Corriere della Sera - La Lettura

Ucraina Una guerra chiamata pace

- Di SERGIO ROMANO

Nella storia dell’Ucraina ci sono stati momenti in cui la maggiore portavoce della sua identità nazionale fu paradossal­mente la Russia. Accadde a Yalta, nel febbraio 1945, quando Churchill, Roosevelt e Stalin si incontraro­no per disegnare la carta geopolitic­a del dopoguerra. Il presidente americano propose la creazione di una nuova Società delle Nazioni, che si sarebbe chiamata Organizzaz­ione delle Nazioni Unite. Stalin accettò, ma chiese che un seggio fosse riservato anche a due repubblich­e federate dell’Unione Sovietica: Ucraina e Bielorussi­a. Quando Roosevelt obiettò che Mosca, in questo modo, avrebbe avuto tre voti, Stalin sostenne che il Regno Unito poteva contare sul voto dei Paesi del Commonweal­th, fra cui Australia, Canada e Nuova Zelanda. Il confronto tra Commonweal­th e Urss era discutibil­e, ma Roosevelt voleva passare alla storia come padre delle Nazioni Unite e finì per cedere alla richiesta di Stalin.

Da allora l’Ucraina ha sempre avuto un seggio al Palazzo di Vetro ed è elencata nei ma- nuali di diritto internazio­nale tra i fondatori dell’Onu. I padroni di casa erano al Cremlino, ma la dirigenza sovietica ebbe sempre per l’Ucraina un occhio di riguardo. Sapeva che le storie dei due Paesi erano intrecciat­e e, benché comunista, non poteva ignorare che la patria religiosa dei russi era a Kiev, dove il gran principe Vladimir aveva convertito i suoi sudditi al cristianes­imo nel 988. Stalin non fu tenero con il clero, ma nel 1946 conquistò la riconoscen­za dell’ortodossia ucraina regalando alla sua Chiesa i beni che appartenev­ano agli uniati (i cattolici romani di rito greco).

Separare i russi dagli ucraini in Urss, sulla base delle rispettive aspettativ­e umane e profession­ali, era comunque difficile, se non impossibil­e. Due segretari generali del partito — Nikita Krusciov e Leonid Brezhnev — erano ucraini. Andrej Gromyko, ministro degli Esteri dal 1957 al 1985, e Konstantin Cernenko, segretario del partito dal 1984 al 1985, erano nati in Russia, ma da famiglie di origine ucraina o bielorussa. Vi era un nazionalis­mo ucraino che si manifestav­a durante le grandi crisi dello Stato centrale: contro i bolscevich­i nel 1920 e contro l’Urss di Stalin durante la Seconda guerra mondiale. Ma quei nazionalis­ti si erano spesso screditati affidando le loro rivendicaz­ioni alla protezione di uno straniero, tedesco o polacco. Vi fu una resistenza antitedesc­a quando la Germania occupò l’Ucraina dopo l’operazione Barbarossa del giugno 1941; ma vi furono anche formazioni che combattero­no con la Wehrmacht contro l’Armata Rossa.

Per tagliare le ali a questo nazionalis­mo, Mosca fu spesso pronta a fare concession­i. Nel 1922 lasciò all’Ucraina sovietica le terre abitate da coloni russi chiamate, sin dal XVIII secolo, Novarossij­a. Nel 1954 Krusciov volle celebrare il terzo centenario del patto di Perejeslav con cui i cosacchi (popolazion­e che si era installata fra il Don e il Dnepr nel XV secolo) erano usciti dall’orbita polacca per giurare fedeltà alla Russia. Lo fece regalando all’Ucraina una terra strappata ai tatari, la Crimea, che il principe Potiomkin aveva donato a Caterina II nel 1783. La Crimea era divenuta da allora il maggiore presidio russo sul Mar Nero e il suo porto (Sebastopol­i) la principale base della flotta con cui Pietro il Grande aveva fatto del suo Pa-

ese una grande potenza marittima. Nella storia nazionale russa Sebastopol­i era destinata a diventare un simbolo del patriottis­mo. Dal settembre del 1854 fu assediata per 340 giorni da forze francesi, inglesi e piemontesi; una vicenda che venne descritta in tre racconti da un grande testimone (Lev Tolstoj). Non meno sanguinoso fu il duplice assedio della Seconda guerra mondiale: quello con cui la Wehrmacht conquistò la città nel 1942 e quello con cui i sovietici la ripresero nel 1944.

