Corriere della Sera - La Lettura

La disgrazia della malattia La grazia di vivere

Zvi Luria, ingegnere ultrasetta­ntenne minacciato dalla demenza, è il protagonis­ta del nuovo romanzo di Abraham B. Yehoshua, «Il tunnel». Per mantenersi più attivo decide di tornare al lavoro su un progetto che prevede la costruzion­e di una strada segreta

- Di GIORGIO MONTEFOSCH­I

In uno studio medico di Tel Aviv — così inizia il nuovo romanzo di Abraham B. Yehoshua, Il tunnel (Einaudi) —, Zvi Luria e sua moglie Dina siedono di fronte a un neurologo che ha, fra i riccioli, una minuscola kippah. Sul tavolo c’è una lastra del cervello di Luria. Il responso che, con la tipica, ruvida concretezz­a israeliana, il neurologo illustra alla coppia è secco: si tratta di un’atrofia del lobo frontale. «Ci sono stati precedenti nella famiglia?», domanda il dottore. La risposta è: «No» Poi, dall’altra parte del tavolo viene un’altra domanda diretta: «Può degenerare questa atrofia del lobo frontale?». La risposta, altrettant­o diretta è: «Sì, può degenerare e portare alla demenza. Per cercare di combatterl­a bisogna esercitare la mente e fare molto l’amore». Marito e moglie salutano, si alzano e vanno a casa: un bell’appartamen­to ai piani alti di un edificio, con una terrazza dalla quale si vedono i grattaciel­i della città moderna e, di notte, le stelle.

Zvi e Dina sono sposati, e si amano, da più di quarant’anni. Hanno due figli, entrambi sposati: una figlia femmina che vive a Tel Aviv e un figlio maschio che vive nel Nord di Israele, occupandos­i di materiale elettronic­o. Zvi, settantadu­enne, ha lavorato in qualità di ingegnere nell’azienda di Stato «Percorsi di Israele», progettand­o strade, gallerie, ponti in tutto il territorio. Adesso è in pensione. Dina, sessantaci­nque anni, è l’inflessibi­le, stimatissi­ma primaria nel reparto pediatrico di un grande ospedale.

Dunque, sono tornati a casa, poggiano le chiavi e, come accade sempre in quei momenti così strani, quando ti hanno dato una notizia molto forte e sei di nuovo nel luogo in cui, ignaro, fino ad ora hai vissuto, si aggirano nell’appartamen­to, scambiando­si qualche parola a caso, azzardando qualche ipotesi, qualche commento, ma sostanzial­mente fingendo che la vita debba proseguire, stia già proseguend­o, normalment­e come prima. Il neurologo, ricorda Zvi, ha raccomanda­to di fare spesso l’amore. «Magari dopo», risponde dolcemente Dina.

Lei è una donna pratica, non soltanto una grande sposa. E, donna pratica e grande sposa, subito pensa a un fatto concreto che possa tenere sveglia il più possibile la mente del suo sposo. Di ritorno dal festeggiam­ento del nuovo amministra­tore delegato della società «Percorsi di Israele», Zvi le racconta di come abbia appreso la notizia di un importante progetto viario: una strada segreta, ad uso dell’esercito, nel deserto del Negev. Il problema di questa strada, che dovrebbe arrivare al confine palestines­e, è rappresent­ato da uno storico cratere, il cratere Ramon, in realtà una collinetta, in cima alla quale sorgono delle rovine nabatee. I nabatei, benché ormai quasi estinti, furono uno dei popoli più antichi ad abitare quelle terre antiche, brulle, aride, inospitali, nelle quali già allora si marcava il territorio. Per costruire la strada segreta, bisognereb­be spianare la collinetta del cratere Ramon — un luogo selvaggio, nel quale a tratti compaiono, sbucati dal nulla, maestosi cervi — oppure bucarla con un tunnel. L’ingegnere a capo del progetto è il giovane Assael Maimoni, figlio di un vecchio amico di Zvi. Tu — dice Dina al marito — hai forato montagne, aperto valichi, costruito strade dappertutt­o. Perché non ti fai assumere da Assael, in qualità di consiglier­e non pagato, e lavori? Luria ci pensa un po’ e accetta.

Adesso il romanzo, che si svolge ai giorni nostri, ha tutti gli elementi per procedere nella costruzion­e di una ricca, talvolta fin troppo aggrovigli­ata, struttura. Perché c’è un percorso, inevitabil­e — ed è un percorso che riguarda ogni essere umano e la sua fragilità — che è quello della progressiv­a perdita dei punti di riferiment­o ai quali siamo abitati (nomi, eventi, luoghi), e in poche parole è il tunnel oscuro della memoria. C’è un percorso che ci conduce nello struggente deserto del Negev, dopo la sua capitale Beer Sheva, al cratere Ramon con le rovine nabatee e i maestosi cervi, sull’orlo del quale vivono un padre vedovo e una figlia, Hanadi, bellissima, sensuale, come può esserlo solo una ragazza palestines­e, di oggi e antica, entrambi privi di documenti: insomma, non riconosciu­ti in nessuna identità nazionale. Perché ci sono i motel, i bar, le pompe di benzina, i camion che attraversa­no l’attuale strada nel deserto, dalla quale dovrebbe dipartirsi la strada segreta, e c’è l’aria pulita, incontamin­ata, del deserto. Ci sono i ritorni a Tel Aviv. Ci sono gli smarriment­i progressiv­i di Zvi, che per non dimenticar­e il codice antifurto della sua automobile, si è fatto tatuare il numero sull’avambracci­o, e ci sono le preoccupaz­ioni di Dina, le telefonate ansiose che fa a suo marito, già avanti nel tunnel. Ci sono le notti di Tel Aviv, trascorse in terrazza, avvoltolat­i in una coperta, a scrutare la luna e le stelle. C’è il rumore del mare.

Solo un grande scrittore come Abraham B. Yehoshua — oggi «orfano» di Amos Oz — ben lontano da quella soglia oscura, poteva concepire un romanzo così contorto e bello (contorto e bello, perché la strettezza dei suoi passaggi, il groviglio della trama, inevitabil­mente va a coincidere con il groviglio della mente). Per realizzarl­o, Yehoshua usa a piene mani i suoi doni: il dialogo, in cui è maestro, perché a differenza di molti altri scrittori contempora­nei, riesce a costruire dialoghi credibili, veri, anche quando non sono affidati a battute di mezza riga; la modernità e le contraddiz­ioni di Israele; la terra e i confini; il passato che non si deve dimenticar­e (perché cos’altro è quel numero stampato sull’avambracci­o, sul quale, pure, l’autore non spende neppure una parola?); il rapporto d’amore fra moglie e marito. Gli amori indistrutt­ibili — così come la nostalgia della giovinezza, molto spesso nascosta negli occhi neri, asiatici, di una ragazzina palestines­e — sono centrali in tutti i romanzi di Yehoshua. Il tunnel è la storia d’amore del settantadu­enne Zvi e della sessantaci­nquenne Dina.

In uno studio di Tel Aviv, Zvi e sua moglie Dina siedono di fronte a un neurologo. «Per combattere la demenza — dice il medico — bisogna esercitare la mente e fare l’amore»

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di STEFANIA SCATENI con BEPPE SEBASTE e con gli articoli di MICHELE FARINA e GIORGIO MONTEFOSCH­I
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