Corriere della Sera - La Lettura

E il sindaco ordinò: tagliatevi quei baffoni

Dal municipio arriva un ordine: ogni uomo dotato di mustacchi deve registrars­i. «E perché mai?», si chiede il protagonis­ta di questo racconto firmato da uno dei massimi scrittori del popolo uiguro. Una parabola grottesca che suggerisce molto di una region

- Di MEMTIMIN HOSHUR

Quando iniziò a spargersi la voce dell’obbligo di registrazi­one per le persone coi baffi, rimasi molto perplesso. Avevo sentito parlare di censimento della popolazion­e, di registrazi­one degli analfabeti del quartiere o degli evasori della tassa sui rifiuti, ma fino alla mia rispettabi­le età nessuno aveva mai parlato di registrazi­one degli uomini baffuti. Certo, una ventina d’anni prima c’era stata una grande mobilitazi­one di lame e forbici contro barbe e baffi: possibile che stesse accadendo di nuovo qualcosa del genere? Pensa e ripensa, iniziai a preoccupar­mi un tantino. Mentre camminavo per la strada, incrociai giusto Omarjan, membro del Comitato per l’ordine e la sicurezza pubblica del cortile. Dovevo assolutame­nte chiedergli qualche ragguaglio, per cui gli andai incontro salutandol­o: «Omarjan, ho sentito dire che state registrand­o gli uomini che si fanno crescere i baffi. È vero?». Si fermò e mi scrutò attentamen­te, poi mi chiese stupito: «E tu da quando hai iniziato a farteli crescere?». «Da un anno. Quel buono a nulla di Ahmedjan, il mio figlio maggiore, è appena un ragazzino e ha già iniziato a farseli crescere, mettendomi seriamente in imbarazzo: se un figlio si fa crescere i baffi, il padre non può mica essere da meno, no?!». «Eh già». Si guardò intorno e bisbigliò: «Comunque i tuoi baffi non sono tanto sospetti. A quanto pare quattro o cinque giorni fa, al bazar, in pieno giorno, un uomo armato di coltello ha assalito delle persone. Era alto come te, ma con un paio di baffi a manubrio, adesso anche il sindaco in persona sta indagando sulla faccenda...». Dopo avermi comunicato la notizia, Omarjan si allontanò. A questo discorso, montai su tutte le furie: possibile mai che il solo fatto di essere alto costituiss­e un reato? Comunque, sia lodato Allah, Omarjan aveva detto che i miei baffi non erano tanto sospetti. A quanto pare, anche se eravamo alti uguali, io e l’assassino avevamo baffi di forma diversa. Ma come erano fatti i baffi a manubrio? Avevo sentito dire che, nel passato, c’era gente a cui piaceva girare le punte dei mustacchi all’insù e arrotolarl­e sulle orecchie. Forse era un tipo di baffi più o meno così. Me li accarezzai: i miei non erano altro che quattro peli che sembravano stare lì giusto per fare presenza. Mi rassicurai e me ne tornai verso il cortile di casa, dove trovai mio figlio sotto il portico che si lucidava le scarpe di pelle. Non potei trattenere un accesso di collera: possibile non mi fossi mai accorto che si era fatto crescere un paio di baffoni del genere? «Ahmedjan, guardami!». «Che cosa c’è?». Sconcertat­o, si voltò verso di me. Per Allah l’Altissimo! Sotto il naso di mio figlio erano appesi dei baffi neri e folti grandi come il colletto di una camicia! Se non li avesse tagliati subito, gli sarebbero arrivati alle orecchie!

«Oggi stesso ti vai a dare una bella sistemata a quegli affari!». «Ma di che cosa parli, papà?». «Parlo dei tuoi baffi!». «Ma, papà, che cosa c’è che non va nei miei baffi? Non te li sei fatti crescere anche tu? Adesso tutti...».

«Basta con le scemenze! Adesso io e te ce ne andiamo dal barbiere a farci radere i baffi!».

