Corriere della Sera - La Lettura
Siamo la Silicon Island
Geografie Le Isole Vergini Americane stanno scommettendo sulla possibilità di replicare il successo della Silicon Valley nel nome della tecnologia e delle startup. Se nell’area di San Francisco tutto è avvenuto in modo spontaneo nel corso del tempo, il pi
Silicon Valley? Non solo. L’innovazione passa anche più a sud, dai Caraibi. E le Isole Vergini Americane potrebbero diventare la Silicon Island del prossimo decennio. Grazie all’estensione della banda larga, a una politica di agevolazioni fiscali che mira ad attrarre aziende hitech e a un intenso investimento sull’accesso a internet e sulle competenze locali. Nonostante la devastazione — anche economica — portata dai tornado Irma e Maria del 2017 e in una ottica di resilienza e risposta alle calamità naturali.
Ma davvero St. Croix sarà la San Francisco futura? Più che sorelle della California, le Isole Vergini Americane sembrano un esperimento in laboratorio. Inserite in un contesto frammentato, se non altro da un punto di vista geografico, distanti fisicamente e culturalmente dal Paese di cui sono parte, del quale però godono i vantaggi in termini di stabilità politica e finanziaria, le Isole Vergini Americane sono una sorta di laboratorio dove le condizioni per la crescita tecnologica sono pianificate e legate all’esigenza di una ricostruzione inedita che spinge sulla trasformazione digitale.
Il parco tecnologico universitario è, ad esempio, l’emblema di una complessa conversione in corso. RTPark, acronimo di Research & Technology Park, è un’organizzazione che opera sotto il mandato e secondo le linee guida della University of the Virgin Islands (Uvi) per lo sviluppo economico e digitale delle isole, nata come un’agenzia per la ricerca di investimenti da parte delle compagnie in grado di offrire soluzioni tecnologiche e servizi ad alto tasso di conoscenza. Per il decimo anniversario del programma, nel 2016, il governatore Kenneth Mapp ha commissionato uno studio, condotto da un team interno, con l’obiettivo di valutare l’impatto del programma sulla crescita locale. E i risultati, pubblicati lo scorso maggio, sono stati più che positivi: il parco può contribuire davvero alla rinascita dell’isola di St. Croix, grazie, soprattutto, alla politica di incentivi fiscali riconosciuta alle aziende che hanno deciso di partecipare al progetto (le quali ricevono detrazioni per 15 anni in cambio di investimenti di natura benefica e sociale).
Dopo il primo cliente, nel 2006, oggi
sono 52 le compagnie coinvolte, 14 delle quali operano nel campo dello sviluppo software e 10 in quello della ricerca tecnologica. Complessivamente nel 2015 il contributo netto del parco tecnologico è stato stimato in 70 milioni di dollari, pari al 2% del Pil locale. Ma soprattutto le compagnie coinvolte hanno prodotto occupazione di qualità: hanno creato 488 posti di lavoro tra tempo pieno, part time e contratti di collaborazione indipendente, l’equivalente dell’1% della forza lavoro locale. Le compagnie che si occupano di infrastrutture e telecomunicazioni sono state le più significative creatrici di impiego, procurando da sole il 33% delle opportunità di lavoro. In media i lavoratori a tempo pieno sono pagati 74.203 dollari l’anno, più del doppio dello stipendio annuale locale. Dati importanti se si pensa all’impatto catastrofico che gli uragani hanno avuto sull’economia e sull’occupazione dell’isola.
