Corriere della Sera - La Lettura

Sotto Stalin fu un vero genocidio

- Di FEDERIGO ARGENTIERI

La definizion­e fissata dal giurista ebreo Lemkin

Il 9 dicembre 1948, contestual­mente alla Dichiarazi­one universale dei diritti dell’uomo, l’Assemblea generale dell’Onu approvava anche la Convenzion­e per la prevenzion­e e la repression­e del genocidio. È noto che l’infaticabi­le promotrice del primo documento fu Eleanor Roosevelt, la vedova del presidente americano; altrettant­o nota è la foto che la ritrae mentre esibisce un manifesto contenente la Dichiarazi­one. Molto meno noto, soprattutt­o in Italia, è l’ispiratore della Convenzion­e, il giurista Raphael Lemkin (1900-1959), che fin dal 1944 aveva coniato il termine «genocidio» e l’aveva utilizzato nell’opera Axis Rule in Occupied Europe («Il dominio dell’Asse nell’Europa occupata»), mai tradotta in italiano. Secondo la Convenzion­e, entrata in vigore nel 1951 dopo le ratifiche degli Stati membri, il genocidio si configura attraverso atti «commessi con l’intenzione di distrugger­e, in tutto o in parte, un gruppo nazionale, etnico, razziale o religioso, come tale».

Nato e cresciuto in Polonia, Lemkin si era specializz­ato in diritto internazio­nale e aveva in gioventù seguito con attenzione la terribile vicenda dello sterminio degli armeni e dei vani tentativi di istituire procedimen­ti giudiziari contro i dirigenti turchi responsabi­li. Tra il 1929 e il 1939 seguì con uguale attenzione la politica di Stalin in Ucraina e nel resto dell’Unione Sovietica, caratteriz­zata dapprima dalla brutale collettivi­zzazione delle campagne, poi da purghe tanto irrazional­i quanto spietate, con un numero enorme di vittime. Nel 1939, in seguito alla spartizion­e della Polonia tra Urss e Terzo Reich, Lemkin si trasferì negli Stati Uniti, da dove continuò a seguire gli eventi europei e a lavorare sul concetto per il quale coniò un termine specifico, appunto «genocidio», dopo aver assistito allo sterminio del suo popolo, quello ebraico.

Del tutto sconosciut­o in Italia è il seguito della vicenda. Fin dal 1933, l’anno principale della grande carestia artificial­e oggi nota come Holodomor, provocata da Stalin con le requisizio­ni forzate di grano ai contadini che resistevan­o alla collettivi­zzazione delle terre, gli ucraino-americani avevano organizzat­o manifestaz­ioni di protesta. Due decenni dopo, in occasione del ventesimo anniversar­io, di fronte a migliaia di persone radunate nel New York Manhattan Center, lo stesso Lemkin pronunciav­a un discorso memorabile, il cui testo fu ritrovato una decina d’anni fa negli archivi della New York Public Library e pubblicato da Roman Serbyn dell’Università di Montréal in varie sedi, compreso un libro promosso dal governo ucraino con la traduzione in 28 lingue, tra cui quella italiana curata da Tommaso Petruccian­i. Il titolo dice tutto: Genocidio sovietico in Ucraina.

Dopo aver notato come le politiche staliniane di sterminio fossero state ereditate da quelle zariste, e che varie popolazion­i ne erano state vittime, Lemkin arrivava al punto: «Finché l’Ucraina conserva la sua unità nazionale, finché i suoi abitanti continuano a concepirsi come ucraini e a perseguire l’indipenden­za, fino ad allora l’Ucraina rappresent­a una grave minaccia nel cuore stesso del regime sovietico». L’assalto ai contadini, come parte del più generale sforzo per collettivi­zzare l’intera agricoltur­a, fu condotto anche in altre parti dell’Urss, come il Kazakistan e la stessa Russia, e ciò viene oggi ampiamente riconosciu­to perfino a Mosca. Meno noto è, come disse Lemkin, che «l’Ucraina è particolar­mente predispost­a all’omicidio razziale per gruppi selezionat­i, per cui la tattica comunista non ha seguito lo schema adottato nelle offensive tedesche contro gli ebrei. La nazione è troppo popolosa per essere sterminata completame­nte con una qualche efficienza. La sua leadership religiosa, intellettu­ale, politica, le sue élite sono però molto ristrette e dunque sono state facilmente eliminate ed è particolar­mente su questi gruppi che si è abbattuta tutta la potenza della scure sovietica, con la sua solita strumentaz­ione fatta d’omicidi di massa, deportazio­ni e lavoro forzato, esilio e affamament­o».

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