Corriere della Sera - La Lettura
Ragazzi, non temete: si può anche perdere
I Colle der fomento, animatori della scena rap romana, tornano dopo undici anni con «Adversus». Parlano Danno e Masito: «Viviamo in un mondo assurdo che costruisce solo nemici»
La parola come responsabilità, scolpita nella formula «scrivo quindi sono vivo»: palestra di autocoscienza nella sfida con «il bisonte bianco», il foglio da riempire con i sussulti del proprio sismografo emotivo. È una galassia di piccoli mondi il nuovo album Adversus (arrangiato e prodotto in gran parte da dj Craim) dei Colle der fomento (Danno, Masito, dj Baro che saranno in tour da gennaio; prima dei live nelle sale sarà proiettato X tutto questo tempo, documentario realizzato da DeeMo e Paolo Freschi per Panottica) gruppo rap formatosi a Roma a metà degli anni Novanta: 14 nuovi brani che arrivano undici anni dopo l’ultimo disco, Anima e ghiaccio, nei quali la lunga pausa di silenzio è servita a metabolizzare cinque lustri di storia personale e musicale. Un percorso che, raffrontato con la velocità schizofrenica del tempo presente, sa quasi di anacronismo. Se non fosse per la scelta, controcorrente, di «uscire con un nuovo lavoro solo quando si ha qualcosa di valido tra le mani, non idee campate in aria tanto per non perdere l’attenzione del pubblico». Il lavoro certosino, maniacale ma non di maniera, ricorda per certi versi la scultura michelangiolesca «per via di levare», per liberare la forma imprigionata nel marmo, o lo struggimento di Leonardo nell’impresa (fallita) di dipingere La battaglia di Anghiari.
Che cosa racchiude «Adversus» dell’ultimo decennio nel quale, oltre a concentrarvi sul disco, non avete mai smesso di fare concerti?
MASITO — Sensazioni forti, alcune anche negative che abbiamo provato a raccontare. Avevamo dentro tanta rabbia, ricordi pesanti. Dopo aver scritto un paio di pezzi, Nostargia e Polvere, abbiamo capito che quella sarebbe stata la strada da seguire: non un album rap sul rap, come Anima e ghiaccio, ma più personale, con una scrittura asciutta. Come collaborate alla composizione dei testi?
MASITO — Spesso partiamo da un titolo: Adversus l’avevamo in testa già nel 2007 e volevamo scriverci un brano. A volte iniziamo con una parola, uno dei due butta giù una traccia, detta lo standard e l’altro si aggiunge. Altre volte prendiamo spunto dalla base, la fusione di suoni e voce è importante, così come la coerenza dei pezzi nel loro insieme.
DANNO — Per Storia di una lunga guerra abbiamo chiesto a Er Pinto, poeta metropolitano, di scrivere un testo in romanesco con questo titolo, che ci piaceva molto. Ne abbiamo estrapolato quattro momenti per costruirci un ritornello ed è venuto fuori un rap a scambi, una roba che prima insieme non avevamo mai fatto. Volevamo essere da subito in due, per far passare il feeling innato che ci lega. «Adversus» è anche uno statement, una dichiarazione di intenti.
MASITO — Di solito chi fa rap in Italia preferisce temi spensierati. Noi abbiamo messo in campo anche le debolezze, scoperto il fianco per dire a chi ascolta: «Se hai un problema, una paranoia, non sei l’unico». Volevamo restituire al rap profondità come negli anni Novanta e, prima ancora, con le posse... Al contrario di chi si adegua ai tempi anche se non sono nelle sue corde, perdendosi nei social peggio dei ragazzini. Ormai è tutto un network, pareri, salotti...
Uno dei temi ricorrenti del disco è il nemico, esterno e interno, necessario per conoscersi e mettersi alla prova.
DANNO — Il nemico esterno è la parte malata della società, che cova una rabbia ingiustificata verso tutto ciò che è diverso. Viviamo in un mondo assurdo in cui la tecnologia ci proietta nel futuro, ma si vogliono costruire muri, usare le ruspe... Il nemico interno invece sono le ansie, le
paure, le insicurezze che questa società non fa altro che amplificare.
