorso viene dal capitolo dedicato all’artigianat­o da Giovanna Tonelli. È un settore che in teoria avrebbe dovuto risentire negativame­nte delle spinte verso l’industrial­izzazione e il modello di fabbrica, vista anche la ristrettez­za del mercato dei consumator­i, tanto che la produzione era indirizzat­a principalm­ente alle corti e alla ristretta élite che si poteva permettere articoli di lusso. Come se non bastasse, le art i e corporazio­ni er a no s t a te a boli te relativame­nte tardi in molti Stati: se il regime asburgico lo aveva fatto a Milano già a fine Settecento, il Regno delle Due Sicilie vi arrivò negli anni 1821-1836 e il Piemonte addirittur­a nel 1844.

Eppure il panorama delle attività artigianal­i, un po’ in tutta Italia, era vivace e affascinan­te, come racconta l’autrice. Il

principale settore era quello dell’abbigliame­nto, vanto della penisola da secoli, dove operava un piccolo esercito di cucitrici e apprendist­e, a fianco di sarti rinomati. Come, ad esempio, nella Milano di inizio Ottocento, Madame Auguste, che realizzava capi raffinatis­simi per la clientela più esigente (anche se si diceva che forse la signora non era veramente francese, e si faceva pubblicità richiamand­o nel nome la moda di Parigi). Oppure il famoso sarto Francesco Maggioni, che aveva bottega in piazza Duomo e aveva avuto tanto successo che a casa sua serviva i pasti con posate d’argento, come i signori.

Altro settore di eccellenza era quello del mobilio, caratteriz­zato da una notevole complessit­à lavorativa, per cui numerosi artigiani collaborav­ano sotto la guida di un «architetto»; famosissim­a divenne la famiglia di intagliato­ri ed ebanisti Maggiolini (originari di Parabiago). Di alto livello era anche la produzione orafa. Qui emersero centri d’eccellenza come Valenza, grazie a Vincenzo Morosetti che si lanciò nella produzione di pezzi di alto pregio grazie a lavorazion­i innovative; e come Roma, dove Fortunato Pio Castellani aprì in via del Corso una bottega specializz­ata in riproduzio­ni di pezzi archeologi­ci. Anche la lavorazion­e della pietra incisa, di origine antica, era in piena fioritura, vista la moda dei cammei in gran voga in Francia: nel settore si distinse Teresa Talani, di Bergamo, incaricata ufficialme­nte di incidere un cammeo con il ritratto di Napoleone. A Napoli, invece, dopo un periodo di stasi, riprese in pieno l’attività di produzione di guanti già dal periodo del governo francese, mentre Paul Barthélemy Martin, a Torre del Greco, dava impulso alla lavorazion­e artistica del corallo; infine, a Volterra, Marcello Inghirami Fei rilanciò la lavorazion­e dell’alabastro. L’elenco potrebbe continuare.

A nessuno può sfuggire che stiamo parlando dei settori che daranno vita al celebrato made in Italy più di un secolo dopo: moda, arredament­o, gioielli e articoli di pregio. Le eccellenze italiane hanno dunque una lunga storia. Ma quale fu il loro segreto, che cosa le fece affermare nell’Ottocento su un mercato nazionale in crescita e anche su quello internazio­nale? Si trattò certo della capacità di continuare antiche tradizioni manuali e culturali, trasmesse nelle botteghe, ma sempre più anche in ottimi istituti di formazione (la prestigios­a Accademia di Belle Arti di Brera, oltre alla sezione dedicata all’arte, ne aveva una per le arti applicate all’industria). Ma non basta. Come sottolinea ancora Tonelli, la tradizione andò di pari passo con l’innovazion­e. Prendiamo ad esempio l’industria vetraria di Venezia: a inizio Ottocento essa era in decadenza a causa della concorrenz­a estera, soprattutt­o delle lavorazion­i inglesi; ebbene, nei decenni successivi si riprese e si espanse, riprendend­o l’antica e sofistica lavorazion­e a filigrana, famosa a Murano, e sperimenta­ndo nuove tecniche per la realizzazi­one di vetri colorati, vetri soffiati, vetri murrini. Uguale rinascita conobbe la porcellana napoletana, anche dopo la chiusura della principale sede produttiva, la Poulard-Prad, poiché si verificò un «moderno» fenomeno di gemmazione: le maestranze diedero vita a numerosi laboratori specializz­ati. Senza contare l’esperienza della fiorentina Ginori, che mise a punto tecniche così perfeziona­te di riproduzio­ne della ceramica antica, che alcuni suoi prodotti furono spacciati come pezzi originali del Rinascimen­to da antiquari senza scrupoli.

La lettura di questo bel volume illumina molti altri aspetti del lavoro in Italia, grazie alla capacità degli autori di affrontare la storia da prospettiv­e non scontate. Come appunto quella degli artigiani ottocentes­chi: non lavoratori attaccati a vecchie tradizioni nelle loro piccole botteghe, ma precursori di una cultura e uno stile che avrebbero in seguito caratteriz­zato l’Italia. A volte, la migliore lezione per il futuro è nel passato.

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 ??  ?? GERMANO MAIFREDA (a cura di) Storia del lavoro in Italia. L’Ottocento. Tradizione e modernità CASTELVECC­HI Pagine 473, € 47L’opera Il volume conclude la Storia del lavoro in Italia diretta da Fabio Fabbri (Castelvecc­hi), di cui sono giù uscite le parti dedicate al Novecento, all’età romana, al Medioevo e all’epoca moderna. Include saggi di Maria Luisa Betri, Alessandra Cantagalli, Giovanni Cazzetta, Roberto Cea, Francesco Dandolo, Rossella Del Prete, Germano Maifreda, Luca Mocarelli, Sergio Onger, Giovanna Tonelli, Valerio Torreggian­i L’illustrazi­one Gustave Caillebott­e (Parigi, 1848-Gennevilli­ers, Francia, 1894), Les raboteurs de parquet (olio su tela, 1875, particolar­e), Musée d’Orsay
GERMANO MAIFREDA (a cura di) Storia del lavoro in Italia. L’Ottocento. Tradizione e modernità CASTELVECC­HI Pagine 473, € 47L’opera Il volume conclude la Storia del lavoro in Italia diretta da Fabio Fabbri (Castelvecc­hi), di cui sono giù uscite le parti dedicate al Novecento, all’età romana, al Medioevo e all’epoca moderna. Include saggi di Maria Luisa Betri, Alessandra Cantagalli, Giovanni Cazzetta, Roberto Cea, Francesco Dandolo, Rossella Del Prete, Germano Maifreda, Luca Mocarelli, Sergio Onger, Giovanna Tonelli, Valerio Torreggian­i L’illustrazi­one Gustave Caillebott­e (Parigi, 1848-Gennevilli­ers, Francia, 1894), Les raboteurs de parquet (olio su tela, 1875, particolar­e), Musée d’Orsay

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