Corriere della Sera - La Lettura
L’uomo perde i sensi La tecnica ha sovrastato anche la vista e l’udito
scritto il filosofo Giorgio Agamben. Sacer, da secare, separare. L’uomo separato. Espatriato. Cui, aggiungo io, tanti testi religiosi hanno insegnato una conoscenza non sensibile, trasmessa socialmente come sistema di segni, come cultura».
È nato così l’uomo moderno.
«È nato così l’uomo antiquato, come lo definì il filosofo tedesco Günther Anders già nel 1956. L’uomo non più in grado di controllare il proprio impatto sul mondo e perciò diventa distruttivo. In balìa del dislivello prometeico».
Il dislivello prometeico?
«Lo slancio di Prometeo, la sfida agli dèi, incontrava un argine nel limitato potere dell’uomo antico di cambiare il mondo. Ora il potere dell’uomo è cresciuto esponenzialmente. Ha spiegato Anders: il tempo del dislivello prometeico è quello in cui l’uomo altera irreversibilmente l’ambiente. E si autodistrugge».
Come direbbe Patanjali, l’uomo si è disabituato a pensarsi nell’ambiente.
«Con il sopravvento della tecnologia non sappiamo più prevedere le conseguenze dei nostri slanci. Hai perso l’ambientazione ecologica. La tecnica ti sovrasta».
A scapito dei sensi.
«Siamo una società ad alta densità concettuale e dunque una società ad alto deficit somato-sensibile. Stiamo perdendo l’olfatto, l’udito, la vista. I nostri nonni sapevano prevedere la pioggia guardando il tramonto la sera. Per noi è inimmaginabile».
Anche il nostro rapporto con la storia è cambiato.
«Non è finita la storia: è proprio finito il tempo. Lo ha spiegato cinque anni fa il saggista americano Jonathan Crary, nel suo libro 24/7. La nostra organizzazione culturale e sociale non conosce più la dif- ferenza tra giorno e notte, vegliare e dormire. Come suggerisce Crary, viviamo nel tempo in cui è finito il sonno».
È colpa delle religioni anche questo? O, al contrario, della secolarizzazione?
«Non c’è più un traguardo nella storia. Non siamo in grado di pensare al futuro. Non crediamo più nel paradiso. Nemmeno i credenti ci credono più».
Un’eccezione: i terroristi islamici.
«Sì, loro ci credono ancora».
La nostra religione si è secolarizzata.
«Un mio zio di Pisa è tornato dalla messa e mi ha detto: “Dio bono, hanno cambiato pure ‘l Padre nostro!”. È sparito “non indurci in tentazione”. Non siamo più capaci di dire a Dio “non indurci in tentazione”. Dio non è cattivo. L’uomo non è cattivo. Allora la colpa è del mondo. Solo il mondo è cattivo. Sprofondo ancora più nel dualismo uomo/mondo».
È il problema ecologico della religione.
«L’umano è talmente de-ecologizzato che quando guardiamo gli aborigeni intenti a ringraziare per il sole e l’acqua, li troviamo ridicoli. Non riusciamo neppure a comprendere gli antichi che credevano nel sole. Pensiamo che credessero in un Dio trascendente rivelato nel sole. Che credessero nel sole come Dio. Invece no. Loro credevano davvero nel sole».
Possiamo ancora cambiare?
«Come ci ha insegnato Patanjali con il suo Yogasutra, dobbiamo provare a riavvolgere il nastro. Se non disimpari a essere l’uomo che ti hanno insegnato a essere, non potrai ecologizzarti».
Vede segnali in questo senso?
«La Cambridge World History, l’opera in più volumi dedicata alla storia globale, è un passo in una nuova direzione. Il primo volume inizia dal Pleistocene e arriva a 10 mila anni prima dell’era cristiana. Non è più la storia dell’uomo. È la storia del mondo. Dobbiamo allora ripensare radicalmente la storia che insegniamo alle nuove generazioni. Il mondo non inizia con la creazione dell’uomo».
Il master sullo yoga che lei ha creato a Venezia nel 2012 e ora dirige a Milano ha avuto un grande successo.
«Nel IV secolo d. C. fare yoga era indubitabilmente curarsi dalla malattia del conformismo e della separazione tra sensi e cultura. Oggi è il contrario. Ammalarsi della malattia del conformismo. Same body, same happiness. Lo fai per avere proprio lo stesso corpo della modella che hai visto nella pubblicità. Faccio yoga per avere il corpo che piace alla società che mi fa fare yoga per avere quel corpo».