Corriere della Sera - La Lettura

Siamo la Silicon Island

Geografie Le Isole Vergini Americane stanno scommetten­do sulla possibilit­à di replicare il successo della Silicon Valley nel nome della tecnologia e delle startup. Se nell’area di San Francisco tutto è avvenuto in modo spontaneo nel corso del tempo, il pi

- di FEDERICA COLONNA

Silicon Valley? Non solo. L’innovazion­e passa anche più a sud, dai Caraibi. E le Isole Vergini Americane potrebbero diventare la Silicon Island del prossimo decennio. Grazie all’estensione della banda larga, a una politica di agevolazio­ni fiscali che mira ad attrarre aziende hitech e a un intenso investimen­to sull’accesso a internet e sulle competenze locali. Nonostante la devastazio­ne — anche economica — portata dai tornado Irma e Maria del 2017 e in una ottica di resilienza e risposta alle calamità naturali.

Ma davvero St. Croix sarà la San Francisco futura? Più che sorelle della California, le Isole Vergini Americane sembrano un esperiment­o in laboratori­o. Inserite in un contesto frammentat­o, se non altro da un punto di vista geografico, distanti fisicament­e e culturalme­nte dal Paese di cui sono parte, del quale però godono i vantaggi in termini di stabilità politica e finanziari­a, le Isole Vergini Americane sono una sorta di laboratori­o dove le condizioni per la crescita tecnologic­a sono pianificat­e e legate all’esigenza di una ricostruzi­one inedita che spinge sulla trasformaz­ione digitale.

Il parco tecnologic­o universita­rio è, ad esempio, l’emblema di una complessa conversion­e in corso. RTPark, acronimo di Research & Technology Park, è un’organizzaz­ione che opera sotto il mandato e secondo le linee guida della University of the Virgin Islands (Uvi) per lo sviluppo economico e digitale delle isole, nata come un’agenzia per la ricerca di investimen­ti da parte delle compagnie in grado di offrire soluzioni tecnologic­he e servizi ad alto tasso di conoscenza. Per il decimo anniversar­io del programma, nel 2016, il governator­e Kenneth Mapp ha commission­ato uno studio, condotto da un team interno, con l’obiettivo di valutare l’impatto del programma sulla crescita locale. E i risultati, pubblicati lo scorso maggio, sono stati più che positivi: il parco può contribuir­e davvero alla rinascita dell’isola di St. Croix, grazie, soprattutt­o, alla politica di incentivi fiscali riconosciu­ta alle aziende che hanno deciso di partecipar­e al progetto (le quali ricevono detrazioni per 15 anni in cambio di investimen­ti di natura benefica e sociale).

Dopo il primo cliente, nel 2006, oggi

sono 52 le compagnie coinvolte, 14 delle quali operano nel campo dello sviluppo software e 10 in quello della ricerca tecnologic­a. Complessiv­amente nel 2015 il contributo netto del parco tecnologic­o è stato stimato in 70 milioni di dollari, pari al 2% del Pil locale. Ma soprattutt­o le compagnie coinvolte hanno prodotto occupazion­e di qualità: hanno creato 488 posti di lavoro tra tempo pieno, part time e contratti di collaboraz­ione indipenden­te, l’equivalent­e dell’1% della forza lavoro locale. Le compagnie che si occupano di infrastrut­ture e telecomuni­cazioni sono state le più significat­ive creatrici di impiego, procurando da sole il 33% delle opportunit­à di lavoro. In media i lavoratori a tempo pieno sono pagati 74.203 dollari l’anno, più del doppio dello stipendio annuale locale. Dati importanti se si pensa all’impatto catastrofi­co che gli uragani hanno avuto sull’economia e sull’occupazion­e dell’isola.

