Corriere della Sera - La Lettura
Una scuola obsoleta e prof sbilanciati: i ragazzi arrancano
Tempi di maturazione diversi rispetto alle ragazze si saldano in Italia con l’assenza di ruoli maschili di riferimento
Ese quella italiana non fosse una scuola per maschi? Può sembrare una domanda provocatoria in un Paese dove le ragazze ancora faticano nelle materie scientifiche più di tutte le loro coetanee e 8 iscritti a Ingegneria su 10 sono uomini. Ma non lo è: in generale, a scuola i ragazzi vanno molto peggio delle loro compagne. Voti più bassi, più bocciature e, soprattutto, più abbandoni. Come se la scuola, quella superiore in particolare, non riuscisse a riconoscere e a sviluppare i talenti dei maschi.
Partiamo dalla famigerata matematica. Le ragazze italiane escono in genere con le ossa rotte dai test come l’Ocse-Pisa. Ma nelle pagelle scolastiche è un’altra storia: al primo anno di liceo quasi 2 ragazzi su 10 sono insufficienti, mentre le loro compagne arrivano in massa (86,4%) alla sufficienza. In italiano — i dati del ministero dell’Istruzione e i test Invalsi lo confermano — lo svantaggio dei ragazzi è storicamente molto più marcato, soprattutto negli istituti tecnici e professionali, dove quelli che non raggiungono la sufficienza sono quasi il doppio delle loro compagne. Al contrario i voti alti, dall’8 in su, vanno molto più spesso alle studentesse sia in italiano (65 contro 35) che in matematica (60 a 40). Alla fine del percorso le ragazze che escono con il massimo dei voti sono quasi l’8% contro il 5% dei maschi. Gli anni critici, come dimostra il rapporto Ocse sul gender gap nell’Educazione del 2018, sono quelli tra i 10 e i 15 anni. Le difficoltà adolescenziali tendono generalmente a ridursi fino a scomparire intorno ai 21-22 anni, ma prima è un disastro. È così dagli anni Ottanta: sono stati i «ragazzi del ’66» i primi a cedere il passo alle coetanee e da allora la performance scolastica dei maschi ha continuato a peggiorare.
Secondo Raffaele Mantegazza, docente di Pedagogia alla Bicocca di Milano, la situazione potrebbe migliorare riformando i cicli: ci vorrebbe una scuola della preadolescenza di 5 anni — i tre delle medie più il primo biennio delle superiori — in modo che i ragazzi possano essere seguiti con continuità in quella delicata fase di sviluppo. «Biologicamente le ragazze maturano prima. È sempre stato così — spiga Mantegazza — ma ultimamente c’è stata un’accelerazione. Ogni tanto in classe sarebbe utile separarli: come si fa a pensare che Silvia di Leopardi comunichi le stesse cose a una tredicenne e a un suo compagno? Basterebbe un’ora di lavoro in gruppi divisi per genere per poi tornare a confrontarsi. Purtroppo però il sistema è strutturato sul moloch della classe».
All’esame di terza media, dove vengono promossi praticamente tutti (99,8%), quasi il 30% dei maschi viene «licenziato» con il 6, la soglia minima. Ma molti di coloro che escono dalle medie con una sufficienza risicata hanno il cammino segnato: spesso scelgono di parcheggiarsi in un istituto professionale. Dopo una bocciatura e magari un’altra ancora, una parte di questi ragazzi finisce per non andare più a scuola. Non a caso il tasso di dispersione scolastica è molto più alto fra i maschi che fra le femmine (16,6% per cento contro l’11,2). Siamo uno dei pochissimi Paesi europei, con la Spagna, in cui ci sono più diplomate che diplomati. Lo squilibrio cresce ancora all’università: leggendo i dati Istat 2018 (fascia 30-34 anni), più di una ragazza su 3 raggiunge il traguardo della laurea mentre nel caso dei ragazzi solo uno su 5 ce la fa. «Fin dalle elementari — dice il pedagogista Daniele Novara — i maschi collezionano più note e prendono voti più bassi. Per non parlare delle certifica-
Azioni neuropsichiatriche come l’iperattività o il disturbo della condotta, che nei bambini sono addirittura il doppio che nelle bambine». Novara ha un’idea chiara: «Maestre e professoresse, stragrande maggioranza del corpo docente, tendono a proiettare inconsapevolmente sugli alunni l’immagine negativa del discolo, del maschio terribile, e costringono le femmine nel ruolo di brave bambine».
