Corriere della Sera - La Lettura
Gli spettacoli del 2018 Ecco il meglio e il peggio
Il 7 settembre sono stati attribuiti i premi «Le Maschere», il 7 gennaio verranno assegnati i premi Ubu: tra i due massimi riconoscimenti del teatro «la Lettura» ha chiesto a Franco Cordelli un bilancio dell’anno che si chiude. Ecco com’è andata
I lavori memorabili: «La notte poco prima delle foreste» con Pierfrancesco Favino, «L’abisso» di Davide Enia e «La Cupa» di Mimmo Borrelli. Male «Antigone» di Federico Tiezzi, «La scortecata» di Emma Dante, «Il padre» di Gabriele Lavia È indubitabile la qualità di Afghanistan di Ferdinando Bruni ed Elio De Capitani: il modo di fare teatro di recitazione del duo dell’Elfo di Milano è il migliore oggi in Italia. A questi aggiungo tre sorprese: Settimo cielo di Caryl Churchill messo in scena da Giorgina Pi;
Frame di Alessandro Serra; Curon/Graun di Filippo Andreatta con musiche di Arvo Pärt. A Filippo Gili si deve invece la commedia più interessante: Prima di andare via
Alla fine di maggio «la Lettura» propose un bilancio della stagione teatrale. Ne proponiamo adesso uno di fine anno. Lo scarto tra anno e stagione è relativo, anche la memoria è relativa: tuttavia è sempre la memoria a dettare legge. Accadrà dunque (immagino) che tra ciò che fu scritto in maggio e ciò che sarà ricordato in questa occasione vi siano coincidenze, più che naturali, ma che vi siano anche lacune o dimenticanze o, per essere precisi, giudizi, chiamiamoli così, che il tempo ha modificato accanto a quelli che ha confermato.
A fine anno, so quanti spettacoli ho visto, ne ho visti cento, non vedo mai uno spettacolo senza in qualche modo riferirne: è un’abitudine, un costume di vita, insomma una necessità interiore. Cento, non uno di più, non uno di meno.
Da questo numero tondo ne ho estratto un altro, altrettanto tondo, venti. Ma non i migliori venti spettacoli dell’anno, questo è impossibile, in un anno non ci sono mai venti spettacoli che la memoria trattenga. Se gli spettacoli buoni, o belli, sono dieci, un decimo, è tanto, ed è la normalità. Se sono, come in questo caso, dodici, potremo dire che alla fine dei conti la stagione è stata migliore di altre. Ho però detto di aver estratto, da cento, venti titoli. Quali sono gli otto da segnalare accanto ai dodici? Saranno quelli che chiamerò i deludenti, o con maggior decisione i brutti, gli spettacoli brutti — indipendentemente dal voto che noi assegniamo per consuetudine giornalistica. Indipendentemente poiché, appunto, la memoria modifica ciò che si è percepito nel momento.
Ricordo come insignificante, meglio che brutto, Il giorno di un Dio di Cesare Lievi. Lievi è regista di un qualche prestigio che da tempo in Italia lavora meno. Presentò questo suo testo (egli è anche drammaturgo), dedicato a Martin Lutero, ma a impedirne la valutazione (del te- sto) fu poi la regia, ricca di inutili, cervellotiche idee. Altro deludente spettacolo, specialmente quest’anno, che segna un improvviso ritorno di fiamma per Sei personaggi in cerca d’autore, altro deludente, vuoto spettacolo, è già nel titolo, succinto e dunque obliabile, obliato, Sei di Roberto Latini — che pure aveva dato assai miglior prova di sé nel Cantico dei Cantici. Anche Romeo Castellucci, dopo aver messo in scena un superbo Democracy in America, presentò a Spoleto un arrangiato, lungo, estenuante La morte di Empedocle — lui diceva tratto da Hölderlin, senza che vi fosse tra il testo e lo spettacolo rapporto alcuno, neppure per indirette vie di sogno, arte, poesia ecc. Rapporti tra titolo e spettacolo ve ne erano in uno privo di senso: rapporti troppi, a bizzeffe, in Werther a Broadway, di Giancarlo Sepe. Vi si trovavano tracce di Goethe, di Schumann, di de Musset e naturalmente di Broadway.
Lodatissimo da tanti spettatori a me sembrò velleitario e incomprensibile La s c or t e c at a di Emma Dante: come se l’idea di trarre uno spettacolo dai Cunti di Basile fosse venuta perché qualche anno prima Matteo Garrone da quel libro