Corriere della Sera - La Lettura
Anche il carcere è un porto
Nel reparto «La Nave» i detenuti-giornalisti lavorano al mensile «L’Oblò», perché da qui si può guardare fuori e qualche volta anche salpare. San Vittore approda alla Triennale di Milano (con una mostra) e apre le porte alla città
Ore 11, riunione di redazione al III raggio. Come al «Corriere della Sera», alla stessa ora, nella storica sala della cronaca dei tempi di Dino Buzzati, in via Solferino. Ma la «Sala Albertini» del carcere di San Vittore a Milano, in via Filangieri, è un po’ più pittoresca. Alle pareti, invece delle prime pagine ingiallite su memorabili eventi come l’attentato al Papa, il suicidio di Marilyn, lo sbarco sulla Luna o il crollo del Muro di Berlino, ci sono alcune massime sempreverdi: «Stai in campana, la vita è tutta un blitz» o «Dentro col corpo ma fuori di testa».
E anche: il profilo della Dama del Pollaiolo, la riproduzione di un’opera di Paola Piavi con un asino in precario equilibrio su una barca, un grande cuore rosso, un maestoso veliero, il mare all’orizzonte, attraverso il trompe-l’oeil di un oblò. Infatti, «L’Oblò» è il nome del mensile confezionato nel reparto di trattamento avanzato «La Nave», gestito dalla Asst Santi Paolo e Carlo, dove il giornalismo è una delle attività terapeutiche finalizzate alla cura e al recupero dei detenuti, «i ristretti» nel gergo carcerario, con problemi di dipendenze. Di ristretto, qui dentro, c’è lo spazio; ma non la fantasia, la spontaneità e il senso dell’umorismo con i quali i redattori riempiono le otto pagine del periodico, scegliendo un tema diverso a ogni numero. Il prossimo sarà dedicato ai viaggi. Argomento non facile se, per vagabondare, hai a disposizione per mesi o per anni un corridoio. «Ma questo non è un giornale in cui ci si piange addosso», avverte Graziella Bertelli, responsabile del progetto. «Né dove si scimmiotta la stampa tradizionale», aggiunge Fabrizio Ravelli, navigato giornalista professionista, prestato come Renato Pezzini (il direttore) e Paolo Foschini (del «Corriere»), alla redazione de «L’Oblò». Quindi niente rubriche, niente politica, niente spettacoli, niente editoriali. Per scrivere, s’intinge la penna direttamente nelle emozioni.
Daniele, Orion, Ferdinando e gli altri articolisti leggono ad alta voce i loro pezzi e quelli preparati da altri reclusi, assenti giustificati perché a colloquio con parenti o avvocati. Si alza il sipario su ricordi, avventure, misfatti, fughe e latitanze. Sono viaggi anche quelli, no? Quelli «senza testa», per esempio: da Milano a Capo d’Orlando (Messina), in treno, senza biglietto, dribblando i controlli soltanto «per il gusto di trasgredire». O quelli che «non avresti mai voluto fare»: «Da Tirana, negli anni Duemila, perché ero ricercato — ammette Orion —. Sono partito per un Paese che non conoscevo, l’Italia, con un visto greco. Ma arrivato a Milano mi innamorai. Fu un amore tradito, perché sono stato arrestato quasi subito e ho visto tante città, tutte dal furgoncino delle traduzioni». C’è il lieto fine: «In Italia ho conosciuto la donna che è diventata mia moglie e mi ha dato due figli». Sono là fuori, ma ci sono.
Il racconto sfuma dalla confessione alla nostalgia; e, ogni tanto, mutua lo stile dei verbali di polizia: «Non scrivere che ti sei recato — Ravelli corregge un redattore —; parlando, dici forse: mi sono recato?». Sì, conferma l’autore, restio come molti scrittori a ritoccare la sua prosa. La conversazione si è già spostata su Zanzibar, meta di una vacanza indimenticata: «La terra rossa e, al risveglio, una lingua di sabbia bianca con l’acqua cristallina, le piantagioni di spezie...», la descrizione celebra il paradiso perduto. Interrotta da una dissacrante domanda dal fondo: «Spezie, e basta?». Risate.
