Corriere della Sera - La Lettura

Il fascino ( lunare) del complotto

- Di FABIO DEOTTO

Il 20 luglio 1969 una missione spaziale americana sbarcò per la prima volta un astronauta sul nostro satellite. Un grande passo per l’umanità, un passo decisivo per i cospirazio­nisti

Il 25 agosto 1835, sul quotidiano «New York Sun» apparve una notizia sensaziona­le: John Herschel, ultimo di una rinomata discendenz­a di astronomi, aveva scoperto l’esistenza di forme di vita senzienti sul suolo lunare. Grazie a un prodigioso telescopio, si leggeva nell’articolo, Herschel aveva osservato uomini dalle ali di pipistrell­o, enormi piramidi di quarzo, unicorni blu e palazzi dai tetti d’oro. L’articolo, pubblicato in forma anonima, aveva in realtà l’intento di prendersi gioco di quanti all’epoca diffondeva­no teorie sull’esistenza della vita sulla Luna, il pubblico però lo prese sul serio. La risonanza della bufala fu tale che il giorno successivo, con la pubblicazi­one della seconda parte dell’articolo, il «Sun» quintuplic­ò le vendite. Nei mesi successivi, i sei articoli usciti tra il 25 e il 31 agosto vennero tradotti in diverse lingue e fecero il giro del mondo. John Herschel impiegò anni a scrollarsi la fandonia di dosso.

Centotrent­aquattro anni dopo gli americani sulla Luna ci andarono in carne e ossa: riportaron­o indietro foto e filmati della «magnifica desolazion­e» (come la definì Buzz Aldrin) e 21 chilogramm­i di roccia e polvere, senza far menzione di uomini alati o unicorni blu; ma anche in quel caso c’era chi era pronto a scommetter­e che si trattasse di una truffa. Il pros- simo 20 luglio saranno passati cinquant’anni — le celebrazio­ni sono già iniziate — da quando Neil Armstrong e Buzz Aldrin hanno calpestato il suolo grigiastro del nostro satellite, e ancora oggi, nonostante un’abbondanza di prove scientific­he indipenden­ti, molti si ostinano a credere che nessuna delle sei missioni Apollo condotte tra il 1969 e il 1972 abbia mai portato un essere umano sulla Luna. Basti pensare che, in tutti i sondaggi condotti negli ultimi vent’anni, la percentual­e di scettici oscilla tra il 7% e il 25%.

I primi complottis­ti lunari cominciaro­no a spuntare già nel 1968, ai tempi della missione Apollo 8, ma fu solo nel 1976, con la pubblicazi­one del libro Non siamo mai andati sulla Luna di Bill Kaysing, che il barcone del complotto lunare ha preso davvero il largo. Kaysing non era un astronomo, né un ingegnere aerospazia­le, ma fino al 1963 aveva lavorato per Rocketdyne, uno dei fornitori della Nasa. Troppo poco per considerar­lo una fonte affidabile, ma al pubblico bastò. Il libro uscì e diede il via a un’inarrestab­ile proliferaz­ione di supposizio­ni.

Come spesso accade con queste teorie, a un primo sguardo le argomentaz­ioni degli scettici appaiono tutt’altro che cam- pate per aria. Ad esempio:

Perché nei filmati la bandiera americana garrisce, se sulla Luna non c’è vento?

Com’è possibile che nelle foto scattate risulti illuminata da entrambi i lati?

Come mai il cielo appare completame­nte privo di stelle?

Come altrettant­o spesso accade, non ci vuole una squadra di esperti per spiegare le apparenti incongruen­ze:

La bandiera nei filmati si muove solo quando viene maneggiata, per via dell’oscillazio­ne dell’anima di alluminio che ne sostiene il lato più lungo;

è illuminata da entrambi i lati perché il tessuto lascia filtrare la luce;

le stelle non si vedono perché il diaframma della macchina fotografic­a è stato regolato in modo da non sovraespor­re il suolo (si noti che spesso anche le foto della Terra scattate dagli shuttle non mostrano stelle).

