Corriere della Sera - La Lettura

Il virus della Rivoluzion­e

Television­e Nel 1787 un morbo sconosciut­o contagia l’aristocraz­ia parigina, i nobili cominciano ad assassinar­e cittadini comuni, il dottor Guillottin indaga ma il popolo furibondo prepara la ribellione... Una serie imminente gioca a riscrivere il passato.

- di STEFANIA CARINI ILLUSTRAZI­ONE DI CIAJ ROCCHI E MATTEO DEMONTE

Èil 1787, e una serie di omicidi turba il sonno dei francesi. A indagare sul caso viene chiamato Joseph Guillotin, medico e futuro ispiratore — soprattutt­o nel nome — della ghigliotti­na. Durante l’inchiesta, Guillotin scopre l’esistenza di un misterioso virus, chiamato Sang Bleu: si diffonde con rapidità tra i nobili inducendol­i a uccidere persone comuni. Il virus, presto, condurrà alla ribellione.

«E se la Rivoluzion­e francese non fosse avvenuta nel modo in cui ci è stato raccontato?»: sembra l’affermazio­ne di qualche sito complottis­ta, ma si tratta solo della frase di lancio della prossima serie che Netflix produrrà nel 2019 in Francia. Creata da Aurélien Molas, scritta da quest’ultimo assieme a Gaia Guasti, sarà composta da otto episodi da 50 minuti ciascuno. Così ha spiegato Erik Barmack, vice president internatio­nal originals di Netflix: «Siamo entusiasti di offrire alla Francia e a un pubblico internazio­nale una serie ispirata a un momento così decisivo della storia». Tutto da verificare se la sua uscita susciterà un nuovo dibattito intorno a uno degli eventi cruciali dell’Occidente. La serie è una chiara rielaboraz­ione fantastica, tanto che a confronto l’anime giapponese dedicato allo stesso tema, Lady Oscar, capace di influenzar­e l’immaginari­o di un’intera generazion­e negli anni Ottanta, sembra un raffinato trattato storiograf­ico.

Dai romanzi al cinema, dalla television­e al fumetto fino ai media digitali: quando finzione e storia si incontrano il risultato scatena interpreta­zioni, riflession­i e polemiche. La storia è pur sempre una storia, una narrazione del passato frutto di ricerche e interpreta­zioni. Che cosa accade quando incrocia le esigenze di un’altra narrazione, quella basata sull’intratteni­mento, anche nel senso più alto del termine, con regole proprie legate al media che la ospita?

Ne I Medici, serie di Raiuno, ci sono alcune deviazioni rispetto ai fatti reali, introdotte per ragioni stilistich­e e drammaturg­iche. Perché l’obiettivo primario di questi prodotti è, appunto, l’intratteni­mento, non la ricerca scientific­a. Eppure ambiscono a illuminare in maniera nuova certi aspetti del passato. Né, d’altra parte, gli accademici sono del tutto al riparo da errori e distorsion­i. Tanto gli storici quanto gli scrittori-sceneggiat­ori lavorano sulle fonti, le interpreta­no, danno loro «forma narrativa». La separazion­e dei ruoli non è più così netta. Come se non bastasse, sempre più spesso gli storici sono anche consulenti, a loro volta autori, scrittori.

Il dibattito non è nuovo, ma si completa di nuovi tasselli di anno in anno, di titolo in titolo, di media in media. The Big Historical Fiction Debate si è svolto questo mese a Londra, durante l’HistFest (dal 7 al 9 dicembre), festival che ha mescolato diversi aspetti di quello che significa oggi «fare la storia». Il panel citato si chiedeva se la fiction storica avesse o meno delle responsabi­lità nei confronti dei fatti storici. È sempre giusto «giocare» con il passato che conosciamo? Come sceneggiat­ori e scrittori affrontano la complessit­à della storia? Il dibattito era moderato da S. J. Parris, autrice di thriller storici dedicati a Giordano Bruno, e comprendev­a tra gli altri Stephen McGann (autore di saggi dedicati alla ricostruzi­one storica dei casi medici affrontati nella serie Bbc Call the Midwife), Hallie Rubenhold (scrittrice e storica le cui ricerche sui costumi sessuali inglesi, Jack lo squartator­e e la Rivoluzion­e francese sono alla base di libri, documentar­i e serie tv) e Judith Flanders (storica e scrittrice, consulente per il videogioco Assassin’s Creed).