La riunione è accompagnata alle 12 e un quarto dal canto del muezzin per i reclusi musulmani e quasi un prologo alla storia di Awat, salpato quattro anni fa da Alessandria d’Egitto per l’Europa: «Avevo 14 anni, non ho detto a nessuno che partivo, nemmeno a mio padre. Ho trascorso gli ultimi giorni al mare con i migliori amici di sempre». Sente ancora «gli scampoli dei profumi e di tutto quello che rende eccezionale il mio Paese. Darei qualsiasi cosa per poter essere lì adesso». Applausi solidali.
Luciano, «il nostro teorico dell’amore libero», come lo presenta Foschini, ha scelto un approccio più filosofico: «Ho scritto sull’attesa di un viaggio. Da quando sei in arresto è come stare su una zattera in alto mare. Sai che prima o poi una riva dovrà comparire. Non riesci a dormire. E poi ci sono le tempeste e gli squali, almeno due, che ti girano attorno: il pm e il giudice. Meno male che non sempre vieni sbranato!». Quindi l’attesa del colloquio: «Poter baciare tua moglie senza che nessuno ti guardi è un sogno che non sai quando si avvererà». Infine l’attesa del processo: «Quando il mare si placa». Si discute sull’immagine della zattera come metafora e stratagemma narrativo.
In omaggio a «l’autoironia dei galeotti», che riscuote l’approvazione del direttore Pezzini, «L’Oblò» ospita senza censure resoconti di truffe che sarebbero piaciute a Totò («si compra un biglietto europeo per Lugano e, dopo aver cancellato l’inchiostro con il biospray scioglimacchia, si modifica la destinazione: Tarifa, Spagna»). E di una scorribanda a Lloret de Mar, tutta sesso, droga e rock’n’roll, alla fine degli anni 80, con in tasca soldi appena sufficienti per un pani- no al giorno: «Ci siamo divertiti come pazzi, ma è facile passare dalla festa alla tragedia», è d’obbligo la morale.
Per i marinai de «La Nave» è ora di pranzo: Lucio Formicola, napoletano, oggi cucinerà anche per il nuovo arrivato, un ragazzo dall’aria sperduta, seduto su uno sgabello nella sua cella. Lucio è stato chef nelle cucine di grandi alberghi del nord, ma il suo cuore è rimasto a Posillipo: «Per la notte di Natale avrò finito il mio quadro» annuncia, mostrando la baia di Napoli che sta affrescando su una parete del suo attuale domicilio.
La riunione è finita, il giornale è impostato. Dai fogli di bloc notes, i testi saranno digitalizzati da Nicolò e inviati alla tipografia. È un numero speciale perché, oltre che alle librerie Feltrinelli e online (sul sito: oblodelanave.blogspot.com), sarà distribuito in Triennale, a Milano, durante la mostra ti Porto in prigione, dal 14 dicembre al 20 gennaio. Curata dall’associazione Amici della Nave, la rassegna include il reportage fotografico di Nanni Fontana, In Transito. Un Porto a San Vit
tore, gli incontri di Daria Bignardi con ex detenuti, ma anche la possibilità per i visitatori di entrare alla casa circondariale di via Filangieri, per vedere i disegni e i dipinti della collezione della Fondazione Gianni Maimeri, esposti alla Rotonda centrale e nel I raggio. A «L’Oblò» si lavora già al prossimo numero. Tema: «In questa notte splendida», di Natale o dell’ultimo colpo di pennello al Vesuvio. O diversamente speciale.
Si intitola così — «ti Porto in prigione» — il progetto che porta i cittadini a visitare il carcere e i detenuti in mostra