Corriere della Sera - La Lettura
Popoli oppressi ma che non si fecero «civilizzare»
Le vittime della frontiera orgogliosi
Secondo il censimento del 2010, gli indiani d’America residenti negli Stati Uniti sono 2,9 milioni, lo 0,9% della popolazione. Una stima sommaria delle persone con qualche ascendenza indiana, ma che non si dichiarano come tali, porta però il numero quasi a raddoppiare. In pratica da 50 anni la popolazione nativa americana è tornata a essere quella che alcune stime attestano come il probabile numero all’arrivo degli europei. In seguito però si verificò un disastro demografico, che ha invertito la sua tendenza solo dopo la Seconda guerra mondiale. Il crollo della popolazione indigena fu dovuto sia alla conquista europea, e alla brutalità delle politiche coloniali e poi nazionali, sia alle malattie che i nuovi arrivati portarono con sé. Contro di esse le popolazioni americane non avevano anticorpi, e influenza e vaiolo divennero flagelli ricorrenti che decimarono gli indiani.
La tendenza continuò con l’espansione della frontiera verso ovest e ancora di più con la costituzione degli Stati Uniti d’America nel 1776. Nel periodo della guerra di Indipendenza le tribù si schierarono su entrambi i fronti, finendo per spaccarsi al proprio interno. Con la fondazione degli Usa, la sorte delle tribù attraversò fasi alterne, ma in linea di massima gli indigeni sperimentarono un progressivo peggioramento delle proprie condizioni. Tra la fine del XVIII e l’inizio del XIX secolo, il governo federale, pur riconoscendo una sorta di sovranità delle nazioni indiane, adottò un approccio paternalistico nella convinzione che questi popoli, considerati barbari, avessero bisogno di una guida. In realtà ciò accompagnava una politica di espropriazione delle terre, tanto che a metà dell’Ottocento la loro autonomia fu ridotta con l’istituzione delle riserve e un crescente controllo da parte del governo federale.
Le guerre indiane conobbero l’apogeo tra il 1830, quando diverse tribù del Sud-Est vennero trasferite forzatamente nell’attuale Oklahoma, e il 1890, segnato dal massacro di Wounded Knee ai danni dei Sioux e dalla contestuale chiusura della frontiera americana. Quell’episodio rappresentò l’ultima resistenza indiana quando una nuova religione, la Danza degli Spettri, si diffuse tra molte tribù in un sincretismo che auspicava la sparizione dei bianchi. La dura reazione dell’esercito federale portò a una carneficina con oltre 200 vittime, tra cui donne e bambini. Il conflitto si era inasprito tra gli anni Sessanta e Settanta del XIX secolo con episodi entrati nel drammatico conteggio della strage di indigeni: il massacro di Sand Creek, la spedizione di Powder River, la Grande guerra dei Sioux (1876-77). In seguito una nuova politica di «civilizzazione» portò alla ripartizione delle terre indiane in proprietà privata e all’alienazione di quasi la metà del territorio ancora controllati dalle tribù.
La politica di civilizzazione e cristianizzazione degli indiani fallì. A inizio Novecento i nativi ammontavano a circa 350 mila individui anche se molti allora tendevano a nascondere le proprie origini. Dopo il riconoscimento della cittadinanza a tutti gli indigeni residenti sul territorio Usa nel 1924, favorito peraltro dalla partecipazione di molti giovani alla Prima guerra mondiale, una nuova politica di «ritribalizzazione» fu introdotta nel 1934 da Roosevelt nel quadro del New Deal. Non tutti nel governo però ritenevano accettabile quest’automatico riconoscimento di un’identità separata, pur nel seno della nazione americana, e negli anni Cinquanta s’avviò la cosiddetta termination. Essa negava il diritto a un’autonomia e a una propria autodefinizione delle tribù con la chiusura delle riserve e dei programmi di aiuto loro destinati nella convinzione che ciò avrebbe accelerato il processo di assimilazione.
Il movimento dei diritti civili consentì poi una riaffermazione dell’identità e l’avvio di nuove rivendicazioni di questi popoli che si erano visti spogliare di tutte le loro terre e poi della loro indipendenza. Tra gli anni Sessanta e Settanta si consolidò una nuova coscienza, con il riconoscimento dell’unità delle popolazioni indigene e con la rivendicazione dell’autogoverno. Sul finire del XX secolo, Washington ha concesso crescente autonomia alle amministrazioni tribali. Nel 2010 Obama ha dato maggiore autorità anche alle amministrazioni giudiziarie con il Tribal Law and Order Act. Tutto ciò non ha però fermato altre violazioni, come il completamento dell’oleodotto di Keystone, che attraversa diversi territori indiani e contro il quale varie tribù dal Nebraska al North Dakota si battono.