Corriere della Sera - La Lettura
Tecnologia e fake: i piani di conquista sono più insidiosi
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«Le cose sono certamente ca mbi a te da quando, nel 2007, il presidente cinese Hu Jintao mi disse che intendeva investire molto in soft power per colmare il gap con gli Usa e l’Occidente anche in termini di capacità di attrazione esercitata sugli altri Paesi. E, tuttavia, l’attuale declino del soft power americano è più il frutto di ferite che ci siamo inferti da soli con le politiche di Donald Trump che la conseguenza dell’ascesa di Pechino sulla scena internazionale». Trent’anni fa Joseph Nye, politologo di Harvard, creò nei suoi testi accademici la categoria del soft power, poi sviluppata in un libro del 1990, Bound to Lead (Basic Books), e, nel 1994, in Soft Power: The Means to Success in World Politics (PublicAffairs). Quell’espressione identificava la capacità di un Paese di attrarre e cooptare altri partner con gli strumenti «morbidi» della cultura, dei valori etici e della politica estera usata per raffor- zare i legami con altre nazioni, anziché con quelli coercitivi dell’hard power, primo fra tutti l’uso della forza militare. Una formula utile anche per descrivere la leadership americana che, caduto l’impero sovietico, era basata soprattutto su fattori culturali e socioeconomici, più ancora che sulle portaerei e la superiorità missilistica. Una visione che molti condivisero mentre l’espressione soft power divenne di uso comune nel linguaggio politico.
Negli anni, però, i rapporti di forza sono cambiati, con il progressivo spostamento del potere dall’Occidente verso l’Asia: un fenomeno analizzato da Nye nel 2010 in un altro saggio, The Future of Power (PublicAffairs). E oggi c’è chi dubita che si possa ancora parlare di soft power degli Stati Uniti alla luce della brutale sterzata impressa da Trump verso la politica nazionalista dell’America First. Cambiamenti strutturali come lo sviluppo delle tecnologie informatiche e la diffusione fulminea delle fake news hanno poi portato, come ammette lo stesso politologo di Harvard, allo sviluppo di un terzo tipo di potere: lo sharp power, insidioso e tagliente.
P r ofe s s o r Nye , l ’ A mer i c a d i Trump ha, dunque, smarrito la bacchetta magica del suo «potere soffice»?
«Certo. C’è il declino americano e c’è una rivoluzione tecnologica che confonde le acque, ma questo non to g l i e va l o r e a l co nce t to di soft power: uno strumento che chiunque può imparare a usare. È stato così fin dai tempi dell’Impero Romano, basato sulla forza militare e su quella della sua civiltà: eserciti e acquedotti. La Cina ha sicuramente investito molto in quest’area, ad esempio creando in tutto il mondo una rete di istituti Confucio per diffondere la sua lingua e la sua cultura. Ma il fattore principale del declino americano non è questo: nella classifica dei 30 Paesi con un mag-