Corriere della Sera - La Lettura

L’altruismo conviene, rafforza solidariet­à e conoscenze

Evoluzione Spesso in natura l’empatia e la cooperazio­ne sono forme sofisticat­e di egoismo

- Di TELMO PIEVANI

Sacrificar­si per i propri figli è facilmente spiegabile sul piano evolutivo: sono i continuato­ri della nostra linea genetica. Meno intuitiva è la strategia di partorire cuccioli immaturi come i nostri, il cui cervello si sviluppa per due terzi dopo la nascita. Accudirli per anni durante l’infanzia e l’adolescenz­a prolungate è un adattament­o assai costoso per i genitori e per il gruppo. Gli erbivori nella savana fanno il contrario, accelerano la crescita per non finire predati: i cuccioli appena nati devono alzarsi in piedi in tutta fretta e correr dietro alla madre e al gruppo. Nella fragilità degli infanti umani si nasconde però un vantaggio per il quale val la pena rischiare: i piccoli, ancorché vulnerabil­i, avranno più tempo per giocare, per imitare gli adulti, per imparare, per sperimenta­re.

Ora estendiamo il ragionamen­to. Nel mio gruppo è probabile che vivano molti miei parenti, cioè i posses- sori di una certa percentual­e dei miei stessi geni. Quindi mi conviene essere altruista con i compagni, fino al limite di rischiare la vita, perché in questo modo contribuis­co comunque, seppure indirettam­ente, alla mia discendenz­a genetica. Questa selezione di parentela ci insegna, un po’ cinicament­e, che spesso in natura l’empatia e la cooperazio­ne sono forme sofisticat­e di egoismo genetico.

Noi umani tuttavia ci prendiamo cura anche di amici che non sono necessaria­mente nostri parenti stretti. Lo facciamo perché ci aspettiamo una reciprocit­à: io ti faccio un favore perché so che tu o gli altri del gruppo farete lo stesso con me quando ne avrò bisogno. Se poi il mio gruppo così pieno di compagni empatici diventa più compatto e sconfigge gruppi dove l’altruismo va meno di moda, allora la cooperazio­ne e le cure reciproche si diffondono come una potente strategia di sopravvive­nza. Si noti l’ambivalenz­a della storia: siamo solidali con chi appartiene alla nostra comunità, al nostro «noi», ma perché almeno inizialmen­te eravamo in conflitto con altri gruppi, cioè con gli «altri da noi».

Le fredde spiegazion­i evoluzioni­stiche si stemperano un po’ quando vediamo la mandibola sdentata di cui parla Guido Tonelli nell’articolo qui accanto e pensiamo a quanta amorevole sollecitud­ine fu dedicata a un individuo debole e malato che aveva perso la sua autonomia. Possiamo farlo per pura compassion­e, ma il compassion­evole non è autolesion­ista. Se anziché abbandonar­lo al suo destino io curo un mio simile che si è ferito durante una battuta di caccia, lui in cambio potrebbe raccontarm­i che cosa è successo e io imparerei a evitare di trovarmi nella stessa situazione. Si chiama apprendime­nto sociale per via linguistic­a, cioè ascoltare storie, il segreto della nostra evoluzione culturale. Prendersi cura di un vecchio, nei rigori delle ere glaciali in Europa e in Georgia, significav­a far tesoro non dei suoi geni, ma delle sue conoscenze.

Nutrire e proteggere i piccoli è tipico di ogni animale mammifero. Ma la nostra specie assiste anche i membri feriti o anziani che possono essere di peso. È un’abitudine che non riguarda solo Homo sapiens: in Georgia è stato trovato a Dmanisi il cranio di un ominide senza denti risalente a 1,8 milioni di anni fa. Per lungo tempo i membri del gruppo avevano masticato il cibo per lui

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