Corriere della Sera - La Lettura
C’è anche Faulkner nel libro di Grisham
Perché Pete Banning, eroe di guerra nel Pacifico, benestante coltivatore di cotone (siamo nel Sud), padre amorevole, cittadino rispettabile, ha ucciso a sangue freddo il reverendo Bell e non ha fatto nulla per sottrarsi all’arresto? Qual è il movente? La domanda corre per le 400 pagine di La resa dei conti di John Grisham e trova una risposta che ghiaccia il sangue solo alle ultime righe. C’è un processo, ma è un processo impossibile. L’avvocato difensore è come un pugile che combatte con le mani legate dietro la schiena. L’imputato rischia la sedia elettrica, ma non parla, deciso a portare il suo segreto nella tomba. Come se il suo destino non lo toccasse, aspetta il verdetto giocando accanitamente a cribbage (non chiedetemi le regole perché è complicato) con un compagno di cella. Il nuovo romanzo di Grisham, il suo trentaduesimo, è un legal thriller che contiene al suo interno anche un romanzo di guerra, una vicenda di ferocia assortita che forse spiega perché gli americani usarono l’atomica contro i giapponesi (probabilmente una questione di vendetta, più che di strategia militare). È un Grisham fosco, un narratore di tradimenti, di menzogne e di inganni fatali. Uno scrittore come sempre puntuale. La descrizione del processo è così particolareggiata da far sentire il ronzio dei termosifoni nell’aula e la crisi d’astinenza da nicotina del perplesso giudice Oswatt. È una storia di belle donne perse nella follia o stupidamente gelide, di sedicenti e sciroccate poetesse (c’è anche un divertente cammeo di William Faulkner al ristorante, padre nobile della letteratura americana e, in un certo senso, anche di questo racconto molto sudista), di avvoltoi che bramano di fare i gentiluomini di campagna e di brillanti avvocati (alla insuperabile collezione privata di Grisham va aggiunta la figurina di Burch Dunlap del foro di Clanton, Mississippi). Un romanzo capitale come una sentenza. E senza appello.