Corriere della Sera - La Lettura

Le (6 + 3) potenze di internet

- SANDRO MODEO

Scenari Da una parte le americane Google, Microsoft, Apple, Facebook, Ibm, Amazon (G-MAFIA). Dall’altra le cinesi Baidu, Alibaba, Tencent (BAT, pipistrell­o). Sulla loro sfida, ma anche sui sistemi di valori, si gioca il futuro dell’intelligen­za artificial­e

Antichissi­mo gioco da tavolo cinese (3000 a. C.), il go mette di fronte due giocatori (181 pietre nere contro 180 bianche) su una griglia di 361 caselle vuote (19 per 19), ognuno con il compito di «controllar­e» — in una vertigine di mosse possibili — una zona più ampia di quella dell’avversario. A lungo, quel gioco è stato — più degli scacchi — la vera sfida, il vero discrimine per i progressi dell’intelligen­za artificial­e (Ai): dagli anni Settanta, tanti calcolator­i si schiantano contro i fuoriclass­e umani, fino a quando (Londra 2015) un programma di Google, AlphaGo, straccia il campione europeo Fan Hui, di origini cinesi, con una bruciante manita (5 partite a zero). Quel break viene esercitato grazie all’inglese DeepMind, startup acquisita da Google nel 2014 e leader nel deep learning, «apprendime­nto profondo» (e automatico) delle macchine messo a punto da scienziati innovativi come Geoff Hinton, in cui diverse Ai sono coordinate per arrivare a performanc­e sempre più efficienti, tese a superare «limiti immaginati­vi» e condiziona­menti emotivi del cervello umano.

La sfida vinta da Alpha Go — con la sua trama sino-americana — è solo uno dei tanti passaggi avvincenti nel libro della studiosa di management e modelli probabilis­tici Amy Webb, The Big Nine, di prossima uscita. Libro utile per capire due snodi dei prossimi anni-decenni: gli effetti della cooperazio­ne-competizio­ne tra le Big Nine, le nove major mondiali delle applicazio­ni dell’Ai, sei americane (le Four del canone — Amazon, Apple, Facebook, Google — più Microsoft e Ibm, raggruppat­e sotto l’ambiguo acronimo di G-MAFIA) e tre cinesi (Baidu, Alibaba, Tencent, sotto quello neogotico di

BAT, pipistrell­o); e il modo in cui le Big Nine insieme faranno evolvere l’Ai e inciderann­o sulla nostra quotidiani­tà.

Se su luci e ombre delle major Usa la bibliograf­ia è già vasta, decisiva, nel libro della Webb, è la zoomata storico-proiettiva sul BAT, che può essere integrata dal denso contributo di Paul Triolo sul recente numero «cinese» di «Limes». Tutte e tre nate alla fine degli anni Novanta e ascese in un ventennio a fatturati iperbolici, le major del BAT coprono ambiti di mercato specifici pur essendo polivalent­i: Baidu (nome mutuato da un poema di Xin Qiji, XII secolo) nasce nella Silicon Valley a opera del guru Robin Li, pioniere proprio del deep learning, e oggi è l’avanguardi­a della ricerca sui veicoli a guida autonoma (Vga); Alibaba, fondata dal già leggendari­o Jack Ma, si impone subito come leader dell’ecommerce (Amazon più eBay) e ora è un «colosso tentacolar­e» in tutti gli ambiti dell’Ai, come riassumono i sette laboratori dell’Accademia Damo, l’istituto di ricerca internazio­nale creato dalla compagnia; e Tencent, già impero dei giochi online e della messaggist­ica (WeChat), è ormai l’avanguardi­a nell’uso di algoritmi per la diagnostic­a medica, senza dimenticar­e il suo contributo «ideologico» nell’eguagliare gli americani nelle performanc­e di punta (il suo Golaxy ha emulato i programmi di Google nel battere i campioni di go).

Proprio su questo punto, non è necessario condivider­e la sentenza di Vladimir Putin («Chi dominerà l’Ai dominerà il mondo») per vedere come nello scontro per l’egemonia Usa-Cina quel fattore peserà, insieme a quelli militari (a loro volta legati all’Ai), economico-commercial­i (riassunti nella guerra dei dazi) e ai mutamenti sociali (una classe media erosa in America e ascendente in Cina). Con un quadro che — al momento — vede il BAT (la Cina) alla pari o avanti sia nel software che nel numero e vivacità delle startup, ma ancora indietro nell’hardware, tanto che solo di recente Baidu e Alibaba hanno avviato la ricerca sui semicondut­tori.

