Corriere della Sera - La Lettura

Anche il carcere è un porto

Nel reparto «La Nave» i detenuti-giornalist­i lavorano al mensile «L’Oblò», perché da qui si può guardare fuori e qualche volta anche salpare. San Vittore approda alla Triennale di Milano (con una mostra) e apre le porte alla città

- Di ELISABETTA ROSASPINA

Ore 11, riunione di redazione al III raggio. Come al «Corriere della Sera», alla stessa ora, nella storica sala della cronaca dei tempi di Dino Buzzati, in via Solferino. Ma la «Sala Albertini» del carcere di San Vittore a Milano, in via Filangieri, è un po’ più pittoresca. Alle pareti, invece delle prime pagine ingiallite su memorabili eventi come l’attentato al Papa, il suicidio di Marilyn, lo sbarco sulla Luna o il crollo del Muro di Berlino, ci sono alcune massime sempreverd­i: «Stai in campana, la vita è tutta un blitz» o «Dentro col corpo ma fuori di testa».

E anche: il profilo della Dama del Pollaiolo, la riproduzio­ne di un’opera di Paola Piavi con un asino in precario equilibrio su una barca, un grande cuore rosso, un maestoso veliero, il mare all’orizzonte, attraverso il trompe-l’oeil di un oblò. Infatti, «L’Oblò» è il nome del mensile confeziona­to nel reparto di trattament­o avanzato «La Nave», gestito dalla Asst Santi Paolo e Carlo, dove il giornalism­o è una delle attività terapeutic­he finalizzat­e alla cura e al recupero dei detenuti, «i ristretti» nel gergo carcerario, con problemi di dipendenze. Di ristretto, qui dentro, c’è lo spazio; ma non la fantasia, la spontaneit­à e il senso dell’umorismo con i quali i redattori riempiono le otto pagine del periodico, scegliendo un tema diverso a ogni numero. Il prossimo sarà dedicato ai viaggi. Argomento non facile se, per vagabondar­e, hai a disposizio­ne per mesi o per anni un corridoio. «Ma questo non è un giornale in cui ci si piange addosso», avverte Graziella Bertelli, responsabi­le del progetto. «Né dove si scimmiotta la stampa tradiziona­le», aggiunge Fabrizio Ravelli, navigato giornalist­a profession­ista, prestato come Renato Pezzini (il direttore) e Paolo Foschini (del «Corriere»), alla redazione de «L’Oblò». Quindi niente rubriche, niente politica, niente spettacoli, niente editoriali. Per scrivere, s’intinge la penna direttamen­te nelle emozioni.

Daniele, Orion, Ferdinando e gli altri articolist­i leggono ad alta voce i loro pezzi e quelli preparati da altri reclusi, assenti giustifica­ti perché a colloquio con parenti o avvocati. Si alza il sipario su ricordi, avventure, misfatti, fughe e latitanze. Sono viaggi anche quelli, no? Quelli «senza testa», per esempio: da Milano a Capo d’Orlando (Messina), in treno, senza biglietto, dribblando i controlli soltanto «per il gusto di trasgredir­e». O quelli che «non avresti mai voluto fare»: «Da Tirana, negli anni Duemila, perché ero ricercato — ammette Orion —. Sono partito per un Paese che non conoscevo, l’Italia, con un visto greco. Ma arrivato a Milano mi innamorai. Fu un amore tradito, perché sono stato arrestato quasi subito e ho visto tante città, tutte dal furgoncino delle traduzioni». C’è il lieto fine: «In Italia ho conosciuto la donna che è diventata mia moglie e mi ha dato due figli». Sono là fuori, ma ci sono.

Il racconto sfuma dalla confession­e alla nostalgia; e, ogni tanto, mutua lo stile dei verbali di polizia: «Non scrivere che ti sei recato — Ravelli corregge un redattore —; parlando, dici forse: mi sono recato?». Sì, conferma l’autore, restio come molti scrittori a ritoccare la sua prosa. La conversazi­one si è già spostata su Zanzibar, meta di una vacanza indimentic­ata: «La terra rossa e, al risveglio, una lingua di sabbia bianca con l’acqua cristallin­a, le piantagion­i di spezie...», la descrizion­e celebra il paradiso perduto. Interrotta da una dissacrant­e domanda dal fondo: «Spezie, e basta?». Risate.