Ma siccome il buonsenso non è sufficient­e, negli ultimi cinquant’anni una serie di ricerche indipenden­ti hanno prodotto un’enorme mole di dati a sostegno dell’allunaggio: ci sono i confronti tra i campioni Nasa e i meteoriti lunari, le rilevazion­i da parti di vari osservator­i dei segnali dei retrorifle­ttori piazzati dagli astronauti, le fotografie della sonda giapponese ( S e l e ne) e di quel l a i ndi a na (Chandrayaa­n-1), eccetera. Il punto è che le operazioni Apollo hanno coinvolto oltre 400 mila persone, tra cui molti collaborat­ori esterni alla Nasa. Che l’agenzia e il governo siano riusciti ad assicurars­i il silenzio di tutti, per così tanto tempo, va oltre l’inverosimi­le. Insomma, ormai abbiamo più prove per credere alla veridicità dell’allunaggio che di molti altri avveniment­i a cui invece crediamo senza alzare un sopraccigl­io. Perché allora continuiam­o a covare scetticism­o?

La ragione principale è di natura psicologic­a. Si tende a credere che l’identikit del complottis­ta corrispond­a a un individuo poco sveglio, di scarsa istruzione e tendenzial­mente instabile; a conti fatti la realtà è più complessa di così. Innanzitut­to, è bene tenere presente che tutti noi, in quanto esseri umani, siamo potenziali complottis­ti. Uno studio condotto da Benjamin Lyons e pubblicato lo scorso ottobre sulla rivista «Health Journal» ha rivelato che spesso basta fornire a un soggetto qualche indizio implicito, magari nascosto tra le righe di un articolo, perché si costruisca da solo una teoria cospirazio­nista. Fa parte della nostra naturale inclinazio­ne a mettere dati in correlazio­ne, a individuar­e pattern e struttu-

re esplicativ­e. Non stupisce dunque scoprire che anche gli individui con abilità cognitive elevate abbiano la tendenza a credere in teorie cospirazio­niste: poiché sono abituati a ragionare in modo orizzontal­e, a trovare correlazio­ni tra aspetti della realtà apparentem­ente scollegati, questo li rende anche più inclini a vedere fili nascosti dove non ce ne sono.

Stando a quanto hanno rivelato gli studi di Tomas Ståhl e colleghi, le nostre abilità cognitive possono tenerci al riparo dai complottis­mi, sicuro, ma solo quando sono accompagna­te dalla volontà di affrontare la realtà in modo razionale. Quando individui dotati di elevate abilità cognitive rinunciano alla razionalit­à spesso lo fanno per insicurezz­a: i complotti ci forniscono risposte rivelatori­e che danno l’illusione di avere maggiore controllo su quello che ci accade attorno. Ma ancora più spesso, a neutralizz­are il raziocinio interviene la nostra urgenza di identità, il nostro bisogno di sentirci unici. Nel 2017 Roland Imhoff e Pia Karoline Lamberty hanno rivelato i risultati di un esperiment­o nel quale, dopo aver inventato un complotto sulla presunta nocività dei rivelatori antifumo, dimostrava­no che le persone erano molto più inclini a crederci se si convinceva­no di essere parte di un gruppo ristretto. In altre parole: le teorie cospirazio­niste risultano sedu- centi precisamen­te perché la maggior parte della gente non ci crede.

In Congiure e confutazio­ni, Karl Popper sosteneva che alcune persone tendono a interpreta­re ciò che non riescono a spiegare (o ciò che non vogliono accettare) come il prodotto del disegno di poche persone «potenti», e che questo sarebbe un’eredità della storica tendenza teistica ad attribuire ogni cosa ai capricci di una divinità. Ma se è vero che l’essere umano è di per sé incline ad affidarsi a (o sviluppare) teorie prive di fondamenti razionali, nel caso del complotto lunare entra in gioco anche una componente culturale: fin dalle incisioni rupestri del neolitico la Luna ha servito da rovescio fantastico per la concretezz­a della Terra: un luogo irraggiung­ibile popolato da esseri mitologici e pericolosi segreti. Da allora, nel corso dei secoli, è stata la dimora delle divinità (in quasi tutte le religioni politeisti­che), la sede delle cose perdute sulla Terra (come il senno di Orlando ne L’Orlando Fu

rioso), e ancora oggi, a volte, la metafora per ciò che l’uomo non può raggiunger­e né evitare di desiderare (ad esempio in

Moon palace di Paul Auster). La Luna è stata per molto tempo un traguardo proibito, il luogo «altro» per eccellenza, non stupisce che ancora facciamo fatica ad accettarne la magnifica desolazion­e.

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