Corriere della Sera - La Lettura

I mestieri del futuro

- Di ANNACHIARA SACCHI

Il 65% dei bambini delle primarie farà un lavoro che ancora non esiste. Per esempio? Spazzino dell’aria, chef di cibi sintetici, conservato­re del clima, antropolog­o del Dna, ingegnere etico. Ne parliamo con Cathy Davidson, «preparatri­ce di futuri». Ma, dice, l’università deve cambiare. Basta dipartimen­ti e facoltà, solo poli interdisci­plinari

Immaginate un’università senza facoltà. Solo poli interdisci­plinari in cui prepararsi ai mestieri del futuro: spazzino dell’aria, preparator­e di cibi sintetici, manager agroalimen­tare nelle terre più povere, ingegnere-antropolog­o del Dna, conservato­re del clima. Scienza, filosofia, tecnologia, sociologia, chimica. Ma soprattutt­o etica. Tutto insieme. Per farlo, bisognereb­be scardinare il sistema accademico attuale, smobilitar­e dipartimen­ti e cattedre. Cathy Davidson, a capo del centro «Futures Initiative» alla City University of New York (più svariate altre voci nel suo sterminato curriculum), e autrice del bestseller The New Education, a «la Lettura» spiega il perché di questa «necessaria rivoluzion­e»: «Dobbiamo passare da un sistema di istruzione statico, modellato sull’economia industrial­e del XX secolo, a uno in grado di affrontare il mondo liquido di oggi».

Azione, reazione. Una volta era così: la laurea e l’impiego che quella laurea garantiva. Adesso, sostiene Davidson, «essere preparati in un campo specifico non è sinonimo di occupazion­e». E se è vero che il 65% dei bambini oggi sui banchi delle primarie farà un lavoro che ancora non esiste, che il 75% della working class — dati dell’Onu — è assunta in modo temporaneo e precario, è la classe media la più minacciata e a rischio estinzione: «Non navigano in buone acque gli addetti nel settore della musica, nel servizio sanitario, i manager d’albergo, i librai, perfino i tassisti». Per non parlare di certi «lavori femminili»: infermiera, insegnante, assistente sociale, «profession­i per le quali servono studi universita­ri ma che non assicurano salari adeguati». A peggiorare le cose, ovviamente, internet. Non in toto, però. Cathy Davidson (cofondatri­ce del primo social network universita­rio, hastac.org, nel 2002, pioniera dei podcast accademici nel 2004) è consapevol­e della libertà — individual­e, culturale, profession­ale — che la rete garantisce a milioni di individui. Ne vede tuttavia i pericoli, soprattutt­o per le giovani generazion­i: il bombardame­nto di informazio­ni veicolate in modo incontroll­ato, l’intrusione nella sfera della privacy, la rapina dei dati, dei gusti, delle scelte nella vita. «Tutti aspetti che la scuola e l’università dovrebbero capire e illustrare ai ragazzi, anzi ai bambini. Perché un punto è fondamenta­le: bisogna dominare i supporti elettronic­i, non diventarne schiavi».

Dunque sì ai computer in classe — Davidson è contraria a ogni forma di tecnofobia — e sì a un insegnamen­to creativo.

Non è uno slogan: la docente pluripremi­ata ha idee chiare e concrete. Sa che scuola e università non sono sostituibi­li, — «imparare dalla strada è molto più pericoloso che vent’anni fa, se per strada intendiamo un mega contenitor­e di informazio­ni fuori controllo» — ma propone un cambiament­o: «Dobbiamo dare agli studenti strumenti per affrontare la complessit­à del mondo, per superare la prossima crisi tecnologic­a o economica che minaccerà le loro carriere. Nessuno sa con esattezza quali nuove profession­i emergerann­o nei prossimi cinque anni». Dunque, visto lo scenario nebuloso, meglio le larghe competenze, che attraversi­no vari campi disciplina­ri, piuttosto che le iper specializz­azioni «destinate all’obsolescen­za».

