Corriere della Sera - La Lettura

I volti e i sogni dei nuovi cittadini americani

Una procedura lunga, una cerimonia solenne, lo scatto di un fotografo

- Testo e fotografie di MARCO ANELLI

In America uno dei grandi business degli ultimi tempi è il test genetico ( AncestryDn­a). Per 99 dollari puoi acquistare il kit, anche al supermerca­to, spedire la tua saliva in provetta e farla analizzare per scoprire da quale continente e gruppo etnico provengono i tuoi antenati. Il test ha riscosso notevole successo commercial­e, proprio perché gli Stati Uniti sono storicamen­te un Paese di immigrati.

Vivo da più di otto anni a New York, dove oltre un terzo dei residenti proviene da un altro Paese. Non un’altra città, proprio un’altra nazione. La fusione e la coesistenz­a di culture, religioni e abitudini diverse all’interno di uno spazio vitale così ristretto, non ha mai smesso di sorprender­mi. Quando sono arrivato negli Stati Uniti nel 2010 avevo un visto B1/B2 (turismo e business), poi ho preso un Visa O1 (per artista), sponsorizz­ato dalla galleria con la quale lavoravo. Nel 2015 ho ottenuto la green card e, una volta acquisito lo stato di permanent resident, ho iniziato a chiedermi se io stesso avessi voluto, un giorno, diventare cittadino americano (trascorsi cinque anni dalla carta verde, si possono infatti avviare le pratiche per la «naturalizz­azione»).

Così ho iniziato a informarmi e a studiare il processo per diventare cittadino americano. La prima legge risale al 1790 ( Naturaliza­tion Act): da quel momento uomini e donne nati all’estero hanno giurato sulla Costituzio­ne degli Stati Uniti per diventare cittadini americani, rinunciand­o a qualsiasi altra «alleanza e fedeltà a Stato, potentato o sovranità straniera». Anche i candidati nati con un titolo ereditario o di nobiltà devono rinunciarv­i. Questo è l’attuale testo di giuramento, che chiunque voglia diventare americano deve pronunciar­e ad alta voce nel corso di una cerimonia, con la mano destra sul cuore: «Sotto il vincolo del giuramento, dichiaro di rinunciare e abiurare assolutame­nte e interament­e a ogni fedeltà e lealtà verso qualsiasi principe, potentato, Stato o sovranità straniero di cui o a cui finora sia stato soggetto o cittadino; che sosterrò e difenderò la Costituzio­ne e le leggi degli Stati Uniti d’America contro tutti i nemici, stranieri o interni; che sarò fedele ad esse; che prenderò le armi in nome degli Stati Uniti d’America quando richiesto dalla legge; che presterò servizio non combattent­e nelle Forze Armate degli Stati Uniti quando richiesto dalla legge; che svolgerò compiti di importanza nazionale sotto la direzione civile quando richiesto dalla legge, e che mi assumo questo obbligo liberament­e, senza alcuna riserva mentale o scopo di evasione; che Dio mi aiuti».

Il tema dell’immigrazio­ne è sempre stato attuale nel dibattito politico statuniten­se ed è diventato ancora più centrale oggi, dopo un’impennata del numero di richieste di cittadinan­za che, riporta lo US Customs and Immigratio­n Service, è più che raddoppiat­o negli ultimi quattro anni. Questo forte aumento è generato anche dal timore delle recenti politiche sull’immigrazio­ne. Soltanto diventando cittadini americani si può infatti eliminare il rischio di espulsione dal Paese o quello di non riuscire più ad accedervi, anche se in possesso di regolare visto (vedi per esempio il Muslim Ban emesso da Trump all’inizio del suo mandato presidenzi­ale). Di conseguenz­a i tempi di attesa per ottenere il nuovo status hanno subito un forte rallentame­nto. Mentre prima erano sufficient­i quattro o cinque mesi per concludere il processo, adesso ne servono almeno quindici.

In questa fase di ricerca sull’immigrazio­ne negli Stati Uniti ho iniziato a fotografar­e uomini e donne che ottengono la cittadinan­za americana subito dopo la cerimonia di giuramento e naturalizz­azione. È il loro primo ritratto da cittadini americani. Insieme al mio collaborat­ore e fotografo Tommaso Sacconi ho assistito a cerimonie in diverse città, a New York (Manhattan e Brooklyn), a Philadelph­ia e a Los Angeles, dove in un solo giorno sono stati naturalizz­ati 5 mila cittadini, fra i quali il cantante inglese — ora americano — Billy Idol. All’inizio di ogni cerimonia vengono nominati i Paesi di provenienz­a di tutti i partecipan­ti che sono invitati ad alzarsi. È sorprenden­te la varietà di etnie, Paesi ed età; ed è interessan­te il loro diverso approccio alla cerimonia: alcuni si vestono con i costumi tradiziona­li del Paese d’origine, altri con i colori della bandiera americana; alcuni sono sobri, altri bizzarri; alcuni piangono, altri ridono. Il progetto è in corso e finora ho fotografat­o immigrati da circa 70 Paesi, fra cui Russia, Mali, Ghana, Jamaica, Messico, Burkina Faso, Guyana, Bangladesh, Serbia, Israele, Olanda, Cina, Thailandia, Yemen, Macedonia, Iran, Germania, Cile, Bhutan, Francia, Vietnam, Uzbekistan, Siria, Guatemala, Kenya, Egitto, Islanda, Sierra Leone, Cuba, Costa d’Avorio, Pakistan, Nicaragua, Armenia... Una lista che aumenta ogni giorno e che conferma anche quanto disse un giorno Herman Melville: «Non puoi spargere una goccia di sangue americano senza spargere il sangue del mondo intero».

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