MASITO — Oggi vogliono sentirsi tutti vincenti, ma si percepisce una fragilità di fondo. Proviamo a consolarci con i social, eppure ci manca sempre qualcosa.
A proposito di ruspe, voi avete iniziato in un periodo di grande fermento: le posse, la Pantera, le esperienze underground... Pensate che la figura del vicepremier Matteo Salvini possa fungere da catalizzatore di nuove spinte controculturali?
MASITO — Nei periodi peggiori della storia sono venute fuori le energie migliori. Speriamo che la fatica e la sofferenza portino a ingegnarsi, a inventarsi qualcosa. Salvini passerà, il problema è la gente che forse se lo merita.
DANNO — Salvini alza il tono della polemica, è ovvio che susciti reazioni. La sua è una politica dagli intenti molto chiari: via gli stranieri, no ai diktat dell’Europa... Slogan ai quali è facile opporsi rispetto ad anni di premier non eletti quando, senza un nemico preciso, era difficile fare una canzone politica perché mancava un personaggio così divisivo... Uno in grado di far scattare la vera malattia dell’italiano: il tifo, lo schierarsi per partito preso. MASITO — Ci sarà sempre una categoria con la quale prendersela: prima erano il calabrese e il siciliano che emigravano al Nord, poi il vicino di pianerottolo o il tifoso della squadra avversaria... Tutto fondato sull’odio... Gioco astuto sì, ma con poca intelligenza.
Che cosa ha significato rimanere fedeli a voi stessi, a costo di mostrare le ammaccature e assumervi il rischio di non centrare il risultato?
DANNO — Se il disco non fosse stato accolto come speravamo, dopo tanta attesa, sarebbe stata una batosta dura da mandare giù, ma nonostante tutto ci siamo messi a nudo con le nostre fragilità. La strofa «eppure sono qui, come se fosse facile perdere» mi ricorda un po’ il vi
vereeee di Vasco, l’avrebbe potuta scrivere lui o uno di quei cantautori che a un certo punto hanno parlato anche del rischio della sconfitta, dato voce a quella parte della società che non sempre riesce a vincere o si propone come vincente.
MASITO — Per me la sconfitta è che la nostra scena, bella solida ma che non è riuscita a muovere grandi numeri, è sparita in favore della nuova che invece fattura tantissimo. In certi ambienti si dice che il rap sia nato all’inizio del millennio, non negli anni Novanta, come se quello fosse stato solo il preludio. Con il paradosso che quelli che noi allora criticavamo hanno avuto successo e fatto un sacco di soldi.
Quanto usate i social e come vi rapportate al grande tema delle manipolazioni della Rete? DANNO — Sui social siamo sobri, quando abbiamo qualcosa da dire la scriviamo. Questione complicata, la verità, la sto ancora decifrando. Nel suo ultimo libro, The game, Alessandro Baricco ricorda di essere cresciuto in un mondo in cui c’era solo un telegiornale, mentre oggi le fonti sono milioni ed è la gente a fare informazione. Il punto è: siamo sicuri che fosse meglio prima? Io preferisco questa maggiore libertà, per cui sta a te capire cosa sia attendibile o no.
MASITO — Io invece penso che con il web tutti si sentano grafici pubblicitari, fotografi, scienziati, rapper, addetti ai lavori... Noi parlavamo di scrausi (scarsi) negli anni Novanta per cose molto meno gravi. Oggi l’incapacità è quasi un pregio, per noi è una vergogna. In questo mondo un altro Enzo Biagi non sarebbe possibile e sai perché? Perché non è più necessario, purtroppo. Da romani, come vi sembra che se la passi la vostra città?
DANNO — Sembra ci sia scarsissima attenzione per la cultura. Manca una visione da qui ai prossimi vent’anni.
MASITO — Io però qualche segnale positivo lo vedo nel ritorno della musica folk, la canzone romana. Muro del Canto, Ardecore, Mannarino, Poeti del Trullo, Ponentino Trio... E nei fumetti di Zerocalcare. Sono orgoglioso che girino in tutta Italia e vengano apprezzati».
Il mondo in cui viviamo «La vera malattia dell’italiano è il tifo per partito preso. A Roma manca una visione per i prossimi vent’anni»