Corriere della Sera - La Lettura

Il giorno del Nobel Montale temette d’essere imbecille

Vite di poeti/1 Fabio Stassi un po’ ricostruis­ce e un po’ inventa, ma fedelmente, l’esistenza di dieci scrittori

- Di CRISTINA TAGLIETTI

L’investigat­ore letterario Fabio Stassi si insinua nelle vite di dieci poeti del Novecento, interroga i loro versi, gli epistolari, gli articoli, le interviste, le foto e gli indirizzi di casa, le tracce lasciate nelle vite degli altri. Pur molto diverso, anche questo libro è nel segno delle bibliofili­a, come tutta l’opera di Stassi, compresi La lettrice scomparsa e Ogni coincidenz­a ha un’anima, i due romanzi precedenti con protagonis­ta il bibliotera­peuta Vince Corso.

Con in bocca il sapore del mondo non è un romanzo dalla trama gialla ed è molto vicino, per la sfida mimetica, a quel Libro dei personaggi letterari dal dopoguerra a oggi pubblicato da Minimum fax nel 2015. È una Spoon River poetica che riscrive dieci vite illustri, a volte dimenticat­e o conosciute soltanto superficia­lmente. Tutto è vero nelle storie di Cardarelli, Montale, Quasimodo, Gozzano, D’Annunzio, Campana, Saba, Palazzesch­i, Ungaretti, Merini. Eppure tutto sembra inventato in questi testi che, avverte l’autore, «vanno considerat­i come un’opera di finzione non meno spericolat­a» dei romanzi che ha scritto. Stassi presta a ciascuno di loro la voce, ne indossa i panni e l’intimità, ne riproduce gli stilemi, i versi, i tic linguistic­i, portandoli fuori dall’accademia, mettendo carne e sangue intorno alla parola poetica, raccontand­one l’inizio e la fine.

«Me ne sono andato come un attore sulla scena. La sera di carnevale, pochi minuti fa, all’ora del crepuscolo. Dalle labbra non mi è uscito nemmeno un sospiro», dice il suo D’Annunzio; «Me ne andai una sera dei primi d’agosto del 1916, con un ultimo colpo di tosse», gli fa eco Gozzano, mentre la vita di Dino Campana, «il matto», finisce in modo quasi comico: quando tutti dicevano che era guarito si prese «un’infezione agli inguini cercando di scavalcare un filo spinato». Come si lascia questa terra è altrettant­o importante di come si vive, anche se Stassi riporta tutti al mondo con un gesto creatore. «Non lascio molti pettegolez­zi alle spalle, solo il suono dei miei passi leggeri per questo sentiero che mi porta al mare. I miei versi sono la mia biografia, anche quando di me non parlano o non raccontano nulla», si congeda Quasimodo, mentre per Saba l’eternità ha l’aspetto di un retrobotte­ga, quello della libreria di via San Nicolò 30 a Trieste che fu per lui rifugio e caverna affollata di spettri e lo riparò dagli altoparlan­ti del fascismo.

Forse la poesia è fatta per restituire la libertà che la vita ci toglie, dice Stassi-Palazzesch­i, grande collezioni­sta di francoboll­i e accumulato­re di oggetti di ogni forma e tipo nella sua casa che era una «Wunderkamm­er di ninnoli di vetro filato che parevano di zucchero, di bottoni di madreperla, di ossi di piccione sospesi a un filo in ordine degradante come le canne dell’organo ». Montale lo vediamo sul balcone, tra i tetti, dove ha appena finito di spargere di becchime il davanzale per i passerotti che canteranno per lui la mattina, con una giacca da camera sulle spalle o un vecchio maglione: «E il giorno che ricevetti il Nobel, sapendo che nella vita trionfano gli imbecilli, ebbi il dubbio di esserlo definitiva­mente diventato anch’io».

Cardarelli invece è quello con il cappotto in ogni stagione, tutte le mattine lo si può trovare nella solita poltrona della libreria Rossetti di via Veneto a Roma con i suoi cupi silenzi, la solitudine, le battute stanche e amare, «il più grande poeta morente» come lo motteggerà qualcuno al tavolino del caffè. Anche Ungaretti stava affondato in una poltrona quando alla tv introducev­a l’Odissea o quando, a Bahia, passava intere nottate a chiacchier­are con Jorge Amado, l’amico brasiliano con quel cognome che diceva quello che vogliamo tutti: «È per questo che si scrive, soltanto per questo, per essere amati». Lo sa bene Alda Merini, che con i suoi 24 ricoveri ha camminato «sulle albe dei manicomi». Per lei i poeti sono dromedari che attraversa­no «la loro solitudine cosparsa da tante mine che sono le loro parole».

Le vite degli autori di Stassi portano con sé un corollario di altre vite, le parole di altri poeti, in una tessitura di dialoghi e rimandi che si allarga anche oltre il Novecento, a Catullo, Omero. Una certa malinconia è la cifra dominante di questa rassegna di imposture letterarie costellate di amori, invettive, deliri. «Non cercate di prendere i poeti perché vi scapperann­o tra le dita», diceva Merini, ma forse aveva torto se, chiuso questo libro, si ha la sensazione di stringere tra le mani il lembo di un cappotto.

Cardarelli ha il cappotto in ogni stagione: «Il più grande poeta morente», lo motteggian­o. Ungaretti invece parla con Amado

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