Corriere della Sera - La Lettura
Signori, ascoltate la lezione dell’horror di Dante e Lovecraft: rivela al pensiero tutti i suoi limiti
L’intervista L’americano Eugene Thacker si interroga sul «misticismo dell’inumano» che riguarda il clima, la meteorologia e la geologia in un mondo in affanno
Alcune domande che nutrono il dibattito sul cambiamento climatico hanno carattere schiettamente filosofico: in che modo gli esseri umani influenzano la geologia del pianeta? Fino a che punto il pianeta è loro indifferente e, viceversa, quanto gli umani sono indifferenti al pianeta? Tra le ceneri di questo
pianeta di Eugene Thacker (professore di Media Studies alla New School di New York) volteggia attorno a una disputa quanto mai attuale. Al centro c’è l’idea di un pianeta inumano e indifferente, un senso di «impotente orrore» che mette in crisi le fondamenta stesse della filosofia, oltre al lavoro di quello che Georges Bataille definiva «il dente dolente nella bocca di Hegel», ovvero i professionisti della filosofia. L’autore spiega a «la Lettura» quali siano i concetti cardine del primo volume della sua «trilogia dell’orrore»: «Mi sono imbattuto nell’espressione “orrore della filosofia” mentre studiavo la filosofia dell’horror, dove notavo una costante: a un certo punto, un personaggio si confronta con qualcosa di inesplicabile che sfida le sue conoscenze. A essere
messa in questione è la possibilità stessa della conoscenza». È difficile concepire una filosofia dell’horror…
«Mettere in discussione l’idea di una filosofia dell’horror mi ha insegnato che qualsiasi philosophia specialis (una filosofia che circoscrive, per studiarlo, un certo ambito del reale, ndr) è incapace di esaurire il suo oggetto di indagine. L’horror mi diceva che esiste un limite invalicabile per la conoscenza umana, che nessuno sforzo — di filosofia, scienza, religione, politica — può oltrepassare». Questa è la lezione che ha tratto dall’horror?
«Sì, specialmente da quello che Lovecraft chiamava l’“orrore soprannaturale”. L’horror parla della futilità dell’essere umano, sottopone il pensiero a una severa lezione di umiltà: lo trovo assolutamente irresistibile».
Nel suo libro lei passa da un’analisi della demonologia, cioè lo studio delle credenze intorno a spiriti e demoni, all’idea di una «demontologia», termine con cui designa il tentativo di far collassare la divisione tra uomo e cosmo
in un accoppiamento paradossale.
«Non concepisco la “demontologia” come una vera disciplina. Trovo però affascinante la complessa storia della demonologia in Occidente, proprio perché i teologi e gli inquisitori si trovavano di fronte allo stesso problema ontologico: come pensare il “non-essere” dei demoni se il Dio cristiano è un essere di pura trascendenza? L’espressione “non-essere” designa qualcosa che deriva dall’essere: il non-essere è sempre stato in qualche modo considerato inferiore all’essere. Schopenhauer è un’eccezione rilevante».
Il demone, per lei, è «lo strumento attraverso il quale pensare la relazione tra l’umano e ciò che è non-umano». Il Dante della «Commedia» diventa la miglior guida alla vita oltre la vita.
«L’architettura concettuale dell’Inferno è caratterizzata da un dislivello tra un mondo umano, di dolori e peccati, e un mondo di forze non-umane, elementari e atmosferiche. Nell’Inferno le anime sono in costante conflitto con l’ambiente, vessate da venti tempestosi, fuse in alberi morti, immobilizzate nelle acque congelate degli inferi... Non esiste allegoria mi- gliore per l’attuale situazione climatica e di estinzione di massa».
Un interrogativo fondamentale innerva il prologo del suo libro: «Esiste, al giorno d’oggi, un misticismo dell’inumano che si concentri sul mondoin-sé nei suoi aspetti climatologici, meteorologici e geologici, senza ricorrere alla religione o alla scienza?».
«La storia del misticismo è la storia dell’umano che affronta il non-umano. I suoi tentativi sono falliti perché l’umano si è accorto del proprio limite: di pensiero, di fede, di affetti, di corpi... Probabilmente oggi sta accadendo la stessa cosa, mentre lottiamo per comprendere la vastità di scala degli eventi in cui siamo incastonati come polvere o microscopici frammenti di luce. Non penso ci siano soluzioni eroiche per l’Antropocene; e un approccio antiumanistico che contesti la
hybris dell’essere umano rispetto al pianeta che abita non è meno rischioso di un umanismo ingenuo e idealistico che pensa “salveremo il pianeta”. Da quando, poi, il pianeta avrebbe bisogno di essere salvato?».