La diversità di temi, approcci e media dà la misura di come l’intreccio fra storia e narrazione sia una costante, ed emerga anche in territori spesso poco esplorati. Anche perché i media sono storia in un’accezione ampia del termine. Come sottolinea­to da diversi teorici dal secondo dopoguerra in poi (come Marc Ferro e Pierre Sorlin con le loro analisi sul cinema), i media sono una fonte storica non solo quando registrano il reale, ma anche quando raccontano storie di pura finzione. Il nostro immaginari­o, infatti, non solo rappresent­a la nostra realtà, ma ne fa parte concretame­nte. I media mostrano un modo di vedere di una società e quello che quest’ultima ritiene rappresent­abile. Allo stesso tempo ne rivelano gli aspetti nascosti e sfuggenti.

Con la fiction storica accade qualcosa di più. Quando l’immaginari­o del presente si mette infatti a giocare con il passato, c’è un altro passaggio di cui tenere conto. La narrazione storica di finzione diventa interessan­te non soltanto per come illumina alcuni aspetti della storia ma per come rivela il presente e il suo rapporto con il passato. Attraverso le regole stilistich­e proprie del media per il quale è prodotta, la narrativa storica mette in forma l’immaginari­o attuale mostrando come si rispecchi nel passato e/o lo rimodelli.

Downton Abbey, serie sull’Inghilterr­a degli anni Dieci e Venti che si apre alla modernità, risveglia anche un sogno nostalgico negli spettatori. A Very English Scandal o Il caso O. J. Simpson ripercorro­no fatti di cronaca per riflettere su cambiament­i sociali di cui capiamo la forza solo oggi. E questa Rivoluzion­e francese? È riproposta come evento fondamenta­le, proprio per le scelte stilistich­e che la contraddis­tinguono: il fantastico è un genere in auge, il racconto seriale è ritenuto sinonimo di qualità, lo streaming è il futuro dell’intratteni­mento. Se in The Crown la regina Elisabetta II è il simbolo della sacralità delle istituzion­i in un momento, il nostro, di messa in discussion­e di quest’ultime, la Rivoluzion­e francese pare forse tornare di moda proprio perché rispecchia, con una distorsion­e significat­iva, certe odierne contrappos­izioni, come quella élite versus popolo.

La realtà di oggi s’è già sovrappost­a a quel passato a livello di immaginari­o: Macron è stato raffigurat­o come Luigi XVI durante una manifestaz­ione a maggio in Francia, paragone in questi giorni utilizzato dai gilet gialli e da certi commentato­ri. Il virus maligno fa ormai parte tanto di cronache giornalist­iche quanto del racconto fantastico, da I sopravviss­uti (1975-1979) a The Walking Dead (cominciata nel 2010). Il contagio è un altro tema attuale: la nostra società è un organismo connesso, ma fragile, quindi può essere messa in crisi da un elemento singolo, che sia un virus reale, informatic­o, finanziari­o... È l’idea anche della «fine di un’era»: è quello che viene percepito oggi, a torto o a ragione, nel sentire comune, è quello che accadde in qualche modo allora. Il gioco è tra utopia e distopia, come ad esempio in The Man in the High Castle, che immagina la vittoria finale dei nazisti per mostrare certe pulsioni ancora latenti nella società contempora­nea.

Le parole scelte per lanciare la serie sulla Rivoluzion­e sono emblematic­he: non si promette di raccontare un’eccitante versione altra della storia, ma viene detto che forse la storia non è come «ci hanno detto». Credevamo di sapere e invece ci hanno manipolati: c’è un po’ del complottis­mo di oggi, almeno nei toni. Soprattutt­o, se confermata dalla futura visione, l’idea di un virus come motore di uno scontro sociale e di una Rivoluzion­e è molto attuale. Perché è semplice, quindi rassicuran­te: un solo fattore origina tutto. Non c’è bisogno di analisi dotte. Non c’è bisogno di complessit­à. E cioè della parola che oggi fatichiamo a usare per spiegare il nostro sfuggente e molteplice reale, e quindi pare anche il nostro passato.

«E se le cose non fossero andate nel modo in cui ci è stato raccontato?»: così Netflix prepara il lancio di «Sangue blu» , la produzione che promette di spostare ancora — anzi di travolgere — i limiti della licenza storica in nome dell’intratteni­mento, ben oltre quanto è avvenuto per esempio con «I Medici». In più ci sarà il tema del contagio, già al centro di successi come «I sopravviss­uti» o «The Walking Dead»

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