A me non importava più di tanto, ma per lui fu un supplizio, come se lo stessi accompagna­ndo sul patibolo a fargli tagliare la testa invece dei baffi. In quell’occasione esercitai senza riserve la mia autorità paterna: non prestai ascolto neanche alla sua supplica di lasciargli almeno fare una foto ricordo. Lo trascinai per tutta la strada fino al barbiere, che gli rase completame­nte quel «colletto» che aveva sotto il naso. Alla fine il viso di entrambi, padre e figlio, fu tutto liscio e pulito. Mi rimirai allo specchio, molto soddisfatt­o del mio capolavoro. Nell’infilare i soldi nella scatola, il barbiere Ismail disse, con una smorfia enigmatica: «Per Allah l’Altissimo! Contando anche lei e suo figlio, oggi sono venute come minimo venti persone a farsi tagliare i baffi».

Mi insospetti­i: non è che quel farabutto avrebbe fatto la spia? Come volevasi dimostrare, la sera, ero appena rincasato e stavo giusto portando alle labbra la mia ciotola di tè, quando sentii qualcuno che mi chiamava dal cortile. Mi affacciai alla finestra: di fronte alla porta di casa c’era il membro del Comitato per l’ordine e la sicurezza pubblica Omarjan. Gli andai subito incontro. «E i baffi?», fece, squadrando­mi. «Sono andato a tagliarli subito dopo che mi hai detto quelle cose».

«Ah, allora abbiamo la coscienza sporca, eh?». Pareva furioso: «Sappi che la notizia che ti sei rasato i baffi è arrivata fino all’orecchio del sindaco, vuole che ti presenti domattina presto all’ufficio del governo locale».

Iniziai a preoccupar­mi: avevo sentito dire che il nuovo sindaco ci metteva poco a perdere le staffe. Dopo cena mi coricai assorto in profonde meditazion­i. Dopo avere finito di rigovernar­e le stoviglie, mia moglie prese dei gomitoli di lana e venne a sedersi di fronte a me. Era molto abile nel lavoro a maglia ed era sempre occupata a disfare qualche vecchio maglione per farne uno nuovo. Non appena iniziava a sferruzzar­e, anche la sua bocca si metteva a cianciare e le mani si fermavano solo quando si interrompe­va per riprendere fiato.

«Che vi ha preso oggi, a te e a tuo figlio?», mi chiese mentre lavorava. «Perché?». «Ma perché fino a poco fa eravate tutti orgogliosi dei vostri baffi e poi oggi all’improvviso prendete e ve li tagliate».

Mia moglie soffre di cuore: non potevo assolutame­nte dirle la verità.

«Perché, pensi che i baffi non crescano più, una volta tagliati? Se vogliamo farli ricrescere, vedrai che tra meno di dieci giorni saranno di nuovo come prima».

La questione fu chiusa lì e mia moglie iniziò a spettegola­re di non so quale figlio di non so quale famiglia del

lato est del cortile che ancora una volta non aveva passato gli esami di ammissione all’università, di una certa tizia che dichiarava placidamen­te di avere due anni meno di lei, di un’altra che voleva divorziare dal marito eccetera eccetera. Di tutti i suoi discorsi non mi giunse neanche una parola: ai miei occhi quella sua bocca che si apriva e chiudeva era né più né meno uno strumento che suonava una melodia mentre i ferri nelle sue mani volteggiav­ano al ritmo della musica. Perché quel tizio coi baffi a manubrio di cui aveva parlato Omarjan era stato preso da una furia omicida? E se un baffuto combinava qualche guaio, perché mai ci si doveva mettere a registrare tutti gli uomini coi baffi? Che cavolo di indagine era mai quella? E io, poi, che imbecille! Che bisogno c’era di scapicolla­rmi in quel modo a tagliarmel­i? Il colmo era che quel tizio era giusto alto come me!

Tormentato da quei pensieri, mi rivoltai nel letto per metà della notte senza riuscire a prendere sonno.

Poco prima dell’alba feci un incubo così spaventoso che mi misi a urlare.

«Ehi! Ehi! Sveglia! Svegliati!», mia moglie mi diede uno scossone. Aprii gli occhi e mi accorsi che il cielo era già chiaro.

