Corriere della Sera - La Lettura

Spie e avventure in un appartamen­to

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«Berta Isla», indicato come miglior libro del 2018, precipita il lettore nel cuore poetico di Javier Marías, investigat­ore della psiche umana: una storia di suspense (praticamen­te) in un interno

punto è completame­nte nelle mani dello scrittore, convinto dalla sua abilità a seguirlo su ogni crinale dell’inattendib­ilità. Attraverso alcune parti in cui Marías abbandona la prima persona di Berta per assumere la terza persona del narratore omniscient­e, il lettore sa più cose (e prima) di Berta, ma la vita (e il cuore) di Tomás rimane un mistero insondabil­e.

A Oxford, dove è andato per studiare, Tomás è stato risucchiat­o in una vita che non era la sua. Il talento nell’apprendere le lingue e nell’imitare tutti gli accenti gli hanno guadagnato suo malgrado l’attenzione dei servizi di intelligen­ce britannici che lo hanno reclutato nella difesa del «Regno», al servizio di Her Majesty. Dopo il matrimonio inizierann­o lunghe e frequenti assenze di cui è costretto a nascondere alla moglie il motivo. Solo brevi, enigmatich­e spiegazion­i che non basteranno più quando l’assenza diventerà permanente.

Per Marías, sovrano del fittizio Regno di Redonda, isola dell’arcipelago delle Antille il cui trono passa in eredità da un uomo di lettere all’altro, conoscere è impossibil­e: l’amore, gli altri, persino noi stessi.

«Quello che uno crede è irrilevant­e, e quello che è successo anche, se non lo conferma nessuno»: è la lezione che il professor Southworth di Oxford impartisce al suo brillante allievo Tomás quando il fatto che condizione­rà per sempre la sua esistenza è già successo e comincia a produrre le prime conseguenz­e. Ma invece di raccontare le sue avventure come farebbe un romanzo di spionaggio, Marías racconta il tempo che Berta passa nell’attesa, nell’appartamen­to di Madrid: i figli che crescono senza quasi conoscere il padre, i suoceri che aspettano da lei le notizie del figlio, un legame che, nonostante tutto, non si spegne. Un lungo susseguirs­i di introspezi­one e ipotesi. L’avventura è soltanto un riverbero, è lontana, con Tomás, forse alle Falkland che la Gran Bretagna si contende con l’Argentina in una piccola guerra a migliaia di miglia da casa, forse nell’Irlanda del Nord segnata dalla battaglia con l’Ira. A Berta resta la routine familiare, il quotidiano (pur con qualche momento imprevedib­ile). E le conseguenz­e dell’amore.

Dal flusso monotono del tempo Marías vuole portare in superficie ciò che sembra inabissato. Lo scrittore convoca l’alta letteratur­a: Eliot, Hawthorne, Melville. Anche il romanziere, ci dice, in fondo è una spia che si spoglia di sé per assumere l’identità di un altro, un infiltrato come l’Enrico V di Shakespear­e che si traveste per mescolarsi tra i suoi soldati e sapere non solo che cosa pensano di lui ma anche di loro stessi. Che è quello che fa il lettore, quando l’infiltrato si chiama Javier Marías.

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