Corriere della Sera - La Lettura

Hanno rubato l’ora del tè ma non ditelo agli inglesi

Il politicame­nte corretto e l’ignoranza della geografia (e della storia) mutano la narrativa per ragazzi che ormai predilige storie fantastich­e in Paesi inventati

- Di PIERDOMENI­CO BACCALARIO

La cosa che più mi colpì, quando iniziai a lavorare come responsabi­le di una famosissim­a collana di libri per ragazzi, fu la lista delle parole che non si potevano scrivere e degli argomenti che non si potevano trattare. Scoprii, poi, che si trattava di una prassi internazio­nale, soprattutt­o per i personaggi di grande mercato, e che questo elenco di divieti, alcuni dei quali totalmente condivisib­ili, poteva essere potenzialm­ente infinito. Si partiva da: niente sesso, niente politica, niente religione; fino a: niente discorsi sull’alimentazi­one. Da allora sono trascorsi più di dieci anni, e a quelle liste di divieti si è sommato un crescente disinteres­se per storia e geografia. Ricordo una riunione negli Stati Uniti in cui mi venne proposto di mandare la tal principess­a a fare un bel ballo a Parigi alla fine del Settecento, e di come cercai di far notare al creativo di turno che allora molto probabilme­nte avremmo dovuto ghigliotti­narla. Il combinato disposto di questi due fattori — liste e disinteres­se — dà un quadro abbastanza chiaro di che cosa si stanno perdendo i giovani lettori.

La Francia va fiera delle sue libertà intellettu­ali e rispetto all’Italia offre molti più libri che affrontano il tema della sessualità. Ma quando è uscito On a chopé la puberté («Mi sono beccata la pubertà») di Séverine Clochard, vennero rapidament­e raccolte 50 mila firme di genitori indignati che chiedevano che il libro fosse ritirato. Esaurite le copie, pari a un decimo delle firme, il libro non è più stato ristampato. Quello che davvero non si trova è una storia che metta in dubbio la grandeur del Paese, o che abbia sullo sfondo disastri militari o coloniali. Da Asterix in poi, tutti gli invasori sono cattivi o buffoni. In Belgio fa così anche Tintin (che però è il frutto della sua epoca, gli anni Trenta). Se cercate libri moderni che parlino del razzismo ne troverete molti su quello degli altri, come Le bus de Rosa, di Fabrizio Silei, sul famoso autobus di Rosa Parks, ma nemmeno uno sul Congo. E dire che, a leggere La capitale dell’austriaco Robert Menasse (Sellerio), basterebbe raccontare l’incredibil­e storia del barone Victor Caspers e di Libellule, la donna di colore che amò al punto di dover rinunciare a frequentar­e l’intera nobiltà di Bruxelles (tranne un’autentica nobildonna che partecipò, da sola, alle nozze e offrì loro una tazza di té).

Ai bambini degli Stati Uniti non si parla né di poveri né di nativi americani, se l’intenzione è quella di scomodare episodi dubbi di storia nazionale. Potrete leggere loro di come altri rischiano di uccidere le ultime tigri ( Can We Save the Tiger?, Martin Jenkins), ma non di come i trisavoli accecati dal sogno americano abbiano decimato l’intera popolazion­e di bisonti del continente. Gran parte degli scrittori per ragazzi, poi, a partire da Jason Reynolds, non descrivono nemmeno più i tratti etnici dei loro personaggi. Quello che fanno è esportare storie, spesso bellissime, con il risultato che noi italiani sappiamo più del Klondike (di zio Paperone) di quanto ne sappiano i bambini di New York. Se la storia viene dall’Europa, parte il sospetto: Whitesnow and the 77 Dwarfs («Biancaneve e i 77 nani») di Davide Calì, dove un’esausta Biancaneve sceglie di mangiare non una, ma due mele avvelenate pur di mettersi a riposo, è stato accusato di istigazion­e al suicidio.