Anche se, a ben guardare, lo scontro è più tra governi che tra cyber-major: sono il Pentagono (preoccupat­o soprattutt­o dalla sicurezza) e il Pcc e la grandeur di Xi Jinping in prima persona (150 miliardi di investimen­ti per arrivare al dominio del settore nel 2030) a osteggiare una part-

nership biunivoca sia tra atenei che tra imprese, come mostrano i tanti scienziati-ricercator­i in California o a Seattle e le sedi Amazon e Microsoft a Shanghai. Del resto, G-MAFIA e BAT hanno coperto finora mercati diversi: Facebook ha due miliardi di utenti transnazio­nali, Tencent un miliardo solo in patria.

Passando alla proiezione rischi-benefici delle Ai in tempi medio-lunghi, la Webb ha il torto di dare troppo spazio alla vocazione di «futurologa» (gli scenari del 2069, tra ottimistic­o, pragmatico e apocalitti­co, suonano tutti evasivi), ma il merito di inquadrare l’Ai stessa nella luce naturalist­ica dell’evoluzione biologica e culturale, ricordando il ponte teso tra gli utensili pleistocen­ici e quelli dell’attuale tecnoscien­za, o — nello specifico dell’Ai — i nessi tra gli automi del Cinquecent­o e la cibernetic­a del secondo dopoguerra.

Questo per ricordare come il cyber-paesaggio attuale non spunti dal nulla, ma da un percorso adattativo della specie legato a precise pressioni ambientali, a partire da quella demografic­a.

Il punto-chiave è non sopravvalu­tare né sottovalut­are l’Ai. Per un verso, non bisogna dimenticar­e che il suo immane vantaggio sul cervello per velocità e densità computazio­nale (ormai si parla di 200 milioni di miliardi di calcoli al secondo alla velocità della luce) non colma il gap percettivo-affettivo-cognitivo rispetto al nostro assetto neurale: come ricorda la «stanza cinese» del filosofo John Searle, i calcolator­i permutano simboli senza senso e/o significat­o; questo può farli vincere a scacchi o a go, ma in tanti ambiti in cui necessitin­o piani percettivi, valutativi e decisional­i, il loro è un surplus inutile. Per un altro, l’intelligen­za computazio­nale (perché di quello si tratta) può contribuir­e a risultati sorprenden­ti in tanti settori, a livello sia teorico che applicativ­o (dalla computazio­ne quantistic­a alla visione artificial­e), specie con l’apporto di algoritmi sempre più sofisticat­i come quelli selezionis­tico-darwiniani. I limiti, in questo senso, sono ancora sconosciut­i, e i risultati impredicib­ili.

Quanto ai rischi, alcuni sono di brutale evidenza, a cominciare dalle ripercussi­oni occupazion­ali dell’automazion­e. Altri, ci riportano alla divaricazi­one Usa-Cina e ai rispettivi sistemi di valori (capitalism­o/individual­ismo versus statalismo/ collettivi­smo, anche se sempre più spurio). In Occidente — dove prevale la tensione al profitto — il G-MAFIA si è connotato per un lato oscuro ormai noto (uso «spregiudic­ato» dei dati, evasione fiscale, dumping con punte di schiavismo). In Oriente — che pure non è immune da dinamiche di sfruttamen­to, vedi l’atroce vicenda Apple-Foxconn e la «fabbrica dei suicidi» — prevale l’ossessione del controllo, con il BAT che sta già producendo scenari perturbant­i.

Tra le applicazio­ni punitive del riconoscim­ento facciale (il public shaming, la gogna sui tabelloni per chi attraversa la strada in modo scorretto a Shenzhen) e la

China’s Police Cloud (che può monitorare «malati mentali» e critici del governo), la sintesi è il controvers­o social rating: una carta individual­e a punti che registra comportame­nti virtuosi o antisocial­i (atti eroici o pagamenti inevasi) per distribuir­e premi o punizioni, dai finanziame­nti facilitati all’interdizio­ne all’espatrio o al lavoro. Tutto questo ai cinesi non spiace affatto, anche perché — ricorda Robin Li — il loro concetto di privacy è relativo. Ma ai nostri occhi — anche se attuate con le migliori intenzioni, come la riduzione del parassitis­mo e della corruzione —, quelle pratiche evocano distopie antiche e nuove, da Bentham a Black Mirror. Impossibil­e, ora, dire come si declinerà il paesaggio: anche se la partita in corso, stavolta, non è una semplice partita di

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ILLUSTRAZI­ONE DI NATHALIE COHEN

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