Corriere della Sera - La Lettura
I tre surrealismi
Una mostra ad Alba, in Piemonte, «Dal Nulla al Sogno»; un’altra alla Gam di Torino, «Apollinaire e l’invenzione “surréaliste”»; un’altra ancora a Pisa, «Da Magritte a Duchamp»: indagano sugli sviluppi di un movimento che ha avuto stagioni e protagonisti diversi. A partire da una riflessione di Plotino sulla creazione
Capita di frequente che si aprano rassegne che affrontano lo stesso tema, la storia di un singolo artista o quella di un gruppo. Pensate alle mostre di Leonardo, con il quinto centenario della morte che sta per iniziare, pensate alle mostre di Caravaggio, decisamente troppe, viste negli ultimi anni; certo, per l’arte antica il giudizio è immediato, basta verificare la provenienza delle opere, la figura scientifica dei curatori, per capire la serietà della ricerca. Per il contemporaneo è più difficile, i nomi degli artisti non sempre corrispondono alla qualità delle opere che, a volte provenienti da raccolte private, non posseggono un livello adeguato. Adesso tre mostre propongono racconti in parte diversi: due di esse sono costruite in collaborazione con grandi collezioni pubbliche, una è dedicata a Dada e il Surrealismo e arriva dal Museo Boijmans
Van Beuningen di Rotterdam ( Dal Nulla al Sogno. Dada e Surrealismo dalla Collezione del Museo Boijmans Van Beuningen, a cura di Marco Vallora, Alba, Fondazione Ferrero); l’altra è dedicata all’anno 1929 e al momento culminante del Surrealismo ed è prestata dal Pompidou di Parigi ( Da Magritte a Duchamp. 1929: il grande Surrealismo dal Centre Pompidou, a cura di Didier Ottinger, Pisa, Palazzo Blu). La terza, Apollinaire e l’invenzione «surréaliste». Il poeta e i suoi amici nella Parigi delle
Avanguardie, è a Torino (Wunderkammer Gam, a cura di Maria Teresa Roberto con Virginia Bertone, Franca Bruera e Marilena Pronesti).
La rassegna di Alba integra le opere provenienti da Rotterdam con una serie di prestiti scelti dal curatore; tutte le opere sono fornite di accurate schede. Nella mostra di Pisa si ristampano schede dal catalogo del museo parigino ma alcuni pezzi non hanno specifiche analisi. Nella mostra di Alba Marco Vallora inquadra le origini di Dada, l’incontro nel 1916 di alcuni artisti esuli al Cabaret Voltaire a Zurigo, con la fine della guerra, lo spostarsi a Parigi del gruppo. Il problema è comprendere il rifiuto dei dadaisti, la loro ribellione all’arte e alle convenzioni borghesi, la loro scoperta di una creazione che muova da questa tabula rasa. Sergio Givone, in dialogo con il curatore, spiega: «I dadaisti dicono che l’arte non significa nulla… che è pura insensatezza… di fatto però ci vogliono dire che questo nulla, che l’arte, in realtà, riguarda proprio il significato forte del nulla… qualcosa che ci permette di spiegare la creazione, l’invenzione, il trarre fuori, come dal nulla, qualcosa che però ci stupisce, ci incanta». E questo problema, precisa Givone, se lo era posto nel II secolo Plotino: creazione è creare dal nulla. Così, alla fine della guerra, Dada scopre il fascino degli oggetti del quotidiano e pone le basi per il Surrealismo, che avrà due tempi e due manifesti firmati da André Breton, il primo (1924) che punta su una nuova funzione dell’arte nella società, il secondo (1929) che sceglie l’adesione al marxismo, duramente contrastata da una parte dei surrealisti.
Ma veniamo al confronto fra le mostre di Pisa ed Alba. Quella di Pisa inizia con i Cadavre exquis, gioco fondato sulle libere associazioni nel segno di Sigmund Freud. I Cadavre exquis sono prima sperimentati nella poesia, poi nelle immagini: si scrive, o si disegna, sullo stesso foglio, senza conoscere quello che gli altri hanno fatto prima di te, ne escono opere composite di Joan Miró, Max Morese, Man Ray, Yves Tanguy. Un altro aspetto interessante della mostra di Pisa è la sezione dedicata al «Grand Jeu» (1928-30), titolo di una rivista e polo di un gruppo di artisti che inizia da Reims negli anni Venti e poi, a Parigi, attorno al 1926-27, incontra il pittore di Praga Josef Sima, attento alle filosofie orientali. Al marxista André Breton quel gruppo non poteva interessare ma un dipinto di Sima, Double paysage tempète électrique (1928), tronchi chiarissimi contro una foresta cupa e solidi geometrici, confronto fra inconscio e ragione, poteva piacere a molti del gruppo surrealista, a cominciare da Max Ernst e da André Masson.
Nella mostra di Alba sono chiare le diverse strade dei surrealisti. Cominciamo con Max Ernst che, nel 1929, in La femme 100 têtes inventa storie, collage di ritagli da libri di esplorazione, da cataloghi di naturalisti, da racconti di viaggio: sono paesaggi e figure ricomposte in un «racconto trovato» che impone a chi guarda di creare nuovi significati. René Magritte propone la sospensione del tempo: in Reproduction interdite (1937) ecco un uomo di schiena davanti a uno specchio, il libro in basso è riflesso, ma nel vetro sopra vedi ancora il dorso della figura, insomma creare vuol dire rappresentare il nonesistere. Nel 1938 Salvador Dalí dipinge Espagne, parallelepipedo di pietra con un cassetto da cui pende uno straccio rosso, accanto una forma trasparente, una divinità antica contro un deserto popolato di figure in lotta e un orizzonte di rovine di un paese distrutto.
Nella mostra di Torino il tema è la guerra, quella che rappresenta Apollinaire nel suo Les mamelles de Tirésias, scritto fra 1903 e 1917 e rappresentato a Parigi il 24 giugno di quell’anno. Il luogo del racconto è Zanzibar, terra deserta di bambini, metafora della Francia distrutta, dove Thérese rifiuta il suo ruolo di donna, i seni volano via come palloncini, e si trasforma nell’oracolo Tiresia. I bozzetti dei costumi, del russo Serge Férat, sono legati al Picasso cubista, dove i corpi frammentati evocavano forse, allora, la distruzione nelle trincee. Ma fra il dopoguerra dada e quello surrealista c’è uno stacco preciso e così, all’analisi del reale, subentra una fotografia sublimata, diversa, ben presentata nelle due mostre di Alba e Pisa. Certo, e prima di tutti, Man Ray con i suoi Rayograph, con le sue Solarizzazioni (1921); dopo di lui Jacques André Boiffard , Maurice Tabard e magari Brasssaï. Qui la luce, il caso, le associazioni libere sono ancora le matrici di molte immagini. Però una foto mostra una strada diversa: In Incubo di una notte di mezza estate, di Dalí e Philippe Halsmann (1944), tutto, nella notte, è perfettamente definito, siamo dunque davanti a una lettura ironica del testo di Shakespeare. La creazione dal nulla proposta da Dada e poi trasformata da Max Ernst, René Magritte, Man Ray e tanti altri, diventa costruzione controllata nel più freudiano, analitico, descrittivo degli artisti del gruppo, Dalí. Non passa da qui la creazione dal nulla con cui Plotino tentava di capire l’operato di Dio, ed è lontanissimo il fronte, la guerra vissuta, descritta da Apollinaire in poesia e nel dramma del 1917.