Corriere della Sera - La Lettura
Interpol Guardie contro ladri (machi sono i ladri?)
Sono tempi di pragmatismo duro, regimi e semi-democrazie regolano i conti con i loro oppositori in modo brutale. Accadeva in passato, solo che adesso i sicari di Stato sono sfacciati, a volte pasticcioni, convinti di avere le spalle comunque coperte. Perché chi ha impartito l’ordine di liquidare il nemico è convinto di farla franca. Parliamo di azioni «coperte» condotte lontano dal proprio Paese, violando confini e sovranità. Delitti che richiedono spesso una risposta investigativa internazionale con incroci di dati, informazioni, verifiche.
L’assassinio a Kuala Lumpur nel febbraio 2017 di Kim Jong-nam, fratellastro del dittatore nordcoreano Kim Jong-un; l’attentato all’esule russo Sergei Skripal in Gran Bretagna (marzo 2018); la fine del giornalista saudita Jamal Khashoggi a Istanbul (ottobre 2018) sono tre casi di grande rilevanza, con implicazioni profonde. E non sono comunque gli unici, altri restano «sul fondo», protetti da segreti e manovre. Ecco perché, in alcune circostanze, è fondamentale il ruolo dell’Interpol, l’agenzia internazionale con sede a Lione che mette in collegamento i 192 Paesi membri. Strumento fondamentale per tracciare gli spostamenti dei ricercati, fornire dritte sui sospetti, far circolare file che permettono una svolta in un’inchiesta. Dunque è necessario che a guidarla ci sia un funzionario che offra garanzia nel rispetto di leggi e diritti, non usi la propria posizione — anche se non ha grandi poteri esecutivi — per favorire i giochi del proprio governo.
Questo in linea di principio, poi nei fatti è un’altra cosa.
Nel novembre 2016 è stato nominato presidente il cinese Meng Hongwei. Viceministro della Sicurezza, 65 anni, grande esperienza e ben dentro la macchina del potere, ha raggiunto il vertice con piena soddisfazione di Pechino e tanti timori di altri «attori». Alla sua elezione, un orgoglioso presidente Xi Jinping aveva promesso l’osservanza stretta delle norme che ispirano l’ente internazionale. Promesse, appunto. Non pochi osservatori e diplomatici hanno subito messo in guardia sui rischi concreti di operazioni poco ortodosse da parte di Pechino. In particolare con la diffusione di appelli all’arresto di oppositori residenti all’estero e considerati avversari pericolosi. A cominciare da uno dei leader della minoranza musulmana degli uiguri, Dolkun Isa. La comunità islamica — come hanno documentato numerosi rapporti — è repressa in modo spietato, con arresti massicci e campi di rieducazione. Una reazione solo in parte giustificata da azioni violente da parte dei militanti: la ramazza della sicurezza non fa troppe distinzioni tra dissenso e terrorismo.
I dubbi si sono sommati a valutazioni più politiche, una matassa sintetizzata da