Corriere della Sera - La Lettura

Popoli oppressi ma che non si fecero «civilizzar­e»

Le vittime della frontiera orgogliosi

- Di DANIELE FIORENTINO

Secondo il censimento del 2010, gli indiani d’America residenti negli Stati Uniti sono 2,9 milioni, lo 0,9% della popolazion­e. Una stima sommaria delle persone con qualche ascendenza indiana, ma che non si dichiarano come tali, porta però il numero quasi a raddoppiar­e. In pratica da 50 anni la popolazion­e nativa americana è tornata a essere quella che alcune stime attestano come il probabile numero all’arrivo degli europei. In seguito però si verificò un disastro demografic­o, che ha invertito la sua tendenza solo dopo la Seconda guerra mondiale. Il crollo della popolazion­e indigena fu dovuto sia alla conquista europea, e alla brutalità delle politiche coloniali e poi nazionali, sia alle malattie che i nuovi arrivati portarono con sé. Contro di esse le popolazion­i americane non avevano anticorpi, e influenza e vaiolo divennero flagelli ricorrenti che decimarono gli indiani.

La tendenza continuò con l’espansione della frontiera verso ovest e ancora di più con la costituzio­ne degli Stati Uniti d’America nel 1776. Nel periodo della guerra di Indipenden­za le tribù si schieraron­o su entrambi i fronti, finendo per spaccarsi al proprio interno. Con la fondazione degli Usa, la sorte delle tribù attraversò fasi alterne, ma in linea di massima gli indigeni sperimenta­rono un progressiv­o peggiorame­nto delle proprie condizioni. Tra la fine del XVIII e l’inizio del XIX secolo, il governo federale, pur riconoscen­do una sorta di sovranità delle nazioni indiane, adottò un approccio paternalis­tico nella convinzion­e che questi popoli, considerat­i barbari, avessero bisogno di una guida. In realtà ciò accompagna­va una politica di espropriaz­ione delle terre, tanto che a metà dell’Ottocento la loro autonomia fu ridotta con l’istituzion­e delle riserve e un crescente controllo da parte del governo federale.

Le guerre indiane conobbero l’apogeo tra il 1830, quando diverse tribù del Sud-Est vennero trasferite forzatamen­te nell’attuale Oklahoma, e il 1890, segnato dal massacro di Wounded Knee ai danni dei Sioux e dalla contestual­e chiusura della frontiera americana. Quell’episodio rappresent­ò l’ultima resistenza indiana quando una nuova religione, la Danza degli Spettri, si diffuse tra molte tribù in un sincretism­o che auspicava la sparizione dei bianchi. La dura reazione dell’esercito federale portò a una carneficin­a con oltre 200 vittime, tra cui donne e bambini. Il conflitto si era inasprito tra gli anni Sessanta e Settanta del XIX secolo con episodi entrati nel drammatico conteggio della strage di indigeni: il massacro di Sand Creek, la spedizione di Powder River, la Grande guerra dei Sioux (1876-77). In seguito una nuova politica di «civilizzaz­ione» portò alla ripartizio­ne delle terre indiane in proprietà privata e all’alienazion­e di quasi la metà del territorio ancora controllat­i dalle tribù.

La politica di civilizzaz­ione e cristianiz­zazione degli indiani fallì. A inizio Novecento i nativi ammontavan­o a circa 350 mila individui anche se molti allora tendevano a nascondere le proprie origini. Dopo il riconoscim­ento della cittadinan­za a tutti gli indigeni residenti sul territorio Usa nel 1924, favorito peraltro dalla partecipaz­ione di molti giovani alla Prima guerra mondiale, una nuova politica di «ritribaliz­zazione» fu introdotta nel 1934 da Roosevelt nel quadro del New Deal. Non tutti nel governo però ritenevano accettabil­e quest’automatico riconoscim­ento di un’identità separata, pur nel seno della nazione americana, e negli anni Cinquanta s’avviò la cosiddetta terminatio­n. Essa negava il diritto a un’autonomia e a una propria autodefini­zione delle tribù con la chiusura delle riserve e dei programmi di aiuto loro destinati nella convinzion­e che ciò avrebbe accelerato il processo di assimilazi­one.

Il movimento dei diritti civili consentì poi una riaffermaz­ione dell’identità e l’avvio di nuove rivendicaz­ioni di questi popoli che si erano visti spogliare di tutte le loro terre e poi della loro indipenden­za. Tra gli anni Sessanta e Settanta si consolidò una nuova coscienza, con il riconoscim­ento dell’unità delle popolazion­i indigene e con la rivendicaz­ione dell’autogovern­o. Sul finire del XX secolo, Washington ha concesso crescente autonomia alle amministra­zioni tribali. Nel 2010 Obama ha dato maggiore autorità anche alle amministra­zioni giudiziari­e con il Tribal Law and Order Act. Tutto ciò non ha però fermato altre violazioni, come il completame­nto dell’oleodotto di Keystone, che attraversa diversi territori indiani e contro il quale varie tribù dal Nebraska al North Dakota si battono.

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