Corriere della Sera - La Lettura
Odessa Il fronte freddo
La definiscono «una guerra culturale», identitaria, linguistica, combattuta a suon di statue abbattute e r i mpiazzate, nomi del l e s t r a de cambiati, introduzione dell’ucraino al posto del russo come idioma ufficiale d’insegnamento nelle scuole, feste locali cancellate o reinventate, dibattiti accesi e talvolta violenti tra giovani nazionalisti che guardano all’Unione Europea e, sull’altra sponda, tenaci sostenitori di Vladimir Putin.
Se a Kiev il braccio di ferro con Mosca si esprime soprattutto nei termini mediati della politica; e se lungo i confini del Don- bass, come del resto nell’istmo di Perekop che conduce alla penisola di Crimea e ultimamente nelle acque contese del Mare di Azov, il dissidio si traduce crudamente nello scontro militare; nelle vie di Odessa prevale invece il lungo retaggio di una tradizione urbana cresciuta tra le comunità cosmopolite legate al vecchio porto, con la sua funzione di cerniera commerciale tra Europa e Asia, ma specialmente si avverte l’esistenza di un’agguerrita presenza di intellettuali caparbiamente attaccati al passato sovietico.
Alla facoltà di Storia dell’Università di Odessa tra i temi più studiati ci sono gli anni turbolenti della guerra civile russa tra Rossi e Bianchi dopo la rivoluzione d’Ottobre, dal 1918 al 1921, in cui a tratti sembrò possibile giungere all’indipendenza ucraina, prima che s ’imponesse definitivamente, come successore dell’Impero zarista, il nuovo regime bolscevico trionfante a Mosca. Ma soprattutto si discutono tesi e si fanno ricerche sul tremendo crimine che qui chiamano Holodomor: la grande carestia del 1932-33, innescata dalla collettivizzazione forzata delle terre voluta nel 1929 dalla dirigenza stalinista ai danni dei kulaki (i contadini più attivi e gelosi dei propri appezzamenti), che