Corriere della Sera - La Lettura

STELLE DI PAPÀ

- Di ELIZABETH H. WINTHROP

È il fine settimana che Elliot trascorre con la figlia Clementine. Ha organizzat­o tutto, spaventato dall’imbarazzo dei weekend precedenti. Anche se sono trascorsi sei anni, non si è ancora abituato a essere padre: tra un sorso di whisky e uno spinello si rende conto che a lei basta poco. Un gelato... e la storia di una bambina lassù...

In questa storia non muore nessuno. Prima o poi moriranno, come tutti noi. Tra sedici mesi, Elliot si schianterà contro un albero rimanendo ucciso sul colpo. Clementine morirà di cancro a soli cinquantad­ue anni, due mesi dalla diagnosi al decesso. Ma in questa storia non muore nessuno. Clementine ha sei anni, Elliot quarantadu­e. In questa storia, è il fine settimana che Elliot trascorre con la bambina. Spaventato dall’inerzia e dall’imbarazzo che lo hanno afflitto nei precedenti weekend, Elliot stavolta ha stilato un programma da seguire, una stampella che lo aiuterà a trascorrer­e il sabato e la domenica.

Colazione al Frankie’s Diner. Una camminata sulla passerella che attraversa lo stagno. Raccolta delle mele alla fattoria, con ciambelle al sidro e mele Macoun per pranzo. Un’oretta al parco giochi. Matinée al cinema, cartoni animati. Cena al posto giapponese dove cucinano il cibo proprio sul tuo tavolo.

Elliot ha sempre una bottigliet­ta in tasca — l’altra stampella — che continua a consultare durante il giorno, e quando rientrano a casa la sera è già prosciugat­a da un pezzo. Si dedica frettolosa­mente alla routine della buonanotte, un passaggio veloce in vasca da bagno, la lettura di un libro breve. La sua ex moglie, che Elliot ama ancora, di solito fa dire le preghiere a Clementine, ma Elliot preferisce tralasciar­e quella parte. È sfinito dalla giornata, e assetato, la voglia di un altro sorso gli fa tremare le mani e la mente.

«Una storia, papà?», gli chiede Clementine, al buio. «Mi racconti una storia?».

Elliot stringe i denti, ricacciand­o indietro un moto di stizza. Tira il fiato per ritrovare la calma, poi annuisce. «Va bene», dice, e le chiede di aspettare un minuto, tornerà subito. Va in cucina e trangugia un lungo sorso di Dewars direttamen­te dalla bottiglia, poi torna in camera e si accomoda sul bordo del lettino, accanto alla figlia. Comincia a raccontare la storia di una bambina che saltava così in alto da atterrare sulla Luna, poi di lì saltellava di qua e di là nell’universo, giocando alla campana da una stella all’altra. Elliot non sa dove andrà a parare la sua storia, si limita a sciorinare una frase dopo l’altra, e quando, qualche minuto più tardi, getta un’occhiata alla bambina, con sollievo si accorge che dorme.

Ha quasi finito il suo terzo whisky un’ora dopo, la tv accesa, i piedi sul tavolino, quando sente la bambina che lo chiama. Gli ci vuole un attimo per rendersi conto di quello che sta accadendo. Anche dopo sei anni, non è abituato a essere papà.

«Papà, ci siamo dimenticat­i», dice lei, quando Elliot socchiude di un filo la porta della cameretta, la vocina sottile e tenera nel buio. «Che cosa?». «Ci siamo dimenticat­i il gelato». Ha ragione. Elliot le aveva promesso il gelato per quella sera. La mattina avevano messo in frigo la vaschetta che si erano fatti riempire alla fattoria, prima di proseguire per il parco giochi e il cinema. Stracciate­lla con cioccolato alla menta, il gusto preferito di lei. E una confezione di coni.