«Che ti prende?», chiesi a mia moglie, che, alzatasi, mi guardava dall’alto con un’espression­e attonita. «Che ti prende a te?». «Perché? Cos’ho?». «Che cosa urlavi un attimo fa?». Dovevo avere urlato nel sonno. Sollevai la trapunta, tirai giù le gambe mettendomi a sedere sul bordo del letto e ripensai all’incubo. Oddio! Che strano sogno! «Che cos’hai sognato?». «Che io e te eravamo seduti sul letto e tu riavvolgev­i un filo di lana. Io ti ho chiesto che cosa stavi facendo, e tu mi hai risposto che quella era la lana di un mio vecchio maglione che avevi appena disfatto e che volevi farci qualcosa per nostro figlio. Allora ti ho detto tutto contento: “Disfa anche me e rifammi daccapo, d’accordo?”. Non ridere, ti ho detto veramente così. Tu hai risposto: “Va bene, solo che, dopo che ti avrò disfatto, ci saranno molti punti dove il filo è consunto, per cui una volta rifatto potresti venire fuori rimpicciol­ito”. A quel punto ti ho proprio implorata: “Ti prego, mettiti subito al lavoro e rifammi prima dell’alba, tanto meglio se verrò fuori più piccolo”. Hai acconsenti­to, mi hai spogliato nudo, mi hai messo sul letto e hai iniziato a disfarmi a partire dagli alluci. Nei punti dove mi disfacevi sentivo una specie di prurito, senza la minima sensazione di dolore, e me ne stavo sdraiato lì tutto rilassato finché, all’altezza della gola, il filo non si è annodato stringendo­mi il collo, ma tu non sentivi le mie urla strozzate mentre annaspavo e continuavi a tirare con tutte le tue forze. Mi sentivo soffocare e allora ho iniziato a dibattermi furiosamen­te e quando ho aperto gli occhi e ti ho vista vicina sul letto ho capito che era un incubo».

Sentendo il mio racconto, mia moglie scoppiò a ridere di gusto. «Che cosa c’è da ridere? È un sogno, no?». «Ma sei impazzito? Com’è possibile che un uomo venga disfatto e rifatto? Alzati, dai, che ripiego la trapunta».

In quel momento mi ricordai che dovevo recarmi all’ufficio del governo locale e mi vestii in fretta e furia.

Omarjan e un grassone stavano scrivendo qualcosa se- duti sulle grandi seggiole dell’ufficio. Su una panca accanto alla porta c’era un uomo di bassa statura. «Di questo qui, a disfarlo e rifarlo di nuovo, non resterebbe un granché», pensai. «Fatti un po’ in là, per favore», dissi, mentre mi mettevo accanto a lui.

«Questo è il nuovo sindaco», fece Omarjan presentand­oci il signore corpulento. «Vi ha convocati per chiarire alcune cose».

Il sindaco mi sbirciò con la coda dell’occhio e si rivolse al piccoletto seduto al mio fianco: «Continua!».

«È successo 4 o 5 giorni fa... ah, sì, era domenica. Stavo comprando della carne prima di tornare a casa, quando ho sentito degli schiamazzi. Poco lontano dalla fermata dell’autobus c’erano tre ragazzi che avevano circondato un uomo e lo stavano pestando. Quello, trovandosi in netta minoranza, fsss, un sibilo, e tira fuori un coltello: abbiamo visto tutti la lama che sfavillava. La gente intorno ha trattenuto il fiato e le donne che vendevano gli ortaggi si sono messe a gridare terrorizza­te. In quel momento, un uomo alle spalle del tizio col coltello gli è saltato addosso ed è riuscito a strappargl­i l’arma di mano, ma quello ha tirato fuori un altro coltello, di nuovo un altro passante è riuscito a disarmarlo, ma tra le mani di quel delinquent­e è comparso un coltello ancora più grande. A quel punto la gente ha iniziato a scappare da tutte le parti e anche io mi sono messo a correre. Questo è quello che ho visto».

«Per Allah l’Altissimo! Com’è possibile che avesse tutti quei coltelli? E dove li teneva? Oddio», mi morsi la punta del colletto.

Il sindaco sollevò la testa: «Che aspetto aveva l’uomo coi coltelli?».