Il problema non è solo italiano ma interessa anche gli altri sistemi scolastici europei, con rare eccezioni. Nella letteratura scientifica non italiana diversi studi si concentrano sugli effetti della femminilizzazione della scuola: «La penuria di professori maschi — spiega Andrea Gavosto, direttore della Fondazione Agnelli — resta un tema irrisolto. I ragazzi non riescono a trovare un modello di ruolo in classe proprio nel momento in cui ne avrebbero più bisogno».
Spesso il disagio scolastico dei maschi si intreccia con il livello economico-sociale delle famiglie. Nei contesti più svantaggiati, gli adolescenti tendono a modellare i loro valori più per strada che in classe o, peggio ancora, stando incollati ai reality tv e ai video degli youtuber. «Non è colpa della scuola — dice Mantegazza — se la nostra società sta attraversando una fase di crisi dell’identità maschile. Ma se ci fossero più docenti uomini sarebbe più facile veicolare il messaggio che esistono modelli maschili alternativi a Fabrizio Corona. E che la cultura può servire per sublimare la propria virilità». «Differenziare le didattiche potrebbe essere un buon esperimento», aggiunge Gavosto, usando metodologie meno accademiche e più pratiche per i ragazzi e ripensando quelle per le ragazze soprattutto per la matematica: il fatto che «il nostro sistema scolastico non riesca a coinvolgere le ragazze nelle materie scientifiche resta una priorità da risolvere». È come se, in classe ma prima già in famiglia, si saldassero due pregiudizi complementari. A parità di brutti voti, il pregiudizio gioca contro i maschi «che nell’adolescenza si rivelano più ribelli delle ragazze verso il sistema». Ma se fioccano 9 e 10, «il figlio viene considerato di talento, la figlia solo molto studiosa». Anche la scelta del tipo di scuola ha un peso: i ragazzi tendono a indirizzarsi più facilmente verso istituti tecnici e professionali dove il tasso di dispersione è più alto che nei licei a maggioranza femminile. «Solo quando entrano nel mondo del lavoro, la pressione sociale su di loro è tale che è come se li obbligasse a maturare», continua Gavosto. La stessa pressione, invece, penalizza le ragazze.
Gli esperti internazionali si stanno interrogando sul perché il gap di genere tenda a scomparire nelle rilevazioni tra gli adulti: se si incrociano i risultati del Pisa (dei quindicenni) con quelli del Piaac (che misura le competenze degli adulti) lo svantaggio dei ragazzi nella lettura tenda a ridursi fra i 16 e i 29 anni, per annullarsi del tutto fra i 30-40enni che lavorano. Non è escluso che le modalità con cui vengono effettuati i test possano in parte influenzare i risultati: i ragazzi della seconda superiore tendono a prendere un po’ sottogamba le prove standardizzate fatte a scuola mentre potrebbero essere più attenti nelle rilevazioni sugli adulti quando il test è più personale, svolto one-to-one, e loro più maturi e consapevoli.
Nel frattempo, soprattutto in Italia, molti di questi giovani smettono di studiare precludendosi la laurea. «Con un effetto drammatico per l’intera società — chiosa Novara — perché i posti di potere vengono occupati da giovani con un basso livello d’istruzione, mentre le ragazze che pure sono più istruite di loro tendono a perdersi per strada».