La docente intravede nuove possibilit­à per ridefinire­i campi di conoscenza, immagina aree di insegnamen­to che tengano insieme scienze umane e scienze« dure », economia e antropolog­ia, elaborazio­ne e contestual­izza zio nesto ricadei dati («in questo mare di informazio­ni e disinforma­zioni veicolate dai governi che camminano mano nella mano con le grandi aziende»). Perché «non c’è niente di più interessan­te che un ciclo di studi in grado di superare gli ambiti». E visto che per shake rare il curriculum bisogna shakerare le università, «immagino una grande sfida, una sorta di Hunger Games in cui le facoltà hanno un giorno per riorganizz­arsi in base alle affinità, alle passioni, agli interessi. Questa nuova università sarebbe molto più interessan­te di quella attuale». E, secondo la visionaria professore­ssa, più pronta ad affrontare le sfide del futuro.

In questo senso Kathy Davidson vede due scenari. Uno «distopico»: «Internet senza regole, lo strapotere di Facebook, la nostra privacy venduta in una condizione di totale violazione della fiducia pubblica, nessuno che si oppone, la distruzion­e della classe media». Il dramma è che più o meno «siamo a questo punto, ci sono ragazzi ben preparati dagli atenei che hanno lavori sottopagat­i: questo è un grave problema educativo, ma soprattutt­o sociale. Oggi in America un insegnante delle superiori guadagna il 17% meno di un’altra persona con lo stesso livello di educazione». Poi c’è lo scenario «utopico»: «L’umanità si accorge di essere vicina al baratro e si organizza: oltre a macchine che si guidano da sole e a una migliore distribuzi­one del reddito, immagino lavori in cui gli uomini collaborin­o con l’intelligen­za artificial­e per affrontare questioni globali. La fame, il sovraffoll­amento del pianeta — la scienza dice che la Terra non può sostenere più di 10 miliardi di persone — la cura dell’ambiente. Ma per risolvere certi problemi servono profession­isti preparati scientific­amente, filosofica­mente, eticamente. Per gestire il controllo delle nascite serve una figura con preparazio­ne medica, legale, che sappia collaborar­e con le popolazion­i, dimostrare cultura e sensibilit­à. Sono queste le capacità per passare dallo scenario distopico a quello utopico».

Agrobusine­ss, protezione del paesaggio, bioingegne­ria etica. La docente si dice ottimista, «tanti programmi universita­ri stanno nascendo per dare ai ragazzi una visione più ampia e profonda della realtà». Il problema, dice, sono i monopoli, il controllo del pianeta, «mai così oppressivo», in mano a pochi. «Per questo, fin dai primi anni di istruzione, dobbiamo formare ragazzi entusiasti, sviluppare le loro passioni senza subissarli di test, educarli all’arte e all’immaginazi­one, così terribilme­nte necessarie per risolvere i problemi di oggi. Abbiamo bisogno di

creative thinker, teste creative che imparino naturalmen­te, che vivano gli studi come una strepitosa opportunit­à per pensare in grande e divertirsi».

Il 24 gennaio The New Education riceverà il Frederic W. Ness Book Award. Ma Cathy Davidson ha già in mente un altro progetto: «Una trilogia di fantascien­za ambientata in un mondo post atomico devastato dalla Terza guerra mondiale. Si chiamerà The force of nature ».

 ??  ?? Le immagini Cathy Davidson (qui sopra, foto Chris Hildreth, Duke Photograph­y). A destra: Eddie e Charlie Proudfoot, Mixed up Model (2017, tecnica mista), courtesy degli artisti
Le immagini Cathy Davidson (qui sopra, foto Chris Hildreth, Duke Photograph­y). A destra: Eddie e Charlie Proudfoot, Mixed up Model (2017, tecnica mista), courtesy degli artisti
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