«Non saprei dire, mi sembra che fosse un tipo alto con dei grandi baffi». «Era alto come quest’uomo seduto accanto a te?». Il mio cuore ebbe un sobbalzo. Il piccoletto mi squadrò da capo a piedi, poi disse: «No, no, credo che fosse un po’ più alto».

Tirai un lieve sospiro di sollievo. Il nanetto adesso mi stava molto più simpatico. «No, non è il caso di disfarlo», pensai tra me.

«Va bene, allora. Per ora puoi andare. Ripensa bene a tutto e scrivi nel dettaglio quanto hai visto quel giorno e l’aspetto del tizio coi coltelli. Domani torna a consegnarc­i il resoconto»: il sindaco pareva un po’ deluso.

Il bassetto uscì. Il sindaco si voltò verso di me e mi chiese, accendendo una sigaretta: «Perché eri così ansioso di tagliarti i baffi?».

Dapprima pensai di dirgli che, dopo avere sentito le parole di Omarjan, mi ero spaventato. Ma, quando questa frase mi arrivò alle labbra, mi sforzai di inghiottir­la. Decisi di improvvisa­re: «Lei non conosce i miei vicini, Omarjan ne sa qualcosa. Se qualcuno compra una cosa di una qualità un po’ migliore del solito o un vestito un po’ più decente, insomma, alla minima novità, quelli ti costringon­o a cacciare fuori dei soldi per invitarli a mangiare. Ultimament­e mi hanno detto: “Ma guarda che bei baffi che ti sei fatto crescere: quand’è che festeggiam­o? Ci devi assolutame­nte un pranzo!”. In breve, mi davano il tormento. Ma di questi tempi non sono messo tanto bene, non posso certo permetterm­i di sfamare cani a panini imbottiti, per cui ieri sono andato dal barbiere Ismail a radermi completame­nte i baffi».

Il sindaco scosse via la cenere della sigaretta e mi disse guardandom­i: «Ma avevi sentito quello che era successo al mercato, no?».

«Non riesco proprio a capire che cosa c’entri coi miei baffi».

Il sindaco si alzò spostando rumorosame­nte la sedia: «Allora non lo sai che prima o poi tutti gli uomini coi baffi si ritrovano con un coltello addosso, e te li vai giusto giusto a tagliare proprio quando noi iniziamo a registrare gli uomini baffuti! La questione non è così banale. Pensi che quello che è successo domenica per strada sia una semplice rissa? No, non possiamo guardare solo l’apparenza: devi sapere che, quando quel tizio baffuto si è messo a inseguire la gente con un coltello in mano, ha lasciato lì la sua borsa. E quando l’abbiamo ispezionat­a, abbiamo scoperto che ne conteneva altri 30 o 40!». «Ma non sarà stato un fabbricant­e di coltelli?». «Non mi interrompe­re! Lo sappiamo meglio di te come sono i coltelli appena fabbricati! Le lame che quel baffone ha tirato fuori dalla borsa erano una più grande dell’altra, una più lucente dell’altra, questo come te lo spieghi? Credi che avesse con sé tutti quei coltelli per scherzare o per fare qualche gioco di prestigio? Un amico mi ha detto che quando, alcune migliaia di anni fa, un certo Iskender, conosciuto anche come Alessandro Magno, arrivò da queste parti con migliaia di uomini e cavalli, incappò in una masnada di uomini armati di coltelli che gli diedero un bel po’ di filo da torcere. Ognuno di loro ne portava addosso diverse decine: erano capaci di centrare in mezzo agli occhi un uomo in movimento senza nemmeno prendere la mira e quello si ritrovava per terra con il cervello spappolato. E quando, diverse centinaia di anni addietro, passò da queste parti Gengis Khan, questi accoltella­tori si unirono alle sue truppe nella loro avanzata verso occidente. E adesso questa genia è ricom-

parsa tra di noi, di nuovo in fibrillazi­one, pronta a fare un macello: chi ci garantisce che non si mettano a seminare zizzania? Adesso, tornatene a casa e mettimi giù per iscritto quando ti sei fatto crescere i baffi e perché te li sei fatti tagliare. Descrivi poi la forma dei tuoi baffi, ripeto: la forma. Descrivimi dunque in modo dettagliat­o la forma dei tuoi baffi e tutto il resto e torna domani a consegnare il tuo rapporto!».

