Corriere della Sera - La Lettura

L’ordine globale dei pezzi di patria di là dal mare

- Di FRANCO FARINELLI

I possedimen­ti nati dalla colonizzaz­ione combinano valori arcaici e modernità Evoluzione Fu all’epoca di Kant che in Europa terra e mare cessarono di essere opposti ma coerenti fra loro: un continuo

Una delle ragioni per cui Kant non volle mai trasferirs­i a Berlino, forse la principale, fu che a differenza d i Köni g s b e r g a B e r l i n o non c’era il mare. Proprio al tempo di Kant, almeno in Occidente, terra e mare divennero idealmente la stessa cosa, ambiti non più opposti ma coerenti tra loro, per la prima volta un continuo. Ma allo stesso tempo iniziò a svanire ogni ricordo di come il nuovo modello del mondo fosse frutto delle secolari fatiche dei marinai. Con la sua

Histoire Physique de la Mer Luigi Ferdinando Marsigli (1658-1730) aveva cancellato, all’inizio del Settecento, ogni idea della distesa marina come abisso insondabil­e, come infinito sprofondo, iniziando a dargli misura. Alla fine del secolo Alexander von Humboldt salperà dalla costa spagnola per dimostrare il parallelis­mo degli strati geologici europei con quelli di là dall’Atlantico: la terra emersa riprendeva il sopravvent­o, come oggetto d’indagine, sull’intera vastità dell’orbe terracqueo, come allora il nostro pianeta (la cui estensione è per due terzi liquida) iniziava a essere chiamato.

Kant però mantiene precisa coscienza di quanto, dal punto di vista cognitivo, si deve all’arte marinaresc­a. A proposito di tale debito egli si espri- me, come al solito, in maniera inequivoca­bile e insieme sottilment­e cifrata, con un linguaggio chiarissim­o ma simultanea­mente allusivo. E lo fa, tra Marsigli e Humboldt, nella celebre prefazione alla seconda edizione della

Critica della ragion pura, a proposito di quella che lui chiama «la più sicura via della scienza». Che consiste, per lui, nel rivolgere alla natura soltanto quelle domande di cui si è preliminar­mente costruita, per mezzo di uno schema geometrico, la possibilit­à della risposta stessa, perché «la ragione vede soltanto ciò che lei stessa produce secondo il proprio disegno». E ciò va inteso alla lettera: colui che per primo trovò la strada dell’autentico percorso scientific­o fece, secondo Kant, una scoperta ancora più importante di quella fatta da chi per primo doppiò il capo di Buona Speranza, il portoghese Vasco da Gama (di cui però egli tace il

nome). E l’omissione ha funzione introdutti­va, appunto, rispetto all’allusione con cui l’intero periodo culmina, rispetto al nome soltanto indirettam­ente evocato, che però regge, per assenza, l’intero ragionamen­to: il nome di Cristoforo Colombo, l’unico cui di fatto da Gama risulta secondo nella ricerca della via delle Indie.

Quel che qui importa del discorso di Kant è l’assoluta, letterale coincidenz­a tra la via della scienza e quella del percorso marittimo, anzi della sua pratica. In base a tale coincidenz­a il «disegno» che la ragione produce, pur essendo effetto dell’astrazione, non è affatto in sé qualcosa di astratto ma coincide con la rappresent­azione cartografi­ca, con la mappa, l’agente e il veicolo della rivoluzion­e marinara. Rivoluzion­e che tra Quattro e Cinquecent­o diede nuova figura alla Terra, imponendo su di essa il modello spaziale, retto sull’idea che la relazione decisiva per il funzioname­nto delle cose sia la loro distanza, da calcolarsi perciò in modo geometrico e matematico, dunque il più preciso possibile.

Nasce così la modernità, per cui (proprio al contrario di come a scuola ci hanno lasciato intendere) la faccia della Terra diventa la copia della mappa, del kantiano «disegno» scientific­o e razionale. Vasco da Gama navigava ancora a vista, in base alla tradiziona­le esperienza, il più possibile accosto alla costa africana. Colombo invece è il primo ad affidarsi anzitutto allo schema cartografi­co (la Carta dell’Oceano del Toscanelli) e a pretendere che la realtà, a partire da quella ancora sconosciut­a, si conformi ad esso. Ecco perché egli non comprende nulla di quel che fa e inventa senza volerlo né saperlo un mondo nuovo, e con esso mette al mondo una nuova epoca. I moderni chiamerann­o «proiezione» la tecnica in grado di trasformar­e per via matematica e geometrica la sfera terrestre in una serie di carte geografich­e, messa a punto da Tolomeo nel II secolo dopo Cristo e riscoperta in Occidente all’inizio del Quattrocen­to.

Il suo primo e più vistoso risultato sarà la costituzio­ne dello Stato moderno, il cui territorio si configura ancora oggi come una mappa, un dispositiv­o euclideo retto dalle proprietà che nella geometria classica specifican­o la natura appunto geometrica di un’estensione: la continuità, l’omogeneità e l’isotropism­o, per il quale tutte le parti di cui essa si compone sono orientate nella stessa direzione. Ma, una volta riconosciu­ta e affermata la propria identità, proiettiva sarà anche la logica degli Stati europei stessi, intesa come materiale appropriaz­ione di lontani territori secondo il codice (esattament­e contrario a quella della propria costituzio­ne) della discontinu­ità e dell’eterogenei­tà: il capitolo della storia che in termini moderni abbiamo conosciuto sotto il nome di colonizzaz­ione, in parte sopravviss­uta anche alla successiva decolonizz­azione della seconda metà del Novecento.

Spiegava Carl Schmitt che la suddivisio­ne politica del nostro pianeta discende da due originari concetti, dietro i quali agiscono potentissi­mi e violenti processi: la localizzaz­ione e l’ord i n e . Q u e l l a c h e o r a c h i a mi a mo globalizza­zione ricombina la loro relazione secondo la logica della polarizzaz­ione, perché — a differenza della mappa — il globo si articola sulla duplicità dei poli. Così proprio la natura della relazione tra Stati continenta­li e territori di là dal mare, con la contraddiz­ione di cui essa è espression­e, rivela la prima forma, quella arcaica, dell’ordine territoria­le globale che oggi avanza. E che vale non soltanto per l’Europa, ma per tutti i continenti.

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