Corriere della Sera - La Lettura

Se vuoi sognarti cattivo, guarda la tv

Chris Brancato ha scritto e prodotto oltre 250 ore di serie, tra le quali «Narcos», e spiega che il successo delle storie «crime» sta nel desiderio nascosto di infrangere la legge. «Raccontare il passato è un modo di spiegare il presente»

- Di COSTANZA RIZZACASA D’ORSOGNA

Da Law & Order e dal comfort delle serie crime tradiziona­li a The Wire, dove niente era più bianco onero. Ma ancheBreak­ingB ad, iltruec rimedi Making a Murderer, Fargo, Six Feet Un

der, True Detective e I Soprano, di cui vedremo presto il film. Perché un genere così scandaglia­to come il crime piace ancora tanto? «Perché soddisfa il nostro desiderio nascosto d’infrangere la legge. Personaggi — spiega Chris Brancato — disposti a fare cose che tu a volte vorresti fare ma non fai. Allo stesso tempo, soddisfa il desiderio di ordine, di regole: che chi infrange la legge sia fermato. Perno di

Law & Order era che al delitto seguisse il castigo. Con il tempo è cambiato tutto: sono arrivati gli antieroi, l’ordine è stato rimpiazzat­o dal disordine, la chiave di una serie è il farla franca. Oggi si ha la sensazione che tutto, nel crime, sia già stato fatto. Nessuno va a vedere il film su John Gotti Jr. perché la storia la conosciamo tutti. Se fai una serie crime devi cercare un punto di vista originale». L’esempio migliore? « I Soprano, dove un mafioso va dalla psicoanali­sta. Ma nelle grandi serie, il crimine è sempre un espediente. Per esempio, in quel capolavoro di realismo che è The Wire, è un mezzo per raccontare il degrado del tessuto sociale».

Creatore e produttore di Narcos, la serie Netflix sul narcotraff­icante Pablo Escobar e il cartello di Medellín (e poi su quello di Cali), showrunner di Law & Or

der: Criminal Intent, Chris Brancato è uno dei maggiori esponenti del crime

drama. Con «la Lettura», che lo ha incontrato a Roma alla quarta edizione del Mia (Mercato internazio­nale dell’Audiovisiv­o), ha parlato della sua evoluzione.

Perché la tv americana è stata così a lungo ossessiona­ta dal raccontare personaggi — medici, avvocati, poliziotti — moralmente ineccepibi­li che, anche se magari controvogl­ia, alla fine fanno la cosa giusta?

«Perché ti permetteva di sfornare 22 episodi a stagione con possibilit­à di spi

noff. Allora, poi, nessuno avrebbegua rdato una serie dark.L’ evasione era un valore, com el’ aspi razionalit­à. Se volevi raccontare personaggi imperfetti dovevi dar loro mestieri che li aiutavano a redimerli: medico o pompiere. Più buia la serie, più bassi gli ascolti». Ma come ci si accosta a una figura

come Pablo Escobar? Come si umanizza un mostro senza romanticiz­zarlo?

«Quando ho conosciuto Wagner Moura, l’attore che lo interpreta in Narcos, l’ho trovato estremamen­te affascinan­te. Gli abbiamo costruito addosso scene verosimili, come quando ordina al telefono una serie di omicidi mentre gioca con suo figlio. Ma non abbiamo reso glamour il cartello. Il presidente colombiano, temendo che una serie sui narcos perpetuass­e gli stereotipi sul Paese, mi chiese di ricordare che era merito dei colombiani se i narcos erano tutti morti o in prigione. Attraverso questa serie ho capito i miei punti di forza, e oggi guardo sempre più ai dintorni del true crime. Diversamen­te da Law & Order, qui c’era un evento centrale, cioè il percorso criminale di Escobar. Ci chiedevamo sempre: qual è il modo migliore per raccontarl­o? Il regista José Padilha voleva far vedere come un normale contrabban­diere fosse diventato il re della cocaina, io volevo facilitare la comprensio­ne americana del narcotraff­ico sudamerica­no. Così ho pensato a Steve Murphy, l’agente americano in Colombia, e abbiamo messo i due su percorsi paralleli, per poi farli collidere».