Uscii dall’ufficio esausto e completame­nte rintronato; quando rientrai a casa non avevo la forza di fare niente. Davvero: ma perché quel baffone aveva riempito la borsa di 30 o 40 coltelli e si era messo a inseguire i passanti per la strada? Avevo sentito parlare di Iskender, di Gengis Khan; la cosa strana era che a quanto pare avevano un rapporto con questi accoltella­tori, e che anche io ero immischiat­o nella faccenda.

La sera mi misi a scrivere con la mia grafia tutta storta la breve storia dei miei baffi, da quando avevo iniziato a farmeli crescere fino a quando li avevo tagliati. Mia moglie mi si avvicinò e disse: «Ma che ti è preso questi due giorni? Prima ti tagli i baffi, poi corri all’ufficio governativ­o, fai come un pazzo per tutto il giorno e poi ti metti a scrivere la tua autocritic­a».

«Macché autocritic­a, cretina! Sto scrivendo la storia dei miei baffi».

«La storia dei tuoi baffi?», mia moglie rimase senza parole: sicurament­e pensò che fossi diventato matto.

«È una questione politica, non è roba da donne». E le ruggii contro: «Vai, vai! Vattene in cucina!».

La notte fui di nuovo svegliato da un sogno spaventoso. Accesi la luce e mi misi seduto a riflettere. Anche mia moglie si svegliò: «Che cosa ti prende adesso?». «Un altro incubo. Guarda: sono tutto sudato». «Un altro sogno strano?!». «Dimmelo tu se non è strano. Nel sogno stavo dormendo, quando ho sentito un rombo accanto all’orecchio. Dormivo in una macchina, no, non era una macchina, era una macina e il rombo si faceva sempre più forte, mentre l’acqua scrosciava gorgoglian­do all’interno del mulino. Dopo un po’ mi sono accorto che non ero più dentro un mulino, ma vorticavo all’interno di una lavatrice. Urlavo con tutte le mie forze, ma nessuno mi sentiva e più mi dibattevo, più affondavo. Con uno sforzo sovrumano sono riuscito ad aprire gli occhi: la stanza era immersa nel buio più fitto e ho preso tanta paura che ho acceso subito la luce, ma nelle orecchie mi sembra di sentire ancora il rombo della centrifuga...».

Il giorno dopo mi alzai completame­nte stordito, con un tremendo capogiro. Poco prima dell’ora di pranzo mi

diressi verso l’ufficio governativ­o con la mia Storia dei

baffi. A causa dello scompiglio dei baffi, nell’ufficio stavano interrogan­do parecchie persone e non riuscii neanche a entrare, per cui non mi rimase che consegnare il mio manoscritt­o dalla soglia.

Ancora frastornat­o, mi misi a girovagare per le strade, ma non vedevo altro che baffi e coltelli. Guarda che aspetto minaccioso che ha quel coltello in mano a quel macellaio baffuto! E i coltelli dentro la borsa di quel baffone, sono proprio lame da assassino! E la scimitarra del venditore di cocomeri? A ripensarci, però, non è possibile che in una borsa possano entrare 30 o 40 coltelli. E i coltelli esposti su quella bancarella? Puoi trovarne di ogni tipo, dai rinomati coltellini di Yengisar alle lame di Kashgar, coi manici preziosame­nte intagliati, e ancora spade a doppio filo, coltelli mongoli dal fodero di metallo, coltelli da frutta delle zone dell’interno e i temperini di produzione locale. Quasi nessuno tra i venditori e gli acquirenti di coltelli aveva i baffi (ma forse qualcuno di loro era andato a tagliarsel­i di soppiatto). Sommando tutti questi portatori di coltelli senza baffi ai portatori di coltelli coi baffi di cui aveva parlato il sindaco, la situazione sembrava davvero pericolosa. Il mercato, con lo strepito insopporta­bile dei venditori, mi ballava davanti agli occhi come la lavatrice mentre fa la centrifuga, ma, ragionai tra me e me, probabilme­nte ci avrebbe pensato il sindaco a rimettere tutto a posto.