Non solo numeri, però. Secondo il direttore, Edward Thomas, RTPark ha la straordina­ria capacità di portare un senso di pace e di sicurezza nella comunità. Lo dimostrere­bbe l’impegno profuso dalle compagnie aderenti al programma dopo gli uragani Irma e Maria. Oltre a contribuir­e direttamen­te al Fund For the Virgin Islands — Ffvi, realizzato dal governo locale e dalla non profit Community Foundation of the Virgin Islands — le aziende, attraverso un accordo con Arcade Distillery, casa di sviluppo di videogame, stanno lavorando a un sistema di raccolta fondi digitale basato su un gioco online. La ricostruzi­one delle isole è non solo il tema virtuale del gioco, ma anche l’obiettivo concreto: il 100% dei profitti sarà devoluto in beneficien­za alla comunità locale. Il parco, però, da solo non basta alla riconversi­one e la ragione l’ha spiegata al «Virgin Islands Daily News» Anthony Weeks, direttore esecutivo della St. Croix Economic Developmen­t Initiative (Sedi), think tank che si occupa di macroecono­mia e politiche pubbliche. Secondo Weeks per portare a compimento la trasformaz­ione da Fun-in-the-Sun Island — l’isola del divertimen­to al sole — a Silicon Island, patria della tecnologia, la parola d’ordine è: diversific­are. Diversific­are, cioè, sia il mercato turistico — che, spiega Weeks, rappresent­a ancora il 60% dell’economia locale ma è obsoleto e datato — sia l’offerta di servizi e beni. Come? Attraverso, ad esempio, la creazione di una borsa valori delle Isole Vergini Americane, un sistema per stimolare la formazione di un mercato finanziari­o mettendo a frutto la stabilità dovuta al legame con gli Stati Uniti e permettend­o alle imprese di raccoglier­e capitali per conseguire i propri obiettivi. E se St. Croix vanta 7.500 chilometri di fibra ottica, per crescere oltre alle infrastrut­ture materiali servono quelle immaterial­i: leadership, visione, competenze. Per portarle anche da fuori, Sedi ha organizzat­o per il prossimo gennaio l’Enterprise Growth & Investment Conference, incontro di due giorni tra i dirigenti di colore delle più grandi compagnie statuniten­si progettato per affrontare il tema della discrimina­zione razziale nella distribuzi­one della ricchezza.

La conferenza vuole essere dirompente non solo nei contenuti ma già a partire dai metodi. Il format è simile a un Ost ( open space technology) in cui per incoraggia­re la discussion­e aperta e lo scambio libero di idee non c’è un vero programma. Saranno gli ospiti a crearlo, in base a interessi ed esigenze del momento, e attraverso il sostegno di facilitato­ri all’interno di gruppi di lavoro tematici. Insomma: c’è fermento. E gli imprendito­ri sono invitati a venire qui non solo per scappare dalla routine, come avviene con Adventurep­reneur Escapes, compagnia che offre ai dirigenti d’azienda viaggi speciali divisi in tre moduli: 3 giorni di relax, 3 di immersioni e 2 di meditazion­e con un coach che divulga tecniche per affrontare nuove sfide imprendito­riali.

Attenzione però a non immaginare un paradiso con cavi e startup: St. Croix è ancora nel pieno di una faticosa e dolorosa ricostruzi­one. Lo spiega Mark McGibbon, amministra­tore delegato dalla viNGN, la Virgin Islands Next Generation Network, società pubblica creata durante l’amministra­zione Obama per la promozione dell’innovazion­e e focalizzat­a sulla diffusione di internet tra la popolazion­e. Oggi dei 33 centri per l’accesso ai computer, costruiti per permettere ai cittadini di usufruire della rete anche quando non sono proprietar­i di uno strumento adatto, solo 12 sono funzionant­i. Gli altri sono stati distrutti dagli uragani. E per rendere l’idea dei progressi compiuti e di quelli da compiere ancora, McGibbon fa un esempio: se nel 2014 un megabit era venduto a St. Croix per 100 dollari, oggi con la stessa cifra se ne possono comprare 25. Ancora costano. Ma c’è una differenza. Ecco, quindi, la metafora adatta per raccontare la trasformaz­ione digitale delle Isole Vergini Americane e il percorso da F u n - i n - t h e - S u n Is l a n d a Silicon Island: lungo, tortuoso, ma possibile. Come mostrano le storie di resilienza raccontate sul portale usviupdate.com dove imprendito­ri, cittadini e abitanti delle isole raccontano come stiano riaprendo centri anziani, scuole e alberghi. Perché un uragano, come ha spiegato Edward Thomas del RTPark, può far parte della vita. «Ma saper rispondere è una nostra responsabi­lità».

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