Ma il gelato non è nel programma di Elliot. La sua tabella dice che è l’ora del whisky, la sua ora: l’irritazion­e gli monta dentro. Domani, sta per dire, ma in quel momento Clementine si mette a sedere sul letto e forse è il riflesso della luce del corridoio nei suoi occhi speranzosi, o la massa arruffata dei suoi capelli di bambina, o le scapole che spuntano, fragili, sotto la maglietta, o forse tutte queste cose insieme, c’è qualcosa in lei che travolge Elliot con un’ondata cocente di vergogna. Chiede così poco, e quel poco significa tanto per lei.

Domani, stava per dire, ma si ritrova invece in cucina, il cucchiaio in mano, a premere nei coni le palline di gelato verde e freddo, mentre Clementine lo guarda con tale entusiasmo e meraviglia che Elliot deve lottare per non scoppiare in lacrime. È un fallito, vorrebbe dirle, non l’eroe che lei immagina.

Il gelato a settembre è un problema, quando la calura estiva si fa sentire ancora nell’aria. Comincia a sciogliers­i non appena viene raccolto con il cucchiaio e quando Elliot ripone in frigo la vaschetta, già sgocciola lungo i lati dei due coni che Clementine stringe in mano obbediente, i piedini nudi sulle piastrelle della cucina macchiate dalle prime goccioline verdi.

Allora escono all’aperto. Si siedono sui gradini della porta della cucina e leccano il loro gelato in silenzio. Elliot si è preparato un cono solo per farle compagnia, ma il gelato freddo e dolce in bocca, profumato di menta, la cremosità della panna che si scioglie attorno alle pepite dure di cioccolato, e l’espression­e felice e appagata sul viso della sua bambina, leniscono e placano l’arsura dell’alcol e della vergogna. Elliot prova una strana emozione, quasi un senso di speranza che non riesce ad afferrare pienamente, come se, nella vita, avesse in qualche modo voltato pagina.

Quando ha finito il suo gelato, Elliot si appoggia sui gomiti e alza lo sguardo al cielo e nella notte buia e piena di stelle si sforza di riconoscer­e le costellazi­oni, mentre Clementine sbocconcel­la il suo cono accanto a lui. Lo vede che guarda in su e solleva lo sguardo anche lei.

«Papà», sussurra. C’è un’ombra di preoccupaz­ione nella sua voce. Elliot la fissa, ha il visino corrucciat­o. «Credi che forse, non lo so, forse noi non siamo veramente qui?», gli chiede. Elliot esita. «Che cosa vuoi dire?». «Che forse siamo solo parte di una storia che qualcuno sta raccontand­o al suo bambino prima di dormire», dice. «Come la bambina che saltella da una stella all’altra. Che cosa pensi che ci succederà, quando finisce la storia?». Elliot non si è mai soffermato su una simile questione prima di allora. Riflette. «Non vuol dire che noi finiamo», ragiona. «Solo perché non ti racconto più della bambina tra le stelle non vuol dire che non ci sia, lassù».

Clementine osserva le stelle, come alla ricerca della bambina tra tutte quelle scintille. Di colpo, il suo visino si illumina. «La vedo!» e indica con il dito. «La vedi anche tu?».

Elliot guarda nella direzione del dito. Vede stelle, miliardi di stelle, ognuna di esse un sole al centro di un sistema dove milioni di altre storie come la sua forse si stanno dipanando in questo preciso istante. Forse, pensa. Potrebbe darsi.

«Eccola!», dice. «La vedo anch’io».

Rientrati in casa, Elliot lava le mani e il viso di Clementine e la riaccompag­na a letto. In un’altra storia, la storia di un altro weekend nella loro vita, Elliot forse torna in salotto al suo bicchiere di whisky che ha lasciato sul tavolo. Potrebbe chiamare la ex moglie solo per sentire la sua voce, oppure arrotolars­i uno spinello, o scegliere un film alla television­e. In un’altra ancora, potrebbe finire scaraventa­to contro un albero, sfondando il parabrezza della macchina. Ma in questa storia non muore nessuno. In questa storia, Elliot si siede al buio sul bordo del lettino di sua figlia e «la bambina tra le stelle...», le sussurra, «vuoi che ti racconti quello che sta facendo adesso?».

( traduzione di

Rita Baldassarr­e)

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