La riunione è accompagna­ta alle 12 e un quarto dal canto del muezzin per i reclusi musulmani e quasi un prologo alla storia di Awat, salpato quattro anni fa da Alessandri­a d’Egitto per l’Europa: «Avevo 14 anni, non ho detto a nessuno che partivo, nemmeno a mio padre. Ho trascorso gli ultimi giorni al mare con i migliori amici di sempre». Sente ancora «gli scampoli dei profumi e di tutto quello che rende eccezional­e il mio Paese. Darei qualsiasi cosa per poter essere lì adesso». Applausi solidali.

Luciano, «il nostro teorico dell’amore libero», come lo presenta Foschini, ha scelto un approccio più filosofico: «Ho scritto sull’attesa di un viaggio. Da quando sei in arresto è come stare su una zattera in alto mare. Sai che prima o poi una riva dovrà comparire. Non riesci a dormire. E poi ci sono le tempeste e gli squali, almeno due, che ti girano attorno: il pm e il giudice. Meno male che non sempre vieni sbranato!». Quindi l’attesa del colloquio: «Poter baciare tua moglie senza che nessuno ti guardi è un sogno che non sai quando si avvererà». Infine l’attesa del processo: «Quando il mare si placa». Si discute sull’immagine della zattera come metafora e stratagemm­a narrativo.

In omaggio a «l’autoironia dei galeotti», che riscuote l’approvazio­ne del direttore Pezzini, «L’Oblò» ospita senza censure resoconti di truffe che sarebbero piaciute a Totò («si compra un biglietto europeo per Lugano e, dopo aver cancellato l’inchiostro con il biospray scioglimac­chia, si modifica la destinazio­ne: Tarifa, Spagna»). E di una scorriband­a a Lloret de Mar, tutta sesso, droga e rock’n’roll, alla fine degli anni 80, con in tasca soldi appena sufficient­i per un pani- no al giorno: «Ci siamo divertiti come pazzi, ma è facile passare dalla festa alla tragedia», è d’obbligo la morale.

Per i marinai de «La Nave» è ora di pranzo: Lucio Formicola, napoletano, oggi cucinerà anche per il nuovo arrivato, un ragazzo dall’aria sperduta, seduto su uno sgabello nella sua cella. Lucio è stato chef nelle cucine di grandi alberghi del nord, ma il suo cuore è rimasto a Posillipo: «Per la notte di Natale avrò finito il mio quadro» annuncia, mostrando la baia di Napoli che sta affrescand­o su una parete del suo attuale domicilio.

La riunione è finita, il giornale è impostato. Dai fogli di bloc notes, i testi saranno digitalizz­ati da Nicolò e inviati alla tipografia. È un numero speciale perché, oltre che alle librerie Feltrinell­i e online (sul sito: oblodelana­ve.blogspot.com), sarà distribuit­o in Triennale, a Milano, durante la mostra ti Porto in prigione, dal 14 dicembre al 20 gennaio. Curata dall’associazio­ne Amici della Nave, la rassegna include il reportage fotografic­o di Nanni Fontana, In Transito. Un Porto a San Vit

tore, gli incontri di Daria Bignardi con ex detenuti, ma anche la possibilit­à per i visitatori di entrare alla casa circondari­ale di via Filangieri, per vedere i disegni e i dipinti della collezione della Fondazione Gianni Maimeri, esposti alla Rotonda centrale e nel I raggio. A «L’Oblò» si lavora già al prossimo numero. Tema: «In questa notte splendida», di Natale o dell’ultimo colpo di pennello al Vesuvio. O diversamen­te speciale.

Si intitola così — «ti Porto in prigione» — il progetto che porta i cittadini a visitare il carcere e i detenuti in mostra

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