Corriere della Sera - La Lettura

L’uomo perde la libertà Riprendiam­oci i dati che internet ha rubato

- Dalla nostra inviata a Washington VIVIANA MAZZA

Può essere rassicuran­te, spiegava Eli Pariser nel 2011 nel libro Il Filtro (il Saggiatore), accendere il computer e trovarsi in un’isola felice in cui tutti la pensano come te: stesse idee politiche, stessa fede religiosa, stessi gusti in cucina. Non ti devi mai confrontar­e con chi la pensa diversamen­te. Nel dicembre 2009 Google aveva cominciato a «filtrare» i risultati delle ricerche, a seconda delle abitudini degli utenti. Facebook, Apple, Microsoft erano a caccia di dati degli utenti in base ai quali personaliz­zare «l’esperienza». Ma Pariser fu tra i primi a notare che vivere in una «bolla» ha un impatto sulla democrazia. Dietro le quinte, inoltre, una schiera di aziende stava mappando i nostri dati personali, dalle preferenze politiche agli acquisti online, per venderli agli inserzioni­sti. Ma un altro mondo (sui social) è possibile?

In questi sette anni ci sono state enormi violazioni della privacy da parte dei giganti del web, fake news e interferen­ze russe nel voto in Usa. Se l’aspettava?

«Non avevo previsto che ci fossero adolescent­i macedoni pronti a far soldi con l e f a ke news o hacker r uss i c he avrebbero utilizzato la personaliz­zazione delle notizie come un’arma. La centralità di queste piattaform­e nelle nostre vite è incredibil­mente aumentata. Nel 2011 Facebook era importante per i giovani, ma non era una fonte primaria di notizie per miliardi di persone. Però, in questi anni è cresciuta anche la consapevol­ezza sul funzioname­nto del mondo digitale, incluso il fatto che ci sono algoritmi che personaliz­zano le informazio­ni. È uno sviluppo molto positivo, ma può portare anche a una certa esagerazio­ne nell’attribuire alla “bolla” i fenomeni che ci circondano. Se elenchiamo le ragioni per cui Donald Trump ha vinto le elezioni, per esempio, non metterei internet al primo posto, e nemmeno al secondo o al terzo. La demagogia esisteva già molto prima dei social media».

Mosca ha personaliz­zato la diffusione di fake news: mirando ai conservato­ri per convincerl­i a votare Trump, ma anche agli afroameric­ani per dissuaderl­i dal recarsi alle urne. Colpisce il divario tra la sofisticaz­ione russa e l’incapacità americana di difendersi.

«Gli obiettivi sono bersagli facili, con poche difese dal punto di vista della gente e delle infrastrut­ture. Non è necessario essere particolar­mente abili. Una delle caratteris­tiche delle nostre società aperte è che è facile individuar­e le linee di frattura e le sottocultu­re, capire come possono essere manipolate».

C’è stata una sistematic­a violazione della privacy. I dati personali venduti e u s a t i p e r c a mpagne p o l i t i c h e , d a Trump alla Brexit. Facebook avrebbe condiviso con 150 aziende i nostri nomi, amici, contatti, messaggi privati. Chi usa i social può essere tutelato?

«Si va verso una sorveglian­za di massa, ma esistono anche tendenze in direzione opposta. Non c’è ragione, sul piano tecnologic­o, per non immaginare un paradigma diverso, in cui le persone abbiano più controllo sui loro dati. Tra altri sette anni potremmo guardare a quest’epoca e sorridere del fatto che abbiamo permesso a una manciata di corporatio­n di tenere in pugno i dati di tutti, come se non ci fosse alternativ­a, mentre si possono ottenere gli stessi risultati lasciando alla gente molto più controllo. Se alzassimo parecchio il costo che le corporatio­n devono sostenere se vengono rubati i dati personali degli utenti (il che succede di continuo) ci sarebbe un incentivo a creare un mercato diverso per la protezione dei consumator­i: a Facebook e Google non converrebb­e più archiviare quei dati. Non ci si può fidare di loro, perché è con i nostri dati che guadagnano. Ma si può immaginare un sistema diverso, in cui a conservarl­i siano aziende che rispondono a noi. Penso che nei prossimi anni sarà possibile una decentrali­zzazione».

Dovremmo abbandonar­e Facebook?

«Se ne parla molto, ma è difficile, perché Facebook facilita la connession­e passiva con persone che non cercheremm­o attivament­e: un servizio utile. Per Facebook vedo un’altra minaccia esistenzia­le: sempre meno persone postano pubblicame­nte sul news feed, non sono più tanto sicure di voler parlare conti-

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