Oggi sta girando «Godfather of Harlem», serie con Forest Whitaker che vedremo nel 2019. Qual è il punto di vista originale lì?

«Il corto circuito tra la malavita di allora e il movimento per i diritti civili negli Stati Uniti. Lo esploro attraverso Bumpy Johnson, gangster afroameric­ano che dopo un periodo di prigione torna, nei primi anni Sessanta, in una Harlem molto cambiata e per strada incontra un vecchio amico: Malcolm X. È un punto di vista sconosciut­o ai più, figlio dell’idea di mettere insieme due mondi in apparenza diversissi­mi. Ma non solo: è un modo per parlare del presente. Harlem, allora, aveva gli stessi problemi che vediamo oggi in tutti gli Stati Uniti. Epidemia di oppiacei, intolleran­za, divisioni politiche, uso ingiustifi­cato della forza da parte della polizia. L’unico motivo per cui ha senso girare una serie sul passato è se ci aiuta a spiegare il presente».

Ma perché in tempi bui il «crime» appassiona tanto? Non dovrebbe essere il contrario? «Chi fa tv oggi vuol dire qualcosa. Go

dfather of Harlem è anche una riflession­e sull’immigrazio­ne e le minori opportunit­à che gli immigrati hanno nel mio Paese, che a volte li indirizza al crimine. A differenza dell’istruzione, il crimine non mette barriere d’ingresso, e permette di fare carriera. I soldi comprano influenza politica, che a sua volta compra influenza sociale. Così gli irlandesi, arrivati in America a metà dell’Ottocento e ostracizza­ti, cento anni dopo hanno avuto un presidente, Kennedy. Tutta l’immigrazio­ne, anche quella forzosa, ha usato il crimine come trampolino per il proprio avanzament­o, e con esso è arrivata l’integrazio­ne. Nella seconda stagione si parlerà di Spanish Harlem e dei latinoamer­icani».

Netflix, per cui ha prodotto «Narcos», sforna moltissime serie. Non crede che oggi si faccia troppa tv?

«È un falso problema. Certo, economicam­ente c’è un tetto a quante serie puoi realizzare in un anno, ma non è questo il punto. Più tv fai, più alta è la qualità in vetta. Oggi ci sono almeno dieci grandi serie che non ho ancora avuto il tempo di vedere. Ozark, Suburra, la terza stagione di Black Mirror, le ultime quattro del Tro

no di Spade. Per chi fa tv è un momento magico, è più interessan­te del cinema. Certo, la tecnologia cambia, e così le prospettiv­e. Ma la buona notizia, almeno per quelli come me, è che ci sarà sempre bisogno di serie. Cambia solo il modo in cui le facciamo».

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 ??  ?? Il personaggi­o L’americano Chris Brancato (Teaneck, New Jersey, 1962) è sceneggiat­ore e produttore. Ha esordito con Beverly Hills: 90210 e proseguito con X-Files, per poi virare sul genere crime. Al cinema ha scritto Hoodlum, sulla Harlem criminale degli Anni 30, e prodotto 110 e frode. In tv ha lavorato a Boomtown, è stato produttore e showrunner di Law & Order: Criminal Intent e ha creato Narcos (a fianco il cast della 3ª stagione sul cartello di Cali). Sta girando Godfather of Harlem, che vedremo nel 2019. A oggi, ha scritto e prodotto oltre 250 ore di tv
Il personaggi­o L’americano Chris Brancato (Teaneck, New Jersey, 1962) è sceneggiat­ore e produttore. Ha esordito con Beverly Hills: 90210 e proseguito con X-Files, per poi virare sul genere crime. Al cinema ha scritto Hoodlum, sulla Harlem criminale degli Anni 30, e prodotto 110 e frode. In tv ha lavorato a Boomtown, è stato produttore e showrunner di Law & Order: Criminal Intent e ha creato Narcos (a fianco il cast della 3ª stagione sul cartello di Cali). Sta girando Godfather of Harlem, che vedremo nel 2019. A oggi, ha scritto e prodotto oltre 250 ore di tv

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