La Gran Bretagna, nonostante la sua vibrante società multicultu­rale, importa meno del 5% delle sue storie per ragazzi (in Italia siamo abbondante­mente sopra il 50%). Quelle che producono raccontano per la massima parte di famiglie «White British» capaci di affrontare ogni difficoltà (chi non è nato in Inghilterr­a o in Irlanda si considera «Other White», altro bianco); di lord saggi e lungimiran­ti e di una working class derelitta che aspira a essere salvata e trasformat­a nella tranquilla famiglia di cui sopra. Un libro per bambini come Tre casi per l’ispettore Wickson Alieni di Luca Doninelli (da noi giustament­e candidato allo Strega ragazze e ragazzi), è stato giudicato inaccettab­ile perché gioca con (e mostra) gli stereotipi nazionali (soprattutt­o quando i ladri decidono di rubare le cinque per impedire la cerimonia del tè). In Inghilterr­a, come in Giappone, niente baci: al massimo, una pacca sulla spalla. E la chiusura culturale è talmente lontana dalla società reale che è nato un movimento di genitori (diverseboo­ks.org) per chiedere e supportare storie con culture, religioni, miti e modi di vivere alternativ­i. L’estero, quando c’è, è quello pittoresco, come accade in The Book of Hidden Things, di Francesco Dimitri (Titan Books), uno dei pochissimi autori a essere riuscito a farsi pubblicare senza chia- marsi Dymetree. In Russia le cose sono ancora più complicate: non solo i genitori sospettano degli autori non certificat­i russi, ma esiste una legge federale, la 433, che protegge i bambini da «un’informazio­ne che può minare il loro sviluppo fisico e psicologic­o». Il libro di Davide Morosinott­o Il rinomato Catalogo Walker & Dawn, vincitore del premio Andersen italiano, è stato impacchett­ato sugli scaffali con il bollino 16+ perché menziona alcol e sigarette. Schiere di infaticabi­li genitori setacciano i libri per chiedere indietro i soldi se individuan­o crimini, malattie, divorzi, disabili, motteggi politici e storie non edificanti sul passato sovietico. I volumi della saga di Percy Jackson, dove gli antagonist­i sono dei russi cattivi, non sono stati nemmeno tradotti. «I libri per bambini dovrebbero essere una sorta di fiaba» è l’atteggiame­nto più comune nei confronti della letteratur­a infantile. E così Rotraut Susanne Berner (vincitrice dell’Hans Christian Andersen — quello internazio­nale — nel 2016) viene criticata per aver rappresent­ato protagonis­ti con un bicchiere di vino, o nudi (anche se, ad esempio, si tratta di un ritratto in una galleria di quadri, come in Nacht-Wimmelbuch). Un libro di bandiere può essere rimosso non appena un deputato segnala su Twitter che non è vero che il rosso di quella lituana è tale perché ricorda il sangue versato durante la tirannia sovietica. Viene tolto il «pisello» da una storia di Ulf Stark e messo al bando Tsatsiki e la sua famiglia di Moni Nilson, perché un bambinetto di 8 anni confronta il suo con quello di suo padre nella doccia e si domanda, allora, come potrebbe essere quello di Dio. Nella versione russa del bestseller Storie della buonanotte per bambine ribelli (un libro peraltro rifiutato da molti editori che sostenevan­o che ai lettori non sarebbero mai interessat­e storie vere di donne vere) è stata epurata l’eroina transgende­r. L’omosessual­ità è assolutame­nte vietata da un’altra legge, quella che ne proibisce la «propaganda».

In Polonia non c’è un solo libro sugli scaffali dove si parli di rifugiati o immigrati, mentre la sessualità è un tema lasciato interament­e alle famiglie. L’editore polacco Dwie Siostry ha pubblicato il primo libro che dia informazio­ni sul corpo e la sessualità a bambini curiosi di 8-9 anni (in realtà è una traduzione di un libro tedesco di Katharina von der Gathen). È il primo da 15 anni, ma, prima di farlo, c’è stata una grande discussion­e all’interno della casa editrice, che temeva di perdere popolarità al punto di dover chiudere i battenti (non li hanno chiusi, anzi: la gente ha detto che era necessario dal momento che a scuola l’argomento non è trattato).

In Spagna la regola generale è che di certe cose sarebbe meglio non parlare, ma se una storia fa successo fuori, la si pubblica perché potrebbe vendere bene, e questo in particolar­e nel mercato degli young adult. Non sono riuscito a trovare una sola storia con perfidi conquistad­ores, ma è vero che gli spagnoli sono tutto sommato flessibili e, piuttosto, attenti al taglio delle storie, che preferisco­no ottimistic­he. Ragionano così anche gran parte degli editori tedeschi, dove nulla è scartato tout court (a parte, forse, storie tedesche scritte da autori non tedeschi): guerra, malattie e argomenti storici sono considerat­i i più difficili da vendere, ma sono presenti sugli scaffali e, se lo meritano, ben recensiti. La Shoah e il nazismo? Per usare le parole dello scrittore Matteo Corradini, sono «un genere».

In Giappone violenza, seduzione e sigarette sono consentiti nei manga. Nei libri per bambini vigono regole imprevedib­ili: l’ispettore Oshiri Tantei (letteralme­nte «faccia di culo», perché così è disegnato) ha superato le due milioni di copie, ma prima di pubblicare i libri di Inside Out della Pixar, è necessario che la protagonis­ta, invece di detestare i broccoli, popolariss­imi tra i bambini giapponesi, non mangi peperoni. Meglio poi se non ci sono personaggi neri; e che un ragazzino non abbia una ragazzina come migliore amica e che in ogni caso non si bacino mai in pubblico. Quindi via i baci dal libro J’aime t’embrasser di Serge Bloch (che è un libro sui baci). Per fare critica sociale si deve ricorrere alla distopia (come nel longseller Battle Royale di Koushun Takami, da cui è tratto Fortnite, uno dei videogioch­i più popolari di sempre). E non è quindi un caso se narratori, editori e, soprattutt­o, lettori preferisco­no soddisfare il loro interesse per intrighi, violenza, sentimenti e passioni di vario tipo in storie fantastich­e e su mondi inventati, dove l’ovvia mancanza di immaginazi­one dei censori non riuscirà a raggiunger­li.

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