Non solo numeri, però. Secondo il direttore, Edward Thomas, RTPark ha la straordinaria capacità di portare un senso di pace e di sicurezza nella comunità. Lo dimostrerebbe l’impegno profuso dalle compagnie aderenti al programma dopo gli uragani Irma e Maria. Oltre a contribuire direttamente al Fund For the Virgin Islands — Ffvi, realizzato dal governo locale e dalla non profit Community Foundation of the Virgin Islands — le aziende, attraverso un accordo con Arcade Distillery, casa di sviluppo di videogame, stanno lavorando a un sistema di raccolta fondi digitale basato su un gioco online. La ricostruzione delle isole è non solo il tema virtuale del gioco, ma anche l’obiettivo concreto: il 100% dei profitti sarà devoluto in beneficienza alla comunità locale. Il parco, però, da solo non basta alla riconversione e la ragione l’ha spiegata al «Virgin Islands Daily News» Anthony Weeks, direttore esecutivo della St. Croix Economic Development Initiative (Sedi), think tank che si occupa di macroeconomia e politiche pubbliche. Secondo Weeks per portare a compimento la trasformazione da Fun-in-the-Sun Island — l’isola del divertimento al sole — a Silicon Island, patria della tecnologia, la parola d’ordine è: diversificare. Diversificare, cioè, sia il mercato turistico — che, spiega Weeks, rappresenta ancora il 60% dell’economia locale ma è obsoleto e datato — sia l’offerta di servizi e beni. Come? Attraverso, ad esempio, la creazione di una borsa valori delle Isole Vergini Americane, un sistema per stimolare la formazione di un mercato finanziario mettendo a frutto la stabilità dovuta al legame con gli Stati Uniti e permettendo alle imprese di raccogliere capitali per conseguire i propri obiettivi. E se St. Croix vanta 7.500 chilometri di fibra ottica, per crescere oltre alle infrastrutture materiali servono quelle immateriali: leadership, visione, competenze. Per portarle anche da fuori, Sedi ha organizzato per il prossimo gennaio l’Enterprise Growth & Investment Conference, incontro di due giorni tra i dirigenti di colore delle più grandi compagnie statunitensi progettato per affrontare il tema della discriminazione razziale nella distribuzione della ricchezza.
La conferenza vuole essere dirompente non solo nei contenuti ma già a partire dai metodi. Il format è simile a un Ost ( open space technology) in cui per incoraggiare la discussione aperta e lo scambio libero di idee non c’è un vero programma. Saranno gli ospiti a crearlo, in base a interessi ed esigenze del momento, e attraverso il sostegno di facilitatori all’interno di gruppi di lavoro tematici. Insomma: c’è fermento. E gli imprenditori sono invitati a venire qui non solo per scappare dalla routine, come avviene con Adventurepreneur Escapes, compagnia che offre ai dirigenti d’azienda viaggi speciali divisi in tre moduli: 3 giorni di relax, 3 di immersioni e 2 di meditazione con un coach che divulga tecniche per affrontare nuove sfide imprenditoriali.
Attenzione però a non immaginare un paradiso con cavi e startup: St. Croix è ancora nel pieno di una faticosa e dolorosa ricostruzione. Lo spiega Mark McGibbon, amministratore delegato dalla viNGN, la Virgin Islands Next Generation Network, società pubblica creata durante l’amministrazione Obama per la promozione dell’innovazione e focalizzata sulla diffusione di internet tra la popolazione. Oggi dei 33 centri per l’accesso ai computer, costruiti per permettere ai cittadini di usufruire della rete anche quando non sono proprietari di uno strumento adatto, solo 12 sono funzionanti. Gli altri sono stati distrutti dagli uragani. E per rendere l’idea dei progressi compiuti e di quelli da compiere ancora, McGibbon fa un esempio: se nel 2014 un megabit era venduto a St. Croix per 100 dollari, oggi con la stessa cifra se ne possono comprare 25. Ancora costano. Ma c’è una differenza. Ecco, quindi, la metafora adatta per raccontare la trasformazione digitale delle Isole Vergini Americane e il percorso da F u n - i n - t h e - S u n Is l a n d a Silicon Island: lungo, tortuoso, ma possibile. Come mostrano le storie di resilienza raccontate sul portale usviupdate.com dove imprenditori, cittadini e abitanti delle isole raccontano come stiano riaprendo centri anziani, scuole e alberghi. Perché un uragano, come ha spiegato Edward Thomas del RTPark, può far parte della vita. «Ma saper rispondere è una nostra responsabilità».