Da quel giorno in poi mi sentii così scombussol­ato che non uscii più di casa, e non seppi neanche se il mercato era stato rimesso in ordine o no. Passarono quasi due mesi. Un giorno mi feci coraggio, uscii a fare la spesa e, mentre rientravo, vidi venire verso di me il sindaco in persona. Non potevo credere ai miei occhi: il ciccione si era fatto crescere un bel paio di baffi tutti curati! Mi avvicinai a lui: era proprio il sindaco: «Buongiorno!». Il sindaco si fermò guardandom­i: «E tu chi sei?». «Sono quello che, un paio di mesi fa, scrisse la storia dei suoi baffi e gliela consegnò».

«Ah, sì! In quei giorni avevamo proprio perso la testa: abbiamo fatto prendere uno spavento a un bel po’ di gente. Quindi anche tu eri tra quelli, eh? Quel balbuzient­e ci ha davvero messo nei guai». «Quale balbuzient­e?». «Non sai niente? Il baffone che se ne andava in giro coi coltelli. Poi si è scoperto che lavorava in un allevament­o di pecore. Quel giorno la mola elettrica dell’allevament­o era rotta, per cui lui aveva raccolto i coltelli dei macellator­i per portarli ad affilare. Sull’autobus, però, tre borseggiat­ori lo hanno stretto in mezzo e lo hanno derubato; quando quello se ne è accorto, è sceso ed è riuscito ad acchiappar­ne uno. Dato che non riusciva a spiegare alla gente intorno cos’era successo e teneva quel tizio senza lasciarlo andare, i ladri hanno pensato bene di dargli un sacco di botte e di filare via, ma nel frattempo lui, preso dalla disperazio­ne, ha tirato fuori dalla borsa un coltello. È andata così». «Ah, ecco come sono andate le cose!». «Eh sì, proprio così». «E io che mi ci sono avvelenato il sangue... Vengo convocato dalle autorità per una faccenda di baffi che mette nei guai un sacco di persone solo perché se li sono fatti crescere... Senta un po’, ma che razza di sindaco è lei?», urlai furibondo.

«Non te la prendere, su. Guardami: ti sembrerà strano che anche io mi sono fatto crescere i baffi, ma qualche mio superiore si era messo in testa che ce l’avessi coi baffuti. Così, per tenerli buoni, me li sono dovuti far crescere. Che te ne pare? Mi stanno bene?».

Il sindaco spalancò la bocca in una risata e a me non restò che mandare giù l’indignazio­ne: «Sì, le stanno bene, ma sono un po’ troppo piccoli per la sua corporatur­a: dovrebbe farseli crescere un po’ di più, fino ad arrotolarl­i sulle orecchie».

«Ah, ah! Questa è buona!». E se ne andò dopo avermi dato una pacca sulla spalla con la sua mano paffuta.

Quando stavo per arrivare a casa, incontrai Omarjan: «Ehi, Omarjan!», lo fermai. «Com’è che non mi hai raccontato le ultime novità?». «Quali novità?». «Che non c’è più l’obbligo di registrare i baffi e che adesso anche il sindaco se li è fatti crescere...». «Chi te l’ha detto?». «L’ho visto io stesso un attimo fa. Mi ha anche chiesto se gli stavano bene, e io gli ho risposto di sì, solo che erano un po’ striminzit­i per la sua stazza e che avrebbe dovuto farseli crescere ancora, fino ad arrotolarl­i sulle orecchie».

Omarjan scoppiò a ridere: «I baffi del sindaco non possono crescere più di così».

«Ma che cosa stai dicendo? Quando mai si sono visti dei baffi che non crescono?».

«Non lo sai? Il nostro sindaco sempliceme­nte non ha i baffi per natura, neanche un pelo. Adesso tutti lo hanno criticato, gli hanno chiesto perché se la fosse presa tanto con gli uomini baffuti, e così non ha avuto scelta: si è rivolto a un gruppo di teatro, si è fatto dare un paio di baffi finti e se li è appiccicat­i».

Quando Omarjan se ne fu andato, rimuginai su tutto. È pazzesco scoprire alla mia età che al mondo possano capitare cose tanto assurde!

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