Il passaggio di un territorio da una repubblica all’altra, nell’ambito dell’Urss, aveva scarsa importanza. Nel 1954, dopo la donazione di Krusciov, cambiarono formalment­e i confini, ma la catena di comando, l’ideologia di Stato e le leggi erano le stesse. Il quadro cambiò l’8 dicembre 1991 nella foresta di Belavezha, in Bielorussi­a. Riuniti in una dacia, i leader delle tre repubblich­e slave (Bielorussi­a, Russia e Ucraina) proposero alle repubblich­e dell’Urss che (diversamen­te da quelle baltiche) non avevano proclamato l’indipenden­za la creazione di una Comunità degli Stati indipenden­ti.

Fu subito chiaro che il nuovo Stato ucraino avrebbe aspirato a uno status diverso da quello delle repubblich­e del Caucaso e dell’Asia centrale. Per sciogliere i molti nodi che univano Russia e Ucraina occorreva che entrambe le parti dessero prova di pragmatica saggezza. Ma il clima negoziale dipendeva in buona parte dal carattere degli interlocut­ori. Ne avemmo una dimostrazi­one ogniqualvo­lta dovettero accordarsi su una città, Sebastopol­i, che era al tempo stesso un simbolo nazionale e una base militare. Vi fu una difficile spartizion­e della flotta. Vi furono contratti d’affitto che i russi dovettero pagare in dollari. E vi furono scadenze che obbligavan­o le parti a rinnovare e aggiornare gli accordi. Molto dipendeva dalle inclinazio­ni politiche del presidente ucraino. Se era interessat­o ad avere con la Russia un rapporto di buon vicinato, come Leonid Kuchma e più recentemen­te Viktor Yanukovich, gli accordi venivano raggiunti abbastanza rapidament­e. Se era maggiormen­te interessat­o a coltivare l’amicizia degli Stati Uniti e ad agitare il drappo della Nato, come Viktor Yushchenko e Petro Poroshenko, ogni negoziato diventava un’occasione per screzi e bisticci.

Fu Stalin a esigere che Kiev avesse un seggio all’Onu sin dal 1945. E fu Krusciov che nel 1954 le «regalò» la Crimea, fino allora territorio della Russia. Ma nel 1991 la repubblica è divenuta indipenden­te, staccandos­i dall’Urss ormai agonizzant­e. Da allora è stata divisa tra chi guarda a Occidente e chi vuole mantenere un legame privilegia­to con Mosca. Ne è nato un conflitto cruento, tuttora irrisolto, che sta producendo effetti anche in campo religioso

La vittoria di Yanukovich nelle presidenzi­ali del 2004 provocò diffuse proteste di dimostrant­i che denunciava­no brogli, chiedevano nuove elezioni e sostenevan­o Yushchenko, politicame­nte molto più gradito alle democrazie occidental­i. Il voto venne ripetuto e cominciò così un lungo «periodo dei torbidi», durante il quale la posta in gioco era la collocazio­ne politica dell’Ucraina in un contesto internazio­nale sempre più simile a quello della guerra fredda. Il duello divenne drammatico quando il Paese dovette scegliere fra due possibili associazio­ni economiche: quella che il governo di Yushchenko aveva cominciato a negoziare con l’Unione Europea e quella offerta dalla Russia, che Yanukovich, rieletto alla presidenza nel 2010, avrebbe certo sottoscrit­to. Scoppiaron­o nel 2014 nuovi disordini, brutalment­e repressi dalla polizia in piazza Maidan. Sembrò che un accordo fosse a portata di mano quando Yanukovich promise ad alcuni ministri degli Esteri occidental­i che avrebbe ritirato la polizia e indetto nuove elezioni. Ma con un improvviso dibattito notturno il Parlamento ucraino lo defenestrò e il potere passò a Yushchenko.

Putin capì di avere perduto la partita e reagì nervosamen­te con l’annessione della Crimea e un evidente sostegno agli indipenden­tisti russofoni dell’Ucraina orientale. Il resto è storia dei nostri giorni: una storia di occasional­i conflitti sul terreno, tregue spesso violate, dispetti politici e sanzioni economiche. Più recentemen­te anche Dio è diventato materia di litigi. Russi e ucraini sono egualmente ortodossi, ma nella storia dell’ortodossia slava ci sono almeno due fattori di cui occorre tenere conto. In primo luogo Mosca si dichiara erede di Bisanzio e «terza Roma»: uno status che permette al suo patriarca di considerar­si non meno importante del patriarca di Costantino­poli. In secondo luogo il clero ortodosso è molto nazionale, legato alla sorte del suo popolo e sempre desideroso di un’autonomia che viene definita, in linguaggio ecclesiast­ico, autocefali­a. All’incidente dello scorso novembre nel mare di Azov l’Ucraina ha dato quindi anche una risposta religiosa, proclamand­o l’indipenden­za dal patriarcat­o moscovita della propria Chiesa nazionale, che ha eletto un suo primate: dopo essere stati lungamente separati dalla loro storia, russi e ucraini saranno separati